[08/05/2009] Comunicati

In difesa della biodiversità di Gianfranco Bologna

ROMA. Il recente G8 Ambiente tenutosi a Siracusa non è riuscito a produrre passi in avanti significativi per favorire l’importantissimo nuovo negoziato sulla riduzione delle emissioni di gas serra (che dovrebbe chiudersi nella 15° Conferenza delle Parti della Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici che avrà luogo nel prossimo dicembre a Copenaghen), ma ha prodotto una Carta di Siracusa sulla Biodiversità che ci auguriamo non resti soltanto, come purtroppo siamo abituati a vedere in queste occasioni, una lista di buone intenzioni. Ormai sappiamo bene che la perdita della biodiversità, della straordinaria ricchezza della vita sul nostro Pianeta frutto di quasi 3,8 miliardi di anni, costituisce un gravissimo problema provocato dai cambiamenti globali che il nostro intervento sta producendo su tutti i sistemi naturali. Non è un caso infatti che la comunità internazionale, già con il piano di azione del Summit mondiale sullo sviluppo sostenibile di Johannesburg del 2002 e con il documento finale del World Summit alle Nazioni Unite del 2005, si è data l’obiettivo di ridurre significativamente il tasso di perdita di biodiversità entro il 2010.

L’estinzione è un fenomeno naturale nella storia della vita sulla Terra ed è generalmente definita come un processo evolutivo che porta alla scomparsa di un taxon (e cioè di un genere, di una specie o di una sottospecie) o di una popolazione di esseri viventi. Quando una specie si estingue il suo patrimonio genetico e la speciale e unica combinazione di geni che essa possiede sono definitivamente perduti. L’estinzione di una specie implica la scomparsa di tutte le sue popolazioni e quando ciò accade le comunità a cui appartenevano tali popolazioni vengono irrimediabilmente impoverite. Nella dinamica evolutiva, il reciproco dell’estinzione è la speciazione, ossia il processo generativo che porta alla nascita e allo sviluppo di nuove specie a partire da un’unica specie originaria.

Dal punto di vista evolutivo l’estinzione si verifica anche indipendentemente da elementi perturbativi di grande portata. Una specie può evolversi in un’altra specie in risposta a piccoli cambiamenti ambientali o in seguito a mutamenti casuali nel pool genico. In ogni caso l’estinzione, come la speciazione, fa parte del naturale processo evolutivo dei viventi.

Gli studiosi sono soliti distinguere tra quella che viene definita “estinzione di fondo” e altri eventi di estinzione, particolarmente forti e concentrati, che coprono anche vaste dimensioni spaziali. Si parla in questo secondo caso di “estinzione di massa”.

L’estinzione di fondo va avanti da miliardi di anni; anche i fenomeni delle estinzioni di massa si sono verificati, stando a quanto sin qui siamo stati in grado di verificare da oltre 500 milioni di anni. Sono entrambi elementi essenziali dei meccanismi evolutivi. Negli ultimi 500 milioni di anni, fin dall’inizio del Cambriano, gli scienziati hanno individuato prove importanti relativamente a cinque grandi estinzioni di massa; ma su almeno altri ventitré eventi di estinzione, le cui dimensioni farebbero pensare a un numero di organismi estinti maggiore di quello imputabile all’estinzione di fondo, si stanno focalizzando ulteriori e più approfondite ricerche.

Le estinzioni di massa possono essere causate sia da attività dinamiche presenti sulla Terra – come l’attività vulcanica, l’alterazione nel chimismo delle acque dei mari, i cambiamenti climatici significativi e le variazioni nelle dinamiche delle placche tettoniche della superficie del pianeta – sia da cause esterne, ad esempio, dall’impatto di meteoriti o comete o dalla fluttuazione della radiazione solare.

Le cinque estinzioni di massa – individuate dai paleontologi nell’arco degli ultimi 500 milioni di anni – hanno determinato la scomparsa di consistenti percentuali di specie viventi fino ad allora presenti sulla faccia della Terra. In questo lungo periodo di tempo le cinque estinzioni si sono verificate, rispettivamente, nel periodo Ordoviciano (440 milioni di anni fa), nel Devoniano (365 milioni di anni fa), nel Permiano (245 milioni di anni fa), nel Triassico (210 milioni di anni fa) e, infine, nel Cretaceo (66 milioni di anni fa).

Tra una fase e l’altra delle estinzioni di massa è proseguita la dinamica evolutiva dei sistemi naturali. A dimostrazione della fragilità in cui versa la biodiversità planetaria proprio nell’ultimo numero della prestigiosa rivista scientifica “Proceedings of the National Academy of Sciences” (www.pnas.org) è stato pubblicato un interessantissimo lavoro sullo stato della fauna anfibia del Madagascar di David Vieites, Katharina Wollenberg, del nostro Franco Androne del Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino, Jorn Kohler, Frank Glaw e Miguel Vences dal titolo "Vast underestimation of Madagascar´s biodiversity evidence by an integrative amphibian inventory".

