[22/05/2009] Rifiuti

Misurate le nanopolveri emesse da inceneritori e caldaie domestiche

LIVORNO. La presenza di polveri ultrafini (Pu) nei fumi emessi dai termovalorizzatori è sistematicamente inferiore (almeno 100 volte) a quelle nei fumi delle caldaie civili alimentate a pellet di legna o a gasolio, mentre è superiore (almeno del doppio) alle nanopolveri emesse dalle caldaie a gas.
Questi sono i risultati dello studio commissionato da Federambiente al Laboratorio energia e ambiente Piacenza e condotto dai professori Stefano Cernuschi, Michele Giugliano, Stefano Consonni e Aldo Coghe (Politecnico di Milano), Enrico Bergamaschi ed Agostino Gambarotta (Università degli Studi di Parma) e Pietro Apostoli (Università degli Studi di Brescia), che aveva l’obiettivo «d’inquadrare e valutare criticamente la fenomenologia, la consistenza e le potenziali implicazioni delle emissioni di particolato ultrafine (dimensioni inferiori a 0,1 μm) e nanopolveri (dimensioni inferiori a 0,05 μm) da impianti di combustione».

Lo studio è stato presentato oggi in un convegno a Milano e partendo dalle conoscenze scientifiche oggi disponibili sulla formazione di polveri in impianti di combustione fissi (caldaie) e mobili (motori a benzina e diesel), le emissioni che ne derivano, l’incidenza delle sorgenti civili e industriali, i meccanismi d’azione e i potenziali effetti sulla salute umana, ha poi impostato una campagna di rilevamenti su sorgenti fisse.

Sono state quindi valutati i contributi della frazione ultrafine e delle nanopolveri nelle emissioni di piccole centrali termiche per il riscaldamento delle abitazioni alimentate a pellet, gasolio e gas naturale, e di impianti industriali per la combustione dei rifiuti con recupero energetico.

Le misure hanno interessato tre impianti di termovalorizzazione di rifiuti esemplificativi delle tecnologie più recenti adottate in Italia, e una serie di caldaie per riscaldamento civile alimentate con combustibili rappresentativi delle varietà riscontrabili nel nostro paese.

«Per la ricerca – ha spiegato Michele Giugliano, del Politecnico di Milano coautore della ricerca- sono state utilizzate una linea di campionamento, attrezzata con il sistema proposto dall´Agenzia statunitense per la protezione ambientale (EPA CTM-039) e una linea di misura, che impiega un impattore elettrico multi-stadio a bassa pressione (ELPI). Il sistema è in grado di rilevare sia a ´caldo´ sia a ´freddo´ (dopo condensazione) particelle di dimensione tra 0,007 µm e 10 µm».

Il confronto è stato effettuato tra il numero di particelle ultrafini rilevato nell’aria ambiente utilizzata quale aria comburente (ovvero quella necessaria per far avvenire il processo nell’impianto) e quindi indicativo della componente ambientale preesistente al processo, con quello misurato nei prodotti di combustione e quindi nelle emissioni.

Le concentrazioni più elevate sono state riscontrate nelle caldaie alimentate a pellet, (valore medio: 46 milioni di particelle per cm3) con scarsa influenza nella formazione di particelle nei processi di raffeddamento. Il numero di particelle rilevato per la caldaia a gasolio è invece compreso in un intervallo molto ampio (da un minimo di 8 milioni di particelle per cm3 a un massimo di 67 milioni) In questo caso i processi di raffreddamento comportano un forte incremento delle concentrazioni.

In ambedue i casi le concentrazioni allo scarico risultano largamente superiori a quelle nell’aria ambiente utilizzata per la combustione (mediamente 28•000 particelle per cm3). In linea con le diverse caratteristiche del combustibile, i risultati per le caldaie alimentate a gas naturale mostrano concentrazioni molto più ridotte, con valori medi di 4.500 particelle per cm3, sistematicamente inferiori a quelli nell’aria utilizzata per la combustione.

Per gli impianti di termovalorizzazione di rifiuti, le misure sono state condotte sull’impianto Silla 2 di Milano, sull’impianto di Brescia e su quello di Bologna.

Nel primo caso le concentrazioni al camino sono risultate comprese tra 11•000 e 17.000 particelle per cm3, sempre inferiori al livello medio rilevato nell’aria ambiente dell’impianto (pari a 32•000 particelle per cm3.) Non dissimili i risultati per l’impianto di Brescia, con concentrazioni al camino oscillanti tra 4.000 e 9.000 particelle per cm3, a fronte di una concentrazione media di 14.000 particelle per cm3 nell’aria comburente. Per l’impianto di Bologna le misure indicano concentrazioni leggermente superiori a quelle degli altri due impianti, con valori compresi tra 42.000 e 70.000 particelle per cm3 a fronte di una concentrazione media nell’aria ambiente di circa 19.000 particelle per cm3.

Quindi i rilevamenti effettuati nella campagna sperimentale hanno messo in evidenza che le concentrazioni di polveri ultrafini dei termovalorizzatori sono simili a quelle nell’aria ambiente, se non più basse; di poco superiori e quella nei fumi di caldaie civili alimentate a gas naturale e sempre inferiore (almeno 100 volte) a quelle nei fumi delle caldaie civili alimentate a pellet di legna o a gasolio.

«Le emissioni di polveri ultrafini (PU), inteso come il materiale di dimensioni tra 0,007 e 0,1 μm, sono risultate in linea con la qualità del combustibile, le modalità di combustione e la presenza e configurazione delle linee di depurazione» si legge nella sintesi del rapporto.
Per tutte le tipologie di impianto indagate, le emissioni risultano caratterizzate dalla larga prevalenza di frazioni ultrafini e nanopolveri, con un’apprezzabile presenza della componente di origine secondaria costituita da nuclei di nuova formazione e polveri condensate per effetto della diluizione e del raffreddamento dei gas.

Un dato che sottolinea l’importanza dei fenomeni che hanno luogo in atmosfera, con la produzione di Pu aggiuntive a quelle formate nella combustione e conferisce un importante elemento di cautela ai risultati dello studio, segnalando la necessità di tener ben presente il ruolo della componente secondaria nella formulazione dei protocolli di misura.

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