[12/06/2009] Comunicati

I segni della vita che il Pil non sa e non può leggere di Gianfranco Bologna

ROMA. Dal 1992 il Worldwatch institute, questo straordinario istituto interdisciplinare che Lester Brown ha fondato nel 1974, ha avviato la pubblicazione di “Vital Signs” un altro rapporto annuale (dopo quello più famoso “State of the World” inaugurato nel 1984 e tradotto ogni anno in oltre 30 lingue), dedicato ad illustrare i trend di diversi indicatori ecologici, economici e sociali e a fornire una chiave di lettura degli stessi, il più possibile, interconnessa ed interdisciplinare.

Quindi proprio nell’anno del grande Earth Summit delle Nazioni Unite tenutosi a Rio de Janeiro (1992), Lester Brown ha lanciato “Vital Signs” (i segni vitali o i segni della vita), con un sottotitolo molto esplicativo “Le tendenze che stanno modellando il nostro futuro”.

Nell’introduzione del primo rapporto Lester Brown chiariva come risultasse estremamente necessario avere a disposizione un rapporto annuale capace di fornire la misurazione di trend, non riportati in forma organica in nessun altro rapporto esistente a livello internazionale, indicanti gli effetti e gli andamenti sull’ambiente dell’economia mondiale.

Siamo infatti ricchi di informazioni puntuali, comparabili ed omogenee sugli andamenti economici, oggetto anche di continue comunicazioni in tutti i quotidiani, i settimanali, i telegiornali, praticamente in tutte le nazioni del mondo, ma non disponiamo di un informazione altrettanto puntuale di indicatori sulla situazione ambientale.

Governi, industrie ed esperti regolarmente collezionano e rendono pubblici i dati su numerosi indicatori economici, che sono diventati anche il simbolo culturale della ricchezza e del benessere, di nazioni, regioni, comunità come i tassi di occupazione, quelli della produzione industriale, i tassi di interesse, gli indici di borsa, per non parlare della crescita del Prodotto interno lordo (pil) che, senza dubbio, può essere definito il vero “simbolo” mondiale della ricchezza, mentre non sono resi noti i trend ambientali globali, come ad esempio, il tasso di deforestazione.

Per molti importantissimi trend non esiste nessun ente ufficiale responsabile nel compilare un rapporto annuale e renderlo adeguatamente pubblico; solo dopo la metà degli anni Novanta le Nazioni Unite hanno reso pubblici i dati relativi alle emissioni annuali di biossido di carbonio, mentre, in altri casi, dati estremamente rilevanti per la vita e la salute di tutti gli esseri umani, vengono resi pubblici (vedasi il caso dell’entità del pescato oceanico annuale da parte della FAO) ma non esiste una vasta diffusione di queste informazioni.

Invece i dati sui trend relativi, ad esempio, alle emissioni di sostanze che incrementano l’effetto serra naturale, alla deforestazione o al pescato, come ormai stiamo imparando sulla nostra pelle, sono persino più importanti dei dati economici tradizionali perchè forniscono elementi preziosissimi per comprendere i cambiamenti nella capacità di sopportazione dei vari ecosistemi e dell’ambiente globale rispetto ai nostri impatti.

L’economia di tutta l’umanità dipende infatti dall’utilizzo delle risorse naturali e dalla capacità che i sistemi naturali hanno nel rigenerarle e nel sopportare gli scarti prodotti del processo economico. Non può esistere un processo economico al di fuori della natura e pertanto abbiamo l’obbligo di comprendere come sia possibile vivere nei limiti che la natura stessa ci impone. Pensare di superare questi limiti ci ha condotto ad una situazione che è oggettivamente insostenibile dal punto di vista ambientale, sociale ed economico e proprio per questo Lester Brown già ammoniva nello “State of the World 1988” che la salute degli abitanti della Terra è inscindibile da quella del pianeta stesso. Attuare politiche di sostenibilità vuol dire soprattutto ridurre l’input di energia e materie prime nel processo economico.

