[10/06/2009] Consumo

Gli effetti del global warming sui prezzi delle commodities agricole: il caso del the

FIRENZE. A causa della forte necessità di acqua (almeno 1300 mm/anno) e calore, le coltivazioni di the su larga scala sono diffuse solo tra la fascia circum-equatoriale e la sottozona calda della fascia temperata: India e Cina, entrambe con una produzione annua intorno alle 800.000 tonnellate (dati: Fao 2005) fanno la parte del leone, seguite da Kenya (328.000 t nel 2004), Sri Lanka (309.000 t), Turchia (205.000 t), Indonesia (170.000). La produzione mondiale nel 2004 è stata di circa 3,2 milioni di t, salita a 3,6 milioni nel 2006.

Il “Sole 24 ore” di oggi riporta un forte aumento dei costi all’ingrosso del the, causato dalla concomitanza di una domanda stabile e di una produzione in calo per motivi che il quotidiano economico attribuisce prevalentemente alle cattive condizioni climatiche: il prezzo del black tea kenyano è salito del 26% da inizio anno a fronte di una riduzione del raccolto del 6,9% rispetto all’anno precedente, mentre il the indiano è salito del 30% in un anno spinto da un calo di produzione che in quattro mesi ha raggiunto il 22%. Anche il the cingalese sconta un drastico calo di produzione, stimato del 29,3% in quattro mesi. I consumi globali sono invece in aumento, quantificato in circa il 4,8% per l’anno 2008.

In effetti secondo il Kenya metorological department, la stagione delle piogge appena terminata è stata «generalmente povera (..) sia in termini di apporti pluviometrici sia di distribuzione»: in molte stazioni sono state registrate precipitazioni inferiori alle medie del 60%, e in generale «gli apporti totali ricevuti dalla gran parte del paese non superano il 75% del valore medio».

Riguardo all’India, invece, dati del locale meteorological department indicano, per il periodo 1 marzo-31 maggio, un apporto precipitativo che è stato mediamente del 32% inferiore alla normalità: in particolare, i distretti dove gli apporti sono più intensi (es. il “corno” meridionale e la zona di Calcutta) hanno visto precipitazioni nella media o sopra, mentre nelle zone statisticamente più secche la riduzione delle precipitazioni ha raggiunto valori del 60%, in alcuni casi del 90%. Anche Sri Lanka ha visto una stagione pre-raccolta molto secca: le condizioni climatiche nel mese di febbraio (si consideri che la prima raccolta delle foglie avviene generalmente in aprile) sono giudicate «estremamente siccitose» nella quasi totalità dell’isola, e secondo il locale dipartimento di analisi «la media pluviometrica annuale è scesa di (..) circa il 7% nel periodo 1961-1990 rispetto al periodo precedente 1931-1960».

Ora, è chiaro che sulla quantità di raccolto hanno influito anche altre vicende: per esempio, non si può non addebitare i dati di Ceylon anche al conflitto tra le forze governative e le Tigri Tamil, e valutazioni analoghe possono essere avanzate per il Kenya, dove la situazione politica è spiccatamente instabile e incombe il rischio di una nuova guerra civile.

Ma occorre anche considerare che il prezzo del the, secondo la Fao, è tra i più stabili, rispetto ad altre commodities agricole: l’oscillazione dei prezzi del the tra il 1993 e il 2003 è stata al massimo nell’ordine del 2% (al ribasso), dato notevole se confrontato con i range di oscillazione che negli stessi anni hanno subito altre materie prime agricole come caffé (38%) e cacao (39%). E nell’anno 2005 era proprio la Fao a sostenere, per bocca di David Hallam del Fao Raw Materials Service, che «gli sviluppi recenti del mercato mondiale del the suggeriscono che i principali attori hanno avuto successo nel portare il mercato all’equilibrio».

Il forte calo di produzione contrasta anche con le previsioni di crescita che erano state prodotte dalla stessa Fao nel 2005, ma del resto la zona di coltivazione del the è da considerarsi una delle più esposte ai cambiamenti climatici, poichè essa è prevalentemente situata, nella zona di transizione tra il clima tropicale e quello temperato. Questa fascia climatica (che comprende, nella sua area settentrionale anche l’Italia) è sottoposta negli ultimi decenni ad una generale diminuizione delle precipitazioni (e un aumento della temperatura), causata dall’aumento di intensità della cella di Hadley, meccanismo atmosferico di trasporto di calore dall’equatore verso le zone temperate. In poche parole, è come se il clima sub-tropicale si stesse espandendo geograficamente, “inglobando” zone prima temperate.

E’ quindi da attendersi in alcune delle zone citate (es. Cina, India, Sri Lanka) una ulteriore diminuizione delle precipitazioni (al netto della dinamica di altri fenomeni, come ad esempio i monsoni), e in altre (es. Kenya) perlomeno una generale modificazione del clima in direzione di una maggiore instabilità e, quindi, di una minore predittibilità delle dinamiche meteorologiche. La singola annata siccitosa può essere una normale casualità climatica e non permette, di per sé, l’attribuzione delle cause al global warming, ma è altrettanto chiaro che nell’attuale fase di forte riscaldamento, ogni evento “al di fuori delle medie” è più probabilmente da attribuirsi proprio al global warming in corso, e meno probabilmente a una normale oscillazione climatica.

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