[22/05/2009] Comunicati

In equilibrio sul mondo, aspirando ad avere un futuro anche domani di Gianfranco Bologna

ROMA. Il grande biologo della Harvard University, Edward Wilson, ha affermato nel suo libro “L’armonia meravigliosa” (Mondatori, 1999) che: “Poche persone osano dubitare che il genere umano si sia creato un problema di dimensioni planetarie. Anche se nessuno lo desiderava siamo la prima specie a essere diventata una forza geofisica in grado di alterare il clima della Terra, ruolo precedentemente riservato alla tettonica, alle reazioni cromosferiche e ai cicli glaciali. Dopo il meteorite di dieci chilometri di diametro che precipitò nello Yucatan, ponendo fine all’era dei rettili sessantacinque milioni di anni fa, i più grandi distruttori della vita siamo noi. Con la sovrappopolazione ci siamo creati il pericolo di finire il cibo e l’acqua. Ci attende dunque una scelta tipicamente faustiana: accettare il nostro comportamento corrosivo e rischioso come prezzo inevitabile della crescita demografica ed economica, oppure rianalizzare noi stessi e andare alla ricerca di una nuova etica ambientale”.

Un altro grande biologo, Stephen Palumbi, dell’Università di Stanford, mostra con numerosi esempi eloquenti, come l’intervento della nostra specie stia accelerando i ritmi dell’evoluzione biologica, soprattutto tra le specie con cui viviamo a più stretto contatto: quelle che costituiscono i nostri alimenti ed i nostri parassiti.

Palumbi scrive nel suo bel libro “L’evoluzione esplosiva. Come gli esseri umani provocano rapidi cambiamenti evolutivi” (Giovanni Fiorii editore, 2003): ”Il nostro impatto sull’evoluzione è aumentato con i farmaci, con il controllo chimico dei parassiti e la capacità di plasmare l’ambiente fisico e biologico per soddisfare i nostri bisogni. Così, siamo diventati la forza evolutiva più potente della Terra. A parte forse il meteorite che si ritiene abbia provocato l’estinzione dei dinosauri, siamo i migliori candidati a vincere la medaglia d’oro per lo sconquasso planetario, il giorno che sarà considerato ufficialmente uno sport da Olimpiadi".

Anche il grande storico John McNeill, professore alla Georgetown University, scrive nella sua lucida analisi della storia dell’ambiente del XX secolo, “Qualcosa di nuovo sotto il sole. Storia dell’ambiente del XX secolo” (edizioni Einaudi, 2002) che: “Inconsapevolmente, il genere umano ha sottoposto la Terra a un esperimento non controllato di dimensioni gigantesche. Penso che, con il passare del tempo, questo si rivelerà l’aspetto più importante della storia del XX secolo: più della Seconda guerra mondiale, dell’avvento del comunismo, dell’alfabetizzazione di massa, della diffusione della democrazia, della progressiva emancipazione delle donne”.

McNeill tra le altre cose ha poi scritto anche un interessante articolo scientifico sulla rivista “Ambio” della Royal Swedish Academy of Sciences (l’Accademia scientifica che ogni anno nomina i Premi Nobel) insieme ai grandi studiosi delle scienze del sistema Terra, Paul Crutzen, premio Nobel per la chimica e Willy Steffen, sul fatto che le prove scientifiche sin qui acquisite ci documentano che ormai ci troviamo in un periodo geologico che possiamo definire Antropocene (proposta fatta per la prima volta da Paul Crutzen nel 2000) tanto sono evidenti i segni e la pressione dell’intervento umano a livello planetario su tutte le sfere con le quali indichiamo le componenti della nostra Terra, atmosfera, geosfera, idrosfera e biosfera.

Lo stesso McNeill (vedasi il suo sito http://explore.georgetown.edu/people/mcneillj/ ) ha documentato come, dal decennio del 1890 al decennio del 1990, la pressione umana sulle risorse è andata crescendo in maniera straordinaria: la popolazione umana è cresciuta di un fattore 4, la popolazione urbana di un fattore 13, l’economia mondiale di un fattore 14, l’output industriale di un fattore 40, l’uso dell’energia di una fattore 16, la produzione di carbone di un fattore 7, le emissioni di anidride carbonica di un fattore 17, l’uso dell’acqua di un fattore 9, la cattura delle risorse ittiche di un fattore 35 ecc.

Dai dati dei cosiddetti “segni vitali” (“Vital Signs”) resi noti dal Worldwatch Institute (è stato pubblicato da poco il nuovo “Vital Signs 2009” edito da Norton) si può verificare come tutte le nostre attività continuino inesorabilmente a crescere.
Prendiamo, ad esempio, le automobili.