“Vital Signs” è veramente un volume utilissimo perché raccoglie in poche pagine indicatori fondamentali che danno conto degli andamenti, nel tempo, di numerosi fattori che plasmano e indirizzano le nostre società in relazione all’utilizzo e alla trasformazione dei sistemi naturali.

L’ultimo “Vital Signs 2009” (edito, come sempre, da Norton vedasi www.worldwatch.org) riporta, tra l’altro, i dati sull’andamento del Prodotto globale lordo cioè il totale aggregato di tutti i beni e servizi prodotti a livello mondiale. Si tratta di informazioni che sono contenute regolarmente nei “World economic outlook” del Fondo monetario internazionale (vedasi www.imf.org) nonché di analisi puntuali di alcuni grandi economisti come Angus Maddison, professore emerito di economia all’Università di Groningen (vedasi www.ggdc.net/maddison).

Ebbene nel 2007 il prodotto globale lordo mondiale ha raggiunto i 72.300 miliardi di dollari. Dai dati dei precedenti “Vital Signs” si evince che nel 1950 il prodotto mondiale lordo era di 6.600 miliardi di dollari (rispetto al valore del dollaro nel 2000), il che equivaleva a circa 2.582 dollari pro capite annui.

Il prodotto mondiale lordo nel 2002 è stato di quasi 48.000 miliardi di dollari (rispetto al valore del 2000), equivalenti a una media di 7.714 dollari pro capite annui mentre nell’anno 2004 ha raggiunto la strabiliante cifra di 56.000 miliardi di dollari, con una crescita del 5.1% rispetto all’anno precedente, l’incremento più alto negli ultimi tre decenni, con una media pro capite di 8.753 dollari.
Oggi siamo a quota di ben oltre i 70.000 miliardi di dollari.
Questa continua, inarrestabile crescita economica è ovviamente possibile grazie alle modificazioni e distruzioni di interi ecosistemi, all’utilizzo continuo e crescente di risorse naturali, alla loro trasformazione, alla produzione di nuovi composti chimici, alla produzione di crescenti quantità di scarti e rifiuti solidi, liquidi e gassosi.

Sulla cifra degli oltre 72.000 miliardi di dollari l’economia degli Usa costituisce il 19% mentre quella della Cina è ormai del 16% (il prodotto lordo cinese nel 2007 ha avuto una crescita dell’11,7%), l’economia dell’India costituisce l’11% del prodotto globale lordo mentre quella dell’Unione Europea nel suo insieme costituisce il 21%.
N
el 2004 il governo cinese ha sottoposto il Pil della propria nazione a una rivisitazione secondo una metodologia che ha consentito di sottrarre al Pil stesso i costi dovuti all’inquinamento. La stima per quell’anno ha dimostrato che con questo semplice correttivo il Pil cinese del 2004 era inferiore di almeno il 3.1% rispetto al dato ufficiale.

Il noto economista, Jeffrey Sachs, direttore dell’Earth Institute della Columbia University e special adviser del Segretario Generale delle Nazioni Unite sugli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, ricorda nel suo ultimo libro ”Common Wealth. Economics for a Crowded Planet”, (pubblicato da Allen Lane nel 2008) che, con una popolazione in crescita entro il 2050 come indicato da tutte le previsioni delle Nazioni Unite (che potrebbe oltrepassare i 9 miliardi di abitanti mentre oggi siamo 6,7 miliardi), il prodotto globale lordo in quell’anno potrebbe essere di 420.000 miliardi di dollari.

La domanda che sorge spontanea è come sia veramente possibile che si possa continuare su questa strada senza creare una situazione di preoccupante collasso della nostra civiltà rispetto alla capacità dei sistemi naturali della nostra Terra di mantenerci. Quindi è del tutto evidente che l’attuale crisi economica e finanziaria ci obbliga a riflettere molto concretamente sulla straordinaria opportunità che abbiamo per modificare, finalmente, la rotta al nostro sistema economico globale basato sulla continua crescita materiale e quantitativa.

Torna all'archivio