[18/05/2009] Aria

La priorità della lotta ai cambiamenti climatici e il vicolo cieco di Lomborg

LIVORNO. La crisi economica e finanziaria che ha determinato lo sconquasso dell’economia americana e che è dilagata nel resto del pianeta sino all’Europa sta mostrando tutta la sua intensità. I consuntivi statistici di Eurolandia relativi al primo trimestre di quest’anno confermano le previsioni più nere con cadute del pil a -4,6% con valori del -6,9% in Germania, del -5,9% in Italia, -4,6 in Spagna, -4,1 in Gran Bretagna e “solo” del -3,2 in Francia e dilaga anche nel resto d’Europa, soprattutto nei paesi dell’est colpendo anche la Russia. La crisi va a vele spiegate, quindi, anche se gli analisti annunciano già segnali di ripresa e continuano a dibattere casomai se l’andamento sarà a U o a W, avendo già abbandonato l’idea della V, dal momento che la crisi non è certo da considerarsi congiunturale.

Sulle manovre per affrontarla, l’Unione europea si è mossa in ordine sparso e l’Italia ha fatto anche meno degli altri paesi, come ha sottolineato anche il direttore del Fondo monetario internazionale Dominique Strass Khan. Ma, come abbiamo evidenziato più volte, l’Italia non è solo il fanalino di coda per la manovra economica, bensì per gli interventi che non hanno minimamente incrociato, a differenza di altri paesi, e particolarmente l’amministrazione di Obama, la crisi economica con quella ecologica e climatica in atto, sfruttando il significato di opportunità di cambiamento che il termine crisi contiene in sé.

Un approccio quello della nuova amministrazione americana, volto a investire per rilanciare l’economia intervenendo particolarmente sugli aspetti utili ad impostare politiche per contrastare i cambiamenti climatici che, a detta dell’ecoscettico Lomborg, non avrebbe però incrociato le priorità del popolo americano, dato che «il riscaldamento globale - come sostiene in un suo articolo pubblicato dal Sole 24 ore di domenica - è ormai diventato il problema a più bassa priorità tra gli americani». A parte che la ricerca cui si riferisce Lomborg, effettuata da Pew, è stata condotta su un campione esiguo della popolazione (1500 persone) c’è comunque da sottolineare che al vertice delle priorità c’è l’economia e al sesto posto l’energia, e che quindi la politica economica di Obama improntata sull’affrancamento energetico puntando sullo sviluppo delle energie rinnovabili, sembra assolutamente in linea con quanto auspicato dagli americani del campione.

Ma l’obiettivo di Lomborg è quello di mettere l’accento sulla necessità di non cadere nelle maglie della «lotta ai cambiamenti climatici (come) il compito più importante della nostra epoca» perché «è una tesi che sta palesemente perdendo la battaglia per conquistare il cuore e la mente della popolazione» e mette in guardia, quindi, dal trovare una soluzione a Copenhagen per un accordo internazionale sul clima, sull’onda di quello avviato a Rio de Janerio e definito cinque anni dopo a Kyoto, che ha dato risultabili insignificanti e li avrebbe dati in egual misura anche se fosse stato applicato a pieno.

Un avvertimento che proprio alla firma del protocollo di Kyoto era stato fatto presente da parte del mondo ambientalista, (che lo definì come dare un’aspirina ad un malato di broncopolmonite) ma se non ci fosse stato nemmeno quello, gli interventi di mitigazione che sono stati presentati a Venezia nel Libro bianco della commissione europea, ovvero le misure necessarie per adattare le attività umane al futuro aumento del livello dei mari, delle ondate di calore e della siccità, sarebbero stati certamente più ingenti. in quanto ormai inevitabili perché nessuna politica di riduzione delle emissioni di Co2 riuscirebbe a frenare i certi cambiamenti del clima.

Su una cosa si può concordare con Lomborg, che da una posizione negazionista sul global warming è passato adesso ad una più accondiscende del problema, che si può fare molto di più e di meglio rispetto alle misure che lui definisce «raccapriccianti» previste nel protocollo di Kyoto.
Partendo da quella che dichiara come un’opzione migliore rispetto a «promesse di riduzione delle emissioni ancora più drastiche, che probabilmente ancora una volta, non verranno mantenute» ovvero «rendere fonti energetiche a basse emissioni come l’energia solare un’alternativa reale e competitiva con le vecchie fonti energetiche» e «porre fine alla nostra dipendenza dai combustibili fossili».

Posizioni su cui siamo perfettamente d’accordo. Resta da chiedersi quale sia la strada che vorrebbe imboccare Lomborg per raggiungere questo condivisibile obiettivo, che non appare nel suo articolo, se non quella di rendere sempre più costoso utilizzare queste fonti fossili, penalizzandone il consumo (anche attraverso drastici tagli alle emissioni di quella C02 che producono in quantità) e al tempo stesso incentivando le fonti rinnovabili ( e la ricerca volta al loro miglioramento, dallo stesso Lomborg auspicata), l’efficienza e il risparmio energetico. La strada indicata dall’Unione Europea.

Considerando anche il fatto che la strategia dei tagli alle emissioni, onerosa per i comparti che non riusciranno a rispettarli, potrà fornire una parte delle risorse per mettere in atto quelle politiche di mitigazione necessarie , come dice il Libro bianco della Commissione, comunque.

E che le politiche rivolte ad incentivare lo sviluppo delle energie rinnovabili, come quelle impostate dall’amministrazione Obama, sono certamente un volano anche per affrontare la crisi economica in atto, ponendo le premesse per non tagliare il ramo sul quale siamo seduti. Se Lomborg conosce un’altra strada, che la faccia presente. Ogni contributo, pur che sia costruttivo, è sempre utile.

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