[03/06/2009] Comunicati

Dopo Alia arriva il monsone e in Bangladesh si muore per mancanza di acqua potabile e diarrea

LIVORNO. Una settimana dopo il passaggio devastante del ciclone Alia sul Bangladesh, gli abitanti di una vasta area del Paese e del vicino stato indiano del Bengala Occidentale fanno i conti con la mancanza di acqua potabile dovuta alla contaminazioni di pozzi e sorgenti. A lanciare l’allarme è Mohammad Badi Akhter, responsabile delle operazioni di Oxfam a Dacca: «Questa terribile situazione deve essere migliorata. Il governo si appella alle Ong perché rafforzino le loro operazioni, in particolare riguardo all’acqua, al risanamento ed all’igiene».

Gli sforzi del governo del Bangladesh, delle Ong e dell’Onu per portare aiuti umanitari non hanno ancora raggiunto molte migliaia di isolani del golfo del Bengala ed anche nella parte più interna sono centinaia le persone ancora isolate nelle loro povere abitazioni circondate dalle acque. La situazione si sta facendo veramente preoccupante: «Non vedo alcuna possibilità di ritirata delle acque prima della fine del monsone, vale a dire prima della fine del mese di settembre» ha spiegato all’agenzia Irin un ingegnere idraulico di Sharankhola, nel distretto di Bagerhat.

Oxfam spiega che il bacino dei fiumi Gange, Brahmaputra e Meghna, è una delle regioni del mondo più esposte alle catastrofi naturali, le coste del Bangladesh sono regolarmente colpite da cicloni tropicali ed un terzo del territorio del Paese ogni anno è interessato dalle inondazioni provocate dal monsone. Quest’anno i due fenomeni si sono uniti in un effetto devastante per la natura e per l’uomo. Le conseguenze potrebbero essere quindi molto peggiori di quanto ci si aspettava dopo una catastrofe naturale che ha già avuto dimensioni devastanti. Intanto il cibo continua a scarseggiare ed alcuni villaggi colpiti non hanno ancora ricevuto nessun aiuto.

Nel disastro del Delta del Gange dimenticato dai media sono al lavoro Unicef, le agenzie umanitarie dell’Onu, Croce Rossa, Oms, Action contre la Faim, ActionAid, Brac, Care, Caritas, Catholic Relief Services, Ong Forum, Islamic Relief, Muslim Aid, Save the Children Usa, Solidarités, Oxfam GB e Water Aid che cercano in qualche modio di soccorrere più di 3 milioni e 200 mila persone colpite da Alia il 25 maggio in 14 dei 64 distretti del Bangladesh e i 145 000 profughi che hanno dovuto abbandonare le loro case e le loro isole coperte dalle acque. Ma secondo una stima resa nota il primo giugno sono almeno 600 mila le persone rimaste senza tetto dopo il passaggio del ciclone.

Alla mancanza di acqua potabile si aggiunge la fame e le cure, e il nutrimento distribuite dalle organizzazioni umanitarie rischia di essere poche gocce in un mare di disperazione e malattie. Il ciclone Aila ha provocato il cedimento di 1.400 chilometri di dighe di protezione dalle inondazioni, esponendo migliaia di villaggi all’impatto dell’arrivo del monsone, così ogni giorno l’alta marea e l’acqua si infiltrano attraverso le dighe danneggiate ed inondano le comunità costiere, mentre gli abitanti cercano con i loro pochi mezzi rimasti di riparare le barriere protettive. Una lotta che sembra vana e il monsone sta annientando interi villaggi.

Gli stagni e i pozzi, principale risorsa di acqua dolce delle regioni costiere, sono ormai quasi tutti contaminati e la gente percorre chilometri alla ricerca di acqua da bere, intanto il governo sottolinea un aumento dell’incidenza di diarrea che colpisce ormai decine di migliaia di persone. Secondo Akhter «La diarrea è una vera fonte di preoccupazioni. Nel solo distretto di Satkhira, 10 persone sono decedute per la diarrea in un giorno».

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