La “flotta” mondiale di automobili ha sorpassato i 600 milioni (al 2008 eravamo sui 622 milioni), erano 500 milioni nel 2000 e solo 53 milioni nel 1950.
La Cina ha continuato ad espandere non solo la sua produzione di autoveicoli ma anche il numero di automobili in possesso dalla sua popolazione. Attualmente si calcola siano sulle strade cinesi qualcosa come 43-47 milioni di autoveicoli, una cifra simile a quella presente negli Stati Uniti nel 1947.

Nel 2008 la produzione annuale di auto ha raggiunto secondo Global Insight i 75.8 milioni. Nel 2007 il Giappone ha prodotto 11 milioni di autoveicoli, gli Stati Uniti 10.5 milioni, la Cina 8.1 milioni. La produzione annuale in Cina si sta sempre più avvicinando a quella statunitense e con buone probabilità nel 2009 potrebbe essere la stessa. Gli altri grandi produttori sono la Germania, con 6 milioni, la Corea del sud con 4 milioni, poi seguono Francia, Spagna, Brasile, Canada e Messico ciascuno con produzioni tra 2-3 milioni di unità e l’India che, con 1.95 milioni si colloca al 10° posto in questa classifica del 2007.

Il settore trasporti è responsabile di circa un quarto dell’utilizzo energetico mondiale ed ha la crescita più rapida di emissioni di carbonio rispetto ad ogni altro settore dell’economia. Il trasporto su strada copre oggi il 74% di tutte le emissioni di anidride carbonica dovute complessivamente al settore trasporti a livello mondiale.

E’ evidente che non è possibile continuare su questa rotta.
È proprio la scienza dell’ambiente che lancia un chiaro allarme perché il nostro pesante intervento sulla natura sta intaccando il funzionamento delle basi naturali che garantiscono la sopravvivenza dei nostri sistemi “artificiali”, così come sono attualmente presenti sul nostro pianeta.

Non comprendere questo vuol dire ignorare ciò che la scienza sta documentando e, soprattutto, vuol dire impedire una necessaria rivoluzione culturale che aiuterebbe ad essere veramente capaci di futuro e, quindi, a cambiare in positivo le nostre modalità di relazione con i sistemi naturali.

E chiudo proprio con un ultima citazione di Edward Wilson, dal suo libro “Il futuro della vita” (Codice Edizioni, 2002) che scrive: “Consideriamo l’essenza dell’ambientalismo come è stata definita dalla scienza. La Terra, a differenza degli altri pianeti del sistema solare, non è in equilibrio fisico. Dipende dal suo guscio che è vivo e crea le particolari condizioni in cui la vita è sostenibile. Il suolo, l’acqua e l’atmosfera sulla superficie si sono evoluti nel corso di centinaia di milioni di anni fino alla loro condizione attuale grazie all’attività della biosfera, uno strato meravigliosamente complesso di creature viventi le cui attività sono collegate tra loro in cicli globali precisi, ma fragili, di energia e materia organica trasformata. La biosfera ricrea il nostro mondo speciale ogni giorno, ogni minuto e lo mantiene in un eccezionale e scintillante disequilibrio fisico. Di questo disequilibrio la specie umana è completamente schiava. Quando modifichiamo la biosfera in una qualsiasi direzione, allontaniamo l’ambiente dalla danza delicata della biologia. Quando distruggiamo ecosistemi e annientiamo le specie, degradiamo il più grande patrimonio che questo pianeta abbia da offrire e in tal modo minacciamo la nostra stessa esistenza. Non siamo scesi su questo mondo come esseri angelici. Né siamo alieni che hanno colonizzato la Terra. La nostra specie si è evoluta qui, una fra molte, nel corso di milioni di anni ed esiste in quanto miracolo organico, collegato ad altri miracoli organici. L’ambiente naturale che trattiamo con tanta insensata ignoranza e sconsideratezza è stata la nostra culla, il nostro asilo, la nostra scuola e continua ad essere la nostra unica casa. Siamo profondamente adattati alle sue particolari condizioni, in ogni singola fibra del corpo e in ogni singolo processo biochimico che ci dà la vita. Questa è l’essenza dell’ambientalismo, il principio ispiratore di quanti si occupano della salute del pianeta. Ma non è ancora una visione del mondo molto diffusa – evidentemente è ancora troppo poco persuasiva per distogliere molti dai diversivi primari dello sport, della politica, della religione e delle ricchezze personali.”.


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