[11/05/2009] Comunicati

Il distretto tessile pratese tra presente e futuro sostenibile (5)

FIRENZE. Per qualche giorno Prato è assurta agli onori delle cronache elettorali nazionali ma i fattori di fondo di questa complessa realtà sociale sono rimasti in ombra. Fattori che nel modello di produzione “tradizionale” pratese (di ordine culturale, economico ed istituzionale) risultano fondamentali nella riproducibilità del modello stesso: la cooperazione sociale, il sistema di relazioni informali, l’alta disponibilità alla flessibilità nei rapporti di lavoro; la cultura locale incentrata sull’etica del lavoro e di appartenenza, la forte propensione all’iniziativa individuale e il ruolo delle amministrazioni locali nella mediazione degli interessi; in ultima analisi la coesione sociale.
Ma, oggi, il pessimismo diffuso sulle capacità di riproduzione del distretto tessile, può costituire, un fattore moltiplicatore della crisi sociale e poi di quella economica, in una realtà che aveva fatto delle “crisi”, reversibili e cicliche, il connotato del modello produttivo in rapporto alle fluttuazioni del mercato. Crisi che erano viste anche come opportunità di cambiamento e di adeguamento ai tempi e alle nuove sensibilità.

Ma ora appare chiaro che l’intero sistema di fattori è in crisi, il che non significa affatto che il distretto non sia in grado di reagire, ma potrà farlo cambiando paradigmi, sociali prima di tutto.
Il primo: che il lavoro che occupa tutta la vita non è più gradito con conseguenze notevoli anche sul piano della cooperazione e della flessibilità. Lavorare per vivere è diventato luogo di tensioni. Il lavoro come mezzo di vita e non come una delle parti della vita e il suo contrario, la disoccupazione, sono vissuti, ora, come il punto debole dell’intero sistema sociale e di relazioni, fino a subire la precarietà e la prospettiva della disoccupazione come perdita di capacità di controllo della propria vita, delle proprie capacità di scelta e come maggiore o totale dipendenza dagli eventi esterni.

Ed è proprio chi ha avuto una forte identificazione col lavoro svolto che vive la crisi come “perdita” che può procurare un vuoto terribile. Maggiore è l’identificazione col proprio lavoro, più elevato è il posto che occupa nella gerarchia dei valori di una persona, più dura e carica di effetti negativi sarà la perdita.

Così le valutazioni intorno alla riproducibilità degli stessi fattori caratteristici del distretto tessile sono più improntate ad un diffuso pessimismo che in termini di opportunità e cambiamento. Il secondo: il lavoro e le sue condizioni perciò devono tornare al centro del dibattito e del sistema sociale, come cultura diffusa, non nella versione totalizzante ma come espressione di una qualità della vita (saper essere) superiore che, trova nel lavoro la riunificazione tra conoscenza (crescente) e saper fare (capacità), attraverso lo sviluppo di nuove forme di adattamento rispetto a quelli che già Keynes chiamava «…disturbi di una crescita fatta di mutamenti troppo rapidi, e dolori di riassestamento da un periodo economico ad un altro».
(5. continua)

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