[14/05/2009] Energia

Butera: «Errato il modello energetico concentrato e dunque il ritorno al nucleare»

LIVORNO. Oggi il Senato è chiamato al voto finale sul ddl sviluppo che prevede anche tutte le misure pro-atomo a partire dall´istituzione dell’agenzia per la sicurezza nucleare, delineandone il ruolo e l´organizzazione. Voto scontato, così come scontato appare il successivo passaggio alla Camera, per il quale il Governo ha già annunciato l’eventuale ricorso alla fiducia.

L´Agenzia dovrà svolgere "le funzioni e i compiti di autorità nazionale per la regolamentazione tecnica, il controllo e l´autorizzazione ai fini della sicurezza delle attività concernenti gli impieghi pacifici dell´energia nucleare", mentre al governo spetterà il compito di scegliere tecnologie e dove piazzare le nuovi centrali, luoghi scelti – verrebbe quasi da ridere - «con un processo partecipativo» come hanno sostenuto il ministro Scajola e il suo vice Adolfo Urso.

Il governo ha già incassato il niet deciso di diverse regioni (in primis Puglia e Toscana), e delle associazioni ambientaliste, anche se la speranza è che si tratti dell’ennesimo bluff di questo governo, un bluff che in ogni caso deve preoccupare, diceva ieri nel suo intervento su greenreport il fisico Massimo Scalia, in quanto «questa operazione mina la già compromessa situazione delle fonti energetiche rinnovabili».

Abbiamo chiesto un commento sul possibile ritorno del nucleare in Italia anche a Federico Butera (Nella foto), professore ordinario di Fisica tecnica ambientale al Politecnico di Milano e coordinatore dell’unità di ricerca “Energia e ambiente costruito” del dipartimento Best, che da oltre trent’anni svolge attività di ricerca e di divulgazione nel settore dell’efficienza energetica e delle fonti rinnovabili nell’ambiente costruito.
«Questo nucleare è obsoleto e non ha senso – spiega Butera – L’Italia ipotizza di ripartire ora con una tecnologia che è vecchia e superata e che sarà pagata con soldi pubblici cioè nostri, perché giustamente i privati non ci vogliono mettere un soldo. Tutto questo mentre la ricerca di base in Italia non si finanzia più, siamo il fanalino di coda in Europa e le nostre università appaiono nella classifica mondiale dopo la duecentesima posizione... Ma al di là di tutte le varie questioni irrisolte (sicurezza, scorie radioattive, approvvigionamento…). quello che ritengo più grave è questa volontà di perseguire un modello energetico concentrato che ormai non ha alcun senso logico. Il futuro energetico è sostenibile se diffuso sul territorio e non abbiamo assolutamente bisogno di nuove centrali da 2mila MW, di qualunque genere siano. Mi spiego meglio: le grandi centrali che abbiamo già non devono essere tolte, ma devono essere lette sempre di più come soluzioni di emergenza per modulare la distribuzione di energia e sopperire a picchi di richiesta che le fonti rinnovabili diffuse sul territorio non possono coprire. Le centrali nucleari questo non lo possono garantire, perché o vanno al massimo della loro potenza o non vanno».

La necessità di evolversi verso la generazione distribuita di energia è un suo (ma anche nostro) cavallo di battaglia, ampiamente descritto anche nel suo libro “Dalla caverna alla casa ecologica”. Eppure è un concetto ancora piuttosto lontano dalla mentalità comune, che invece sulle fonti rinnovabili ha raggiunto una buona consapevolezza.
«Il massimo dell’uso razionale dell’energia si ottiene attraverso unità che siano contemporaneamente produttori e consumatori di energia. L’esempio classico tira in ballo internet: 25 anni fa avevamo pochi giganteschi calcolatori e poi tanti terminali stupidi che ricevevano informazioni. Oggi nell’era di internet ogni calcolatore elabora informazioni, riceve informazioni, e manda informazioni. Ecco, questo è il modello a cui dovrebbe approdare anche la rete energetica: non più flussi unidirezionali, ma flussi che vanno avanti e indietro. Questo sistema permette grandi vantaggi, ma permette soprattutto di sfruttare a pieno le rinnovabili, che sono per loro natura diffuse, risolvendo anche il problema dell’accumulo, visto che la fonte rinnovabile è imprevedibile. Per questo la diffusività dovrebbe essere a livello di quartieri».

