[05/05/2009] Rifiuti

Flussi di materia e sostenibilità: la Cina riduce l´eccedenza di capacità produttiva

LIVORNO. La commissione cinese per lo sviluppo e le riforme ha annunciato ieri l’intenzione di ridurre la forte eccedenza di capacità produttiva esistente per vari metalli ferrosi e non ferrosi. Sui giornali generalisti italiani non può essere certo una notizia che desta particolare scalpore, tanto che anche il Sole 24 Ore la relega in una delle pagine più ignorate (ma anche più di nicchia) del suo giornale, quella finestrella sulle materie prime affogata nel mare delle tabelle di titoli, fondi assicurativi e borse varie che occupano le ultime 5 pagine del quotidiano economico italiano. Eppure proprio il mercato delle commodities rappresenta la fotografia più reale della situazione economica globale, dei suoi effetti, delle contromosse predisposte dai vari governi e quindi dei flussi di materia e di energia.

In questo caso Pechino ha annunciato che entro l’anno sarà ridotta la capacità di fusione di rame (300mila tonnellate), piombo (600mila), zinco (400mila), mentre entro il 2010 la scure si abbatterà sull’allumino (800mila tonnellate) ed entro il 2011 sarà la volta della ghisa (72 milioni di tonnellate) e dell’acciaio grezzo (25 milioni di tonnellate).

Al di là dell’entità dei tagli (per esempio, giusto per dare un parametro quantitativo di riferimento: secondo la World steel association nel 2009 la produzione mondiale di acciaio sarà in calo del 14,9% a 1,02 miliardi di tonnellate nel 2009), resta significativo il fatto che un Paese costretto a inseguire una crescita del Pil a due cifre per evitare disoccupazione e quindi tensioni sociali che avrebbero conseguenze gravissime, pianifichi la riduzione di qualcosa. Che in questo sono appunto materie prime come il rame, il piombo, addirittura l’acciaio, tutti elementi alla base dello sviluppo economico, che come ricorda giustamente nel suo editoriale sempre sul Sole di oggi Guido Tabellini ha prodotto «l’uscita dalla povertà di molti paesi emergenti: nel 1970 quasi il 40% della popolazione mondiale viveva sotto la soglia di povertà (meno di un dollaro di reddito giornaliero), e nel 2000 questa frazione si era dimezzata».

Il problema allora è, ancora una volta, quale tipo di crescita, o meglio ancora quale tipo di sviluppo è sostenibile per il nostro pianeta e per le generazioni future e quale invece non è sostenibile. Siamo troppo lontani (mentalmente e geograficamente) per capire se dietro la riduzione annunciata da Pechino ci sia un mero colpo di accetta quantitativo o se pure, come ci auguriamo, la Cina sia stata in grado di selezionare e individuare rami produttivi obsoleti e caratterizzati da inutili sprechi di energia e di materia. E se soprattutto sarà in grado di governare anche socialmente questa riconversione.

Quello che piuttosto ci preoccupa, per tornare a situazioni a noi più vicine, è che in questo valzer di accordi, tatticismi e speranze che oggi vedono in Fiat il miracolistico salvatore dell’industria automobilistica, si rischia di sottovalutare un aspetto. Il mercato automobilistico occidentale è e resterà ormai per sempre un mercato di sostituzione, e come tale è necessario da una parte rimetterlo giustamente in moto per essere in grado di fargli cambiare traiettoria e indirizzarlo verso uno sviluppo inevitabilmente più lento ma sicuramente più duraturo. Dall’altra parte però uno sforzo altrettanto grande dovrà essere fatto per governare socialmente una riduzione della capacità produttiva dell’intero settore e del suo indotto: la parabola è inevitabile, ma essa potrà consumarsi per inerzia con il mercato che dolorosamente espellerà per ‘selezione naturale’ i rami meno produttivi (o comunque insostenibili), oppure potrà essere accompagnata da azioni politiche che come potature chirurgiche consentano di sopportare a piccole dosi il rimarginamento delle ferite, magari innestando contemporaneamente nuovi rami che vadano in direzione più equa e sostenibile per l’intera pianta.

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