Il Madagascar sembra essere un vero ‘paradiso’ per le rane: questo team di zoologi tedeschi, italiani e spagnoli ha infatti scoperto che almeno altre 130-200 specie attendono di essere scoperte e descritte, nonché adeguatamente protette.

La fauna anfibia del Madagascar è già molto elevata e attualmente conta circa 250 specie, tutte endemiche e introvabili altrove: quest’isola, grande due volte l’Italia, è fra le aree di maggior interesse naturalistico al mondo e vanta una fauna e una flora davvero uniche. Lo studio sulla fauna malgascia è stato oggetto di attenzione da parte del team fino dall’inizio degli anni ’90. Negli ultimi 15 anni sono state scoperte oltre 100 nuove specie di rane in Madagascar, cosa che ha indotto a credere che l’inventario tassonomico fosse pressoché completo. Invece questo dato è stato contraddetto, in quanto le ulteriori ricerche hanno mostrato che ci sono molte più specie di quanto si sospettasse.

Infatti, molte di queste nuove specie sono note solo per piccole e ristrette foreste del Madagascar ancora non protette da una concreta azione di conservazione. In uno sforzo senza pari il team ha altresì condotto uno screening genetico di oltre 3000 esemplari di rane e di girini provenienti da tutto il Madagascar. I risultati delle analisi genetiche hanno subito evidenziato che questi animali differivano significativamente dalle specie più affini già note. Ciò ha permesso di identificare quelle che sono state definite “specie candidate” e che attendono di essere descritte formalmente.

Come risultato degli screening i ricercatori hanno identificato un incredibile numero di specie di rane di cui almeno 130 finora ignote per la scienza. Alcune di queste sono state identificate non solo geneticamente ma anche osservando molti altri caratteri fra cui morfologia, colorazione e repertorio sonoro. Oltre a queste specie ve ne sono almeno altre 90 anch’esse probabilmente nuove per la scienza poiché presentano codici genetici divergenti ma per le quali non sono ancora disponibili altri caratteri diagnostici. Numeri tanto elevati di specie nuove erano sempre associati alla scoperta degli insetti e altri invertebrati, ma non si pensavano caratteristici di vertebrati come le rane, anche con una media di 100-150 specie descritte annualmente da tutto il mondo, principalmente da regioni tropicali. Solo a titolo di comparazione l’Italia, che è già una regione estremamente ricca di anfibi in Europa, ospita “solo” una quarantina di specie di anfibi.

Generalmente pensiamo di conoscere pressoché tutto sulle specie di animali e di piante del nostro pianeta. Ma il secolo delle scoperte è appena iniziato e gran parte delle forme di vita sulla Terra ancora attende di essere scoperta e descritta, ma mentre i ricercatori le studiano la distruzione ambientale avanza senza pietà.

Durante gli ultimi anni, Il Madagascar, uno dei paesi più poveri al mondo, ha fatto passi da gigante per proteggere la sua natura unica, ma all’inizio di quest’anno, purtroppo, un colpo di stato ha provocato la caduta del presidente eletto Marc Ravalomanana, con l’instaurazione di una autorità di transizione. Nel conseguente “vuoto di potere” che è seguito, è mancata la garanzia di protezione delle ultime foreste pluviali e persino riserve e parchi nazionali, come quello di Marojejy nel Nord-Est dell’isola, hanno subito in questi giorni il saccheggio di prezioso legname protetto e un incremento di bracconaggio e di commercio illegale di animali e piante. Inoltre, l’industria dell’eco-turismo, un importante fonte di reddito per il paese, è tragicamente collassata e le aree protette sono nuovamente sotto la pressione delle pratiche agricole di “taglia e brucia”, negative per la salvaguardia dell’ambiente e della biodiversità.

Il Wwf Internazionale sta promuovendo diversi progetti in loco per consentire il riscatto sociale ed economico di un popolazione tra le più povere con la conservazione e la corretta gestione del proprio patrimonio ambientale. La popolazione dell’isola, infatti, cresce ad un ritmo di 2,8% ogni anno e a fine 2009 sarà di 19,6 milioni di abitanti (nel 1950 era di soli 4 milioni e nel 2050 sarà di 42.7 milioni). Il 38% degli abitanti è sottonutrito a fronte di un costante saccheggio delle risorse naturali da parte dei paesi più ricchi. Trenta aree protette, per una superficie di 9.955 Km quadrati, sono appena sufficienti a tutelare il 3,2% dell’intera copertura forestale dell’isola, veramente troppo poco per garantire la conservazione di specie e ambienti tanto rari anche perché la pressione umana ha già provocato negli ultimi decenni, erosione dei suoli, desertificazione e mutamenti nella struttura vegetazionale per oltre il 70% della superficie originariamente coperta da foreste.

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