[09/06/2009] Aria

Gli Usa e le forche caudine cinesi del cambiamento climatico

LIVORNIO. Incontrando a Pechino l’inviato speciale dell’amministrazione Obama per il cambiamento climatico, Todd Stern, il vice primo ministro cinese, Li Keqiang, ha chiesto agli Usa un maggiore ordinamento tra i due Paesi che sono anche i maggiori produttori di gas serra del mondo.

«La Cina ha preso nota del cambiamento di posizione del governo americano sul cambiamento climatico – ha detto Li (nella foto con Stern) – così come delle misure positive che ha preso in materia. Il rafforzamento del dialogo e quello di una cooperazione sostanziale tra i due Paesi aiuteranno a intensificare le relazioni bilaterali e saranno utili alla cooperazione internazionale per la lotta contro il cambiamento climatico».

Stern ha detto che gli Usa sono pronti a rafforzare il dialogo e la cooperazione in campo energetico, dell’ambiente e del cambiamento climatico e a lavorare per il successo della Conferenza Onu sul clima di Copenhagen a dicembre. Secondo l’inviato speciale Usa, la conferenza Unfccc potrebbe approvare un nuovo Protocollo che rimpiazzi quello di Kyoto.

Dal canto suo Li Keqiang ha confermato che la Cina «Si atterrà al principio detto "obiettivo comune con responsabilità differenziate" tra i Paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo. Parteciperà attivamente ai negoziati e giocherà un ruolo costruttivo perché la Conferenza di Copenhagen possa ottenere dei risultati positivi. Il governo cinese promuove lo sviluppo sostenibile attraverso gli sforzi per affrontare la sfida del cambiamento climatico. Considera il risparmio energetico e la tutela ambientale come una strategia nazionale»

Stern ha riconosciuto che la Cina in questi ultimi anni ha fatto grandi progressi nella lotta al cambiamento climatico, ma non è a Pechino per fare i complimenti, ma per premere sul governo cinese perché si assuma maggiori responsabilità e si dia obiettivi più precisi per la riduzione delle emissioni di gas serra. Una missione difficile, visto il peso dell’eredità dell’immobilismo di George W. Bush, per lui ed il team di esperti che sta viaggiando nei Paesi in via di sviluppo per convincerli ad un’azione comune a Copenhagen per l’approvazione di un nuovo accordo climatico.

A Pechino, tappa difficile e cruciale della strategia negoziale Usa, Stern si è portato una squadra di tutto rispetto: il consulente della Casa Bianca per la scienza John Holdren e David Sandalow, l’assistente per l’energia di Hillary Clinton. Stern non si aspetta certo di trovare immediatamente un accordo con i cinesi, ma conta che questa visita possa contribuire ad impostare attraverso la Cina “capofila” un nuovo dialogo sul climate change con i Paesi in via di sviluppo.

Le forche caudine cinesi sono d’altronde un passaggio obbligato: Cina ed Usa insieme sono responsabili del 40% delle emissioni di gas serra mondiali ed entro il 2030 le emissioni cinesi potrebbero essere il doppio di quelle statunitensi.

A maggio era toccato al presidente della commissione esteri del Senato Usa, John Kerry, tastare il polso alle intenzioni cinesi ed ha concluso la sua visita dicendo «Copenhagen sarà definita da quel che gli Stati Uniti e la Cina concorderanno nelle prossime settimane».

La Cina non vuole per sé obiettivi temporalmente vincolanti di limitazione delle emissioni, ma ha introdotto per le auto vincoli di emissioni tra i più severi al mondo e sta investendo massicciamente nelle energie rinnovabili. Il Congresso Usa intanto sta esaminando la legge per ridurre entro il 2020 le emissioni di gas serra del 17% rispetto ai livelli del 2005, ma Stern ha detto che questa decisione statunitense «sarebbe inutile senza impegni da parte della Cina».

Il 20 maggio la Commissione nazionale per lo sviluppo della Cina (Ndrc) ha reso nota la posizione di Pechino riguardante la Conferenza di Copenhagen, invitando i Paesi sviluppati a tagliare entro il 2020 le loro emissioni di almeno il 40% rispetto ai livelli del 1990. Ma il Congresso Usa sta valutando tagli del 4% rispetto a quel periodo di tempo.

Secondo il vice direttore del Ndrc, Xie Zhenhua, «Che la Cina prevede che più di 85 miliardi di dollari dei 586 miliardi del Piano di stimolo economico vadano ad iniziative di risparmio energetico, riduzione delle emissioni ed altri progetti legati al cambiamento climatico.

Jiang Kejuan, direttore dei sistemi energetici della Ndrc, rilancia: «Le politiche di risparmio energetico prodotte del governo cinese sono già la più grande iniziativa di risparmio energetico e di riduzione delle emissioni in tutto il mondo. Il governo cinese ha già fatto abbastanza bene».

Secondo Zhang Haibin, un docente di politica internazionale dell’Università di Pechino, «Negli ultimi mesi c’è stato un cambiamento di atteggiamento da parte di entrambi i governi. L’amministrazione Obama, al contrario dell’amministrazione di George W. Bush, accetta le norme internazionali sulle modalità per misurare la riduzione delle emissioni di carbonio.
Anche la Cina con i passati leader cinesi voleva risultati subito, più a lungo e meglio, quando partecipava ai climate change talks. Ma ora la Cina riconosce che il suo futuro è legato alla low-carbon economy».

Zhang non si aspetta però grandi cose dai colloqui in corso a Bonn e a Pechino: «Entrambe le parti sono preoccupate che l´altra parte si avvantaggi con le decisioni in materia di cambiamento climatico»

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