[26/05/2009] Consumo

Uomo, animali, dematerializzazione e sostenibilità

FIRENZE. Vedere una mucca non è un’esperienza così insolita, vedere un bue di chianina grande quasi quanto un ippopotamo sì. Avviene a Ruralia, festa della società e dell’economia rurali, organizzata dalla provincia di Firenze, la cui tredicesima edizione si è chiusa domenica al parco mediceo di Pratolino (Firenze).

In realtà, osservando i pervenuti appare evidente che la vere attrazioni non sono il bue gigante, i cavalli da dressage o i galli da esposizione: ciò che affascina i partecipanti (in grande prevalenza famiglie con bambini) sono proprio le mucche in sé, i cavalli, gli asini, i galli. Sono loro, gli animali “comuni”, che passano la giornata circondati da capannelli di folla plaudente, mentre ben poca attenzione è dedicata ai cosiddetti “fenomeni”.

Ruralia, più che la festa del mondo rurale, è la festa degli uomini moderni che riscoprono le proprie radici, la festa dei cittadini che (per un giorno) ritornano alla campagna narrata dai nonni o dai genitori. Ruralia è scoprire che, come viene spesso narrato nelle fiabe moderne, il latte non viene dallo scaffale del supermercato, ma dalla mucca. E che la carne dell’hamburger che tanto piace ai bambini non si materializza per magia, ma deriva dall’uccisione e macellazione di quei pacati ruminanti.

Appare tutto, ed è tutto, contraddittorio, come da sempre contraddittorio è stato il rapporto tra l’uomo e le altre specie animali: i cavalli ricevono gli «oooh» della folla, che li rispetta e li osserva. Ma appena finito il loro show ad uso e consumo di un’altra razza, ritornano mestamente in scuderie appena più grandi del loro corpo maestoso. Emblematico è anche osservare il puledro di pony che, lasciato libero di scorrazzare fuori recinto mentre la madre trasporta bambini sui viali del parco, si trova circondato da decine di persone, tutte intenzionate a toccarlo, a fotografarlo, ad accarezzarlo.

E il povero puledro, che guarda caso ragiona da puledro e non da homo sapiens, non pensa che per gli umani sorridere (cioè mostrare i denti) significa esprimere amicizia, e non capisce che le persone intorno non sono pericoli: terrorizzato, scappa per ogni dove, inseguito da bambini che vogliono “solo” accarezzarlo, ma che lo inseguono come una muta di cani.

E poi ci sono i galli da esposizione, tanto belli e tanto ammirati, ma tenuti in gabbie di dimensioni ignominiosamente ridotte. E gli asini, che tutti corrono a vedere, ma che sono tenuti sotto il sole quasi per l’intera giornata. E infine ci sono i serpenti in una mostra dedicata, anch’essi ammirati da folle di bambini tremanti, e da adulti che sembrano osservare i rettili con rispetto: ma che rispetto è quello di tenere serpenti di oltre un metro in teche di 50x60x50?

Insomma, da qualunque parte ci si voltasse, erano le contraddizioni a imperare. Le stesse contraddizioni che caratterizzano, da sempre, il rapporto tra la specie umana e le altre specie animali. Ciò è particolarmente evidente quando ci troviamo davanti al mondo rurale, e quindi anche davanti alle sue celebrazioni: il cibo che mangiamo, il buon latte e le uova che ci nutrono, le rilassanti escursioni a cavallo che compiamo in vacanza altro non sono che i prodotti di una vera e propria schiavitù imposta ad altre specie. Una schiavitù che a volte finisce in modo cruento (è il caso degli animali da macello), altre volte si limita ad una forma di cattività indotta e perenne (i cavalli, gli asini), ma che comunque resta tale.

Ma, anche se fa male pensarlo, è evidente che proprio questa schiavitù da noi imposta ad altre specie a far sì che ogni giorno sulla nostra tavola arrivino hamburger, bistecche, latte e uova: se non ci fosse questa schiavitù, non potremmo assumere proteine animali.

E’ un po’ una metafora del modo in cui (da sempre) dialoghiamo con il resto della biosfera, sia dal punto di vista (essenzialmente di matrice etica) del “rapporto con la natura”, sia da quello (più concreto) relativo all’implicita insostenibilità dell’approccio che abbiamo nei confronti del capitale naturale: l’economia e la società umane, da sempre, hanno avuto la caratteristica di agire tramite il prelievo e la trasformazione di risorse energetiche e materiali prevalentemente limitate. Questo carattere di finitezza, però, è stato sistematicamente e deliberatamente ignorato, ed è stata solo l’evidenza della degradazione ambientale prima, e del cambiamento climatico oggi, a permettere la (tuttora ridotta) affermazione di processi produttivi più sostenibili.

Niente di originale certo, e perfino potrebbe apparire un po’ banale o ingenua come riflessione. Anche perché poi in realtà le proteine animali hanno contribuito insieme a tutti gli altri effetti della crescita, ad aumentare la qualità della vita e la durata stessa della vita di milioni di persone. Non è quindi qui in discussione la legittimità o meno di mangiare carne animale, ma l’importanza del farlo in maniera consapevole.

Discorso simile, ma ancora più perentorio, vale per il pianeta che ci ospita: l’utilizzo delle sue risorse potrà ridursi, e in particolare è legittimo attendersi un futuro che, almeno dal punto di vista dell’energia, vedrà un sempre minore tasso di consunzione delle risorse per unità di Pil prodotto (ma la quantità continuerà a crescere). E anche dal punto di vista della materia, l’efficientazione, il recupero e il riuso potranno migliorare enormemente rispetto ad oggi, ma sperare in una completa dematerializzazione è pura utopia. Sarebbe come sperare di mangiare carne (carne vera, non quelle colture proteiche da clonazione che oggi sono in via di sviluppo come alternativa al consumo di carne) senza uccidere il bue: impossibile.

E quindi, siccome sappiamo che questo grande bue che è il pianeta, sulla cui schiena viviamo, dovrà continuare ad essere tagliato a fettine, perlomeno abbiamo il dovere (e la convenienza) di far sì che ciò avvenga in modo sobrio (usando solo quello che ci serve), pulito (adottando modalità di prelievo e di processo il meno inquinanti possibile sotto tutti i punti di vista, sia a monte, sia all’interno, sia a valle del sistema), e in ultima analisi sostenibile, cioè in modo che permetta sia al bue-animale, sia al bue-pianeta, di continuare a fornirci ciò che ci serve anche domani, non solo oggi. E l’impellenza di evolvere subito il sistema è legata ad un motivo sostanziale, cioè al fatto che per fortuna (nostra) il bue-animale non si ribellerà mai, mentre il bue-pianeta, invece, si sta già ribellando.

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