[08/06/2009] Consumo

Blitz di Greenpeace: Geox la scarpa che non fa respirare l’Amazzonia

LIVORNO. Dopo la pubblicazione dell’inchiesta “Amazzonia, che macello”, che mette in evidenza colpe, complicità e silenzi di grandi marche internazionali ed italiane rispetto al mercato di carne e pelle che in Amazzonia sta provocando un vero e proprio disastro ambientale e sociale, Greenpeace è passata all’attacco direttamente nel cuore della moda italiana, a Milano, prendendo di mira una delle aziende che punta di più su un’immagine innovativa e “pulita”: la Geox, quella delle scarpe che respirano.

I volontari dell’associazione ambientalista hanno “picchettato” uno dei principali negozi dell’azienda mettendo davanti all’entrata una scarpa che fuma e ricoprendo le vetrine con immagini di foreste.

«Chiediamo alla "scarpa che respira" di far respirare anche l´Amazzonia e il nostro clima» hanno detto gli ambientalisti.

Geox è accusata di essere complice della distruzione dell´ultimo polmone verde del pianeta perché acquista la pelle per le sue scarpe dal Gruppo Mastrotto che a sua volta «si rifornisce di pelle brasiliana da uno dei super macellai che distruggono l´Amazzonia: Bertin. Abbiamo dimostrato come, dagli allevamenti nel cuore dell´Amazzonia, dove il lavoro schiavile e l´invasione delle terre indigene sono la norma, i bovini arrivano ai macelli controllati da tre grandi aziende: Bertin, JBS, Marfrig che vendono carne e pelle a grandi marchi in tutto il mondo».

Gli attivisti di Greenpeace hanno spiegato: « Aspettiamo di incontrare i vertici di Geox per chiedere di non acquistare da allevamenti e aziende che sono legate alla distruzione dell´Amazzonia e sostenere un´immediata moratoria sulla deforestazione di questo ricchissimo ecosistema. Ogni 18 secondi un ettaro di foresta amazzonica viene distrutto. E il motivo potrebbero essere le scarpe che indossiamo, i divani nei nostri salotti e la carne in scatola che finisce nei nostri piatti. Per questo, grazie alla cyberazione di Greenpeace, migliaia di persone stanno scrivendo alle aziende coinvolte chiedendo una soluzione».

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