La rivoluzione energetica annunciata da Obama in America, passa proprio attraverso una ristrutturazione della rete. In Italia e in Europa invece si punta al super-grid….
«Ho molta fiducia in Obama e spero che riesca a completare i suoi programmi, per quanto riguarda il super grid ritengo che sia proprio il contrario della diffusività delle rinnovabili, visto che punta a portare in Italia l’energia prodotta da centrali solari nei deserti africani: di fatto trasforma la dipendenza da un liquido o da un gas a una dipendenza elettronica, cioè l’Algeria invece del gas ci manda energia elettrica... E’ vero che si tratta pur sempre di rinnovabili e quindi è preferibile, ma significa anche non voler toccare il paradigma energetico della centralizzazione».

La sua attività scientifica ha anche avuto sbocco nell’assistenza alla progettazione di edifici e insediamenti a basso impatto energetico e ambientale e a emissioni zero. Tema al centro della tavola rotonda a cui parteciperà al Festival dell’energia che si svolge in questi giorni a Lecce.
«Sì, sono ospite di questa manifestazione che mi sembra molto interessante soprattutto per la buona visibilità che ha, anche se poi ovviamente bisogne vedere che in che modo e cosa si dice dell’energia. Per quanto riguarda gli edifici a bassa o nulla emissione ricordo che il parlamento europeo ha recepito la necessità di proibire, nel giro di qualche anno, la costruzione di edifici che non siano energeticamente passivi: dal 2019 tutti i nuovi edifici dovranno essere ad emissioni zero, l’Inghilterra ha già anticipato tale scadenza al 2016 e la stessa cosa la stanno valutando la Francia e addirittura l’Ungheria. E’ vero che il nuovo rappresenta una frazione piccolissima rispetto all’esistente, ma proiettandoci alla data fatidica del 2050 per il contenimento dei 2 gradi di aumento, con un 1% di nuovi edifici l’anno arriviamo al 30% totale. Ciò significherà anche una forte crescita dal punto di vista della capacità progettuale e quindi una riconversione verso un’economia più sostenibile».

In Italia però assistiamo alla danza del gambero: anche i lenti e faticosi passi buoni del governo Prodi, per esempio sul fronte della certificazione energetica degli edifici, vengono azzerati dalla corsa all’indietro dell’attuale governo.
«Esatto. Oltretutto l’Italia sarebbe facilitata nell’applicazione di tecnologie di questo genere grazie alla sua situazione climatica. Ma essendo tutto bello e positivo i nostri politici dicono no, anzi diranno: chi se ne frega del 2050? Nel 2050 io sarò morto, mi interessa piuttosto essere eletto domani. E così possiamo mettere già nel conto delle procedure di infrazione Ue anche queste norme che non rispetteremo».

A Lecce presentate però l’unico edificio italiano davvero a emissioni zero, costruito da un imprenditore marchigiano per ospitare i suoi dipendenti. Non pensa che le imprese, non sarebbe la prima volta, potrebbero avere uno sguardo più lungo della politica?
«No, non lo credo. Anche perché l’imprenditore marchigiano non è del settore edilizio e invece proprio le imprese delle costruzioni sono le più restie ad innovare e sono anche quelle che determinano la politica del governo. L’unica speranza è che noi consumatori si riesca ad indirizzare le scelte dei produttori. Ma per fare questa rivoluzione culturale non sarà sufficiente una generazione, e questo è un tempo che non possiamo permetterci perché è incompatibile con la sopravvivenza del pianeta».

L’accusa di catastrofismo e pessimismo che spesso viene indirizzata agli ambientalisti, agli economisti ecologici e agli scienziati non la preoccupa?
«Sì. E infatti chiudo con una speranza orlata di ottimismo: siccome siamo un paese fatto da politici privi di cultura e creatività, capaci solo di imitare, sono molto fiducioso in Obama perché i nostri politici prima o poi lo copieranno. La cosa si aggiusterà anche da noi quindi seppur in ritardo rispetto agli altri paesi».

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