[11/05/2009] Consumo

Nel Diario della crisi il Censis comincia a pensare al dopo... ma è poco sostenibile

LIVORNO. Si chiama “Diario della crisi” e il Censis ne ha pubblicati quattro (da gennaio ad aprile) con l’idea di “leggere la difficile fase che il Paese sta attraversando in modo ancorato il più possibile ai dati reali”. «Il momento di difficoltà – spiega il Censis nell’introduzione - è innegabile, ma una lettura indistinta della situazione, come quella oggi più diffusa, rischia di suscitare un disorientamento generalizzato e controproducente ai fini di un’auspicabile reazione collettiva. Per il momento la crisi si presenta a “mosaico”, è concentrata soprattutto in alcuni focolai, ci sono cioè settori produttivi, territori e categorie di soggetti più esposti e sotto pressione di altri. Individuare e separare i focolai della crisi è l’obiettivo di queste riflessioni».

Di solito è sconsigliato saltare subito alle conclusioni, ma avendo letto tutto il Diario, ci pare che per l’analisi sia interessante vedere che cosa ha scritto Giuseppe De Rita a commento di questo quarto e ultimo capitolo. Intanto il titolo: “Cominciare a pensare il dopo” tema sul quale De Rita aggiunge subito questa riflessione: «la domanda può apparire impropria, quasi si desse per scontato che la crisi è già passata e che possiamo più o meno inconsciamente dedicarci ad altro», ma la domanda è invece giusta, «perché il pericolo oggi è proprio quello di seguire l’onda delle grandi emozioni medianiche, drammatiche da ottobre a marzo e poi ambiguamente tranquille; rischieremo con ciò che tutto passi oltre, senza alcuna cosciente segnatura della serietà del periodo che abbiamo attraversato. Pensare al dopo non è un’operazione di scettico andare avanti, ma una rinnovata responsabilità».

Ecco, il cuore dell’analisi di greenreport della crisi sta proprio qui, non su quello che è stato (di cui ormai si è detto ci pare tutto o quasi), ma sul come si riparte non solo per non ricadere presto o tardi negli stessi errori che ci hanno portato alla crisi, bensì sul come si riesce ad arginare la crisi ecologica parallela a quella economico-finanziaria anche in Italia. Crisi per affrontare la quale è, secondo noi, fondamentale un cambio di paradigma economico, ancorandolo alla sostenibilità ambientale e sociale (con buona pace di Alessandro Merli che non condivide questa opinione e anzi giudica fuori moda parlare proprio di un ‘nuovo paradigma’).

Necessario sia a livello globale, sia a livello nazionale ed è esattamente qui che le già citate conclusioni di De Rita lasciano un po’ sgomenti, anche se è meglio prima andare con ordine.

Si chiede l’autore del rapporto dopo l’analisi dei risultati del sondaggio sulla crisi ad aprile: «Ma c’è davvero il peggio nel dopo, come molti pensano? (…) il concreto comportamento degli italiani (che è sempre più veritiero delle risposte ai sondaggi) sembra orientato a costruire una evoluzione futura su alcune opzioni collettive condivise: l’accettazione delle regole europee e l’appartenenza ormai convinta all’Euro; un equilibrio sempre più cosciente fra meno debiti e più risparmio; una temperanza non pauperistica dei consumi; un più osmotico rapporto fra responsabilità pubbliche e private; una del tutto nuova crescita del microwelfare; la maturazione di una dimensione comunitaria, non solo come processo sociale, ma anche come responsabilizzazione piena de poteri amministrativi locali».

Sembrerebbero argomentazioni allusive a una auspicata sobrietà e che potrebbero nascondere almeno potenzialmente i semi di un modello di consumo più sostenibile e anche di comportamenti più virtuosi capaci di sopravvivere al dopo crisi, ma De Rita aggiunge: «Bastano questi processi per innervare una nuova linea di sviluppo del Paese? Producono quella seconda metamorfosi di cui il Censis aveva parlato nell’ultimo Rapporto? Se restassero soli, senza altri più dinamici processi, la risposta dovrebbe esser negativa».

E prosegue: «Ma essi sono comunque una formidabile base di solidità (addirittura più matura di quella che ci ha permesso di reagire alla crisi degli ultimi mesi) e per affrontare il futuro, specialmente se ad essa si accompagnerà una ripresa dell’iniziativa del sistema di imprese, ripresa di cui già si comincia a intravedere l’emergere. Il dopo non sarà quindi – conclude - né l’automatico ritorno allo Strapaese passato, né la continuazione della molteplice adattabilità dimostrata da ottobre ad oggi, né verosimilmente la caduta nel peggio; sarà comunque un qualcosa di nuovo, senza eventi di gloria ma nella abituale e quasi dimessa lunga durata della nostra storia».

Il malcelato pessimismo che ci accompagna quando si tratta di parlare dell’Italia ci farebbe dire che De Rita ha ragione e siamo convinti anche che quel qualcosa di nuovo che però relegherebbe l’Italia a un futuro in linea con la sua “abituale e quasi dimessa” lunga durata della sua storia significa, dal punto di vista della sostenibilità, avrebbe effetti disastrosi.

Questo perché quelle costrizioni imposte dalla crisi che, leggendo il Diario, hanno portato gli italiani a scelte quali “maggiore spesa etica”; “voglia di risparmiare”, con le auto GPL, o i prodotti a basso consumo energetico, sono andate di pari passo a “comprare molto spendendo poco”, il discount, i prodotti generici (che rappresentano il 13% del mercato), percentuale che è destinata a crescere; “sfruttare gli incentivi economici”, non solo quelli statali, ma anche gli sconti e le offerte speciali: il valore di queste vendite è aumentato del 5%; “il valore della praticità”, ad esempio i cosiddetti prodotti ortofrutticoli di “quinta gamma”, cioè quelli già lavati e tagliati, sono gli unici del comparto alimentare che hanno aumentato le vendite (+5%); “l’innovazione” che gratifica sempre gli acquirenti. I prodotti tecnologici “funzionano” solo se hanno un contenuto di innovazione, cioè se sostituiscono un prodotto ritenuto obsoleto e quindi soddisfano il bisogno di essere all’avanguardia (per esempio passare dal telefonino allo smartphone). Che in buona sostanza significa che i consumi sono cambiati ma non diminuiti e senza praticamente alcun criterio di sostenibilità.

Il bottone, infatti, per far cambiare marcia al mercato o meglio per riorientarlo alla sostenibilità non ce l’ha nessuno, questo è scontato, ma in Italia manca anche un input politico che punti a questo percorso – indaffarato com’è nel mandar via i migranti conquistando un consenso del 75% - e quindi il mercato ovviamente fa da sé e i consumatori si adeguano di scenario in scenario. Con questo governo, con questa società civile, con questo contesto europeo incapace di dar forza all’idea di un modello economico diverso e non ottenebrato dalla crescita a tutti i costi, c’è solo da sperare che quanto sta praticando Obama finisca per travolgere anche i Paesi più reticenti. Infine, il quadro "sociale" di De Rita appare il contrario del comportamento politico dell´elettorato, quindi ci sarebbe ampio spazio per un´opposizione capace di interpretarlo...

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