[19/05/2009] Energia

Cronache dal Belpaese, Puglia: si all´eolico in aree agricole, ma non in uliveti...

FIRENZE. Confrontando alcuni dati relativi alla situazione italiana contenuti nel “Green data book 2009” della World bank con altri che analizzano quanto avviene in altri paesi ad alto reddito, si possono evidenziare alcuni aspetti non inediti, ma sicuramente interessanti. Per esempio, il dato aggiornato conferma che il Belpaese è tuttora caratterizzato da una superficie agricola (50% sul totale) molto superiore alla media dei paesi ad alto reddito (38%), e poco sopra quella dell’area Euro, che secondo i dati 2008 era del 47%. Altri dati indicativi della particolarità italiana sono la densità di popolazione rurale (245 individui/kmq di suolo arabile, contro una media dei paesi ad alto reddito di 323) e la superficie boscata che, sia pure nella difficoltà di omogeneizzazione dei dati a causa delle diverse definizioni che il termine “bosco” può assumere, viene stimata dalla banca mondiale nel 33,9%, contro una media del 28,8% negli altri paesi con reddito annuo pro capite superiore a 11116 $.

Un paese, quindi, che davanti alla media delle altre nazioni ricche si caratterizza per una maggiore superficie agricola, un maggiore tasso di forestazione, una minore densità abitativa nelle aree rurali. Ciò è coerente anche col dato sull’urbanizzazione (Italia 68% contro una media di 78).

Altri dati interessanti sono quelli energetici: l’Italia usa in generale poca energia (3125 Kg Petrolio eq pro capite, di fronte a una media di 5416 negli altri paesi ricchi), ma soprattutto è caratterizzata da una forte efficienza energetica del sistema produttivo, poichè produce 9,1 $ (a parità di potere d’acquisto 2005) per kg di petrolio equivalente utilizzato, contro una media di 6,3 in realtà analoghe.

Quindi, dal punto di vista quantitativo, l’Italia svetta per l’efficienza dell’utilizzo energetico. Se però osserviamo l’aspetto qualitativo (cioè consideriamo che di tutta l’elettricità prodotta sul suolo nazionale, l’82,7% deriva da combustione di fossili contro una media del 62% negli altri paesi ricchi) possiamo comprendere come questa efficienza sia una vera e propria anatra zoppa.

Leggendo i dati qui messi in sequenza, se ne potrebbe dedurre quindi una facile ricetta su quali priorità perseguire nella politica energetica: valorizzare le aree agricole, approfittando della condizione di bassa densità abitativa che caratterizza la penisola, e utilizzare la maggior parte possibile della superficie (compatibilmente con la necessità di tutelare il paesaggio) per l’installazione di impianti a rinnovabili, al fine di evolvere il sistema energetico verso una necessaria, progressiva diminuizione della quota-fossili nella torta energetica.

Tutto molto semplice, quindi, tutto molto lineare, apparentemente. In realtà, resta però da affrontare lo scoglio più significativo, e cioè il rapporto di questi impianti col territorio (e quindi con la popolazione) che li accoglie. E questo in Italia, come noto, si declina con difficoltà, sia per motivi culturali (campanilismo, basso radicamento delle politiche partecipative, ridotta diffusione dell’informazione mediatica e della cultura accademica), sia soprattutto per questioni legate alla peculiarità del territorio e alla natura del comparto rurale nazionale stesso, i cui componenti (a volte, dal loro punto di vista, con ragione, altre volte in maniera più pretestuosa) tendono ad opporsi all’installazione di impianti da rinnovabili, in primis l’eolico.

Il motivo di ciò lo sappiamo: se il paesaggio è una ricchezza, un vero e proprio fattore produttivo (e in vaste parti del Belpaese ciò corrisponde al vero), ogni elemento di sua perturbazione viene considerato un depauperamento. Su considerazioni analoghe si basa la sentenza del Tar della Puglia (983/2009, 12 maggio) riportata ieri dal “Sole 24 ore”, che ha dato la patente di legittimità ad una delibera del comune di Bitonto (Bari) con cui l’amministrazione consentiva l’installazione di impianti eolici nei suoli agricoli, impedendone però la messa in opera su terreni utilizzati per le colture olivicole.

Una decisione che è giudicata coerente con i principi affermati nel Dlgs 387/2009, e nelle leggi della regione Puglia in materia energetica, riguardo al diritto di discrezionalità che le amministrazioni locali rivestono in materia di localizzazione degli impianti sul territorio. Diciamo quindi che, dal punto di vista del metodo, la delibera citata non fa una grinza.

Ma, riguardo al merito della questione, la vicenda sembra invece rivestire un carattere surreale. La necessaria diffusione dell’eolico, infatti, sta ponendo il problema di quali compromessi individuare per l’installazione di impianti in zone ben più delicate degli oliveti, sia dal punto di vista ecologico, ma anche da quello del paesaggio. Pensiamo ad esempio ai crinali appenninici, o alle aree protette, e pensiamo anche a quale impatto avrà, in un futuro sempre più vicino, l’inizio dell’era dell’eolico off-shore anche davanti alle coste italiane.

Occorre quindi che la classe dirigente prenda la questione di punta, e individui (nella maniera più partecipata possibile) quali compromessi attuare per affrontare la questione. Compromessi che però devono prendere come invariante l’obiettivo di una diffusione degli impianti a rinnovabili molto, molto maggiore rispetto alla situazione odierna: c’è un paesaggio da tutelare, una popolazione da tutelare, ma anche un sistema energetico che necessariamente deve evolversi, anche per opporre concrete alternative alle velleità governative di rilancio del nucleare. Servono buoni compromessi, appunto. E, francamente, vista la natura tuttora in buona parte rurale del territorio italiano e la grande diffusione delle colture olivicole, consentire l’eolico sulle aree generalmente classificate come “agricole”, ma non in quelle a olivo, appare decisamente un compromesso al ribasso.

Torna all'archivio