[04/05/2009] Recensioni

La Recensione. La veduta corta di Tommaso Padoa Schioppa

«La lettura che ci permette di comprendere a fondo la crisi deve essere più generale. La crisi è economica più che finanziaria, è la crisi del modello di crescita, la bolla dei consumi a credito. La responsabilità fondamentale è della politica economica, non del mercato; la politica economica sapeva, doveva sapere che un mercato senza regole non è naturalmente stabile. Infine la crisi è figlia dello sguardo corto, del venir meno di un orizzonte temporale lungo».

In queste poche righe che aprono l’ultimo capitolo del suo libro uscito appena qualche settimana fa (La veduta corta, Il Mulino), l’ex ministro dell’economia e finanze del secondo governo Prodi, Tommaso Padoa Schioppa, condensa il succo della sua spiegazione della crisi globale che stiamo attraversando: il libro si presenta quindi non solo come una disamina delle cause immediate del crollo della finanza statunitense, che ha travolto tutto il mondo, ma anche come una interpretazione importante del “perché nessuno se ne è accorto”, o meglio della fallacia di questa domanda, che ricalca quella che ingenuamente la regina Elisabetta d´ Inghilterra rivolge ai ricercatori della London School of Economics quando nel novembre del 2008 si reca in visita alla prestigiosa scuola: «Perché nessuno se n´è accorto? Se queste cose erano tanto grosse (la crisi economica) com´è che tutti le hanno trascurate? È orribile!».

Padoa Schioppa sa bene che ci sono stati fior di economisti che hanno annunciato l’imminente tragedia economica, solo per citare due fra i più recenti ricordiamo il premio nobel Stiglitz e il consigliere dell’allora premier inglese Blair, Nicholas Stern. «L’espressione “crisi in arrivo” – spiega Padoa Schioppa - pur scritta sulla carta sembra non essere stata letta da chi poteva correggere in tempo la rotta del Titanic (…) Robert Shiller parla di ‘contagio sociale’ nel quale l’opinione dominante impedisce di sentire le voci discordanti, ultrasuoni che l’orecchio umano non coglie. E si noti che questa sordità non è sparita con lo scoppio della crisi, c’è ancora oggi».

La responsabilità da parte della politica economica quindi è indicata a chiare lettere da Padoa Schioppa, che individua proprio nella veduta corta dei politici l’errore che sta alla base di tutto ciò che è avvenuto in questi giorni. «Nel corso degli anni si è persa la consapevolezza che la lunga espansione economica americana non potesse durare (…) si è pensato che la salita dei prezzi delle case o dei titoli azionaria sarebbe continuata all’infinito (…) che i paesi asiatici avrebbero continuato a investire in America senza preoccuparsi della condizione del debitore (…) Quando giurai da ministro del secondo governo Prodi, il 17 maggio 2006, il mondo dormiva il sonno dogmatico della perfezione del mercato, e si compiaceva delle ‘magnifiche sorti e progressive’».

L’ex ministro, prima di tutto un economista, un tecnico chiamato da Prodi a governare uno dei dicasteri più delicati, si toglie anche diversi sassolini dalla scarpa, sostenendo di aver ‘visto’ e avvisato più volte del pericolo, usando le stesse metafore e le stesse visioni che da tempo vengono utilizzate dagli ambientalisti e dagli economisti ecologici, accusati invece di essere poco più che fastidiose Cassandre: «Avevo cercato di portare l’attenzione sui problemi di fondo – ricorda - l’accumularsi del debito esterno degli Stati Uniti, il progredire delle regioni asiatiche verso il benessere, il conseguente rincaro dei prodotti energetici e alimentari che spingeva all’estrema povertà milioni di persone, il ritorno a un’economia della scarsità, la carenza di risorse naturali…» Insomma Padoa Schioppa voleva indurre a guardare lontano, partendo da una visione che tenesse in debita considerazione la finitezza delle risorse naturali in un mondo non infinito, dove nulla può crescere all’infinito.

Non è un caso allora che proprio sotto la guida del ministero di Padoa Schioppa l’Italia sia arrivata vicinissima a varare una legge sulla contabilità ambientale, che finalmente avrebbe consentito di dare un valore a risorse come l’aria che respiriamo, l’acqua, il suolo... e che avrebbe permesso di abbattere la religione della crescita del Pil inserendo variabili come “benessere” e “qualità della vita”.

L’ultimo capitolo de La veduta corta infatti, dove si tirano le somme della lunga conversazione col giornalista del Sole 24 Ore Beda Romano, si dipana lungo un filone tutto ecologico, dove l’economia viene disvelata da Padoa Schioppa per quello che è: un sottoinsieme dell’ecologia, o meglio lo strumento attraverso cui chi governa è chiamato prendere le decisioni per governare appunto i sistemi naturali: «Nulla ci assicura che i comportamenti individuali e sociali spontanei rispettino i vincoli della sostenibilità sotto i suoi tre profili. E credo che la mano pubblica abbia le leve necessarie per indurre la società a strategie sostenibili: i bilanci pubblici, la politica monetaria, la regolamentazione affidata ad autorità di controllo, lo stato sociale…. Tutti elementi di un’azione di governo che non è sostitutiva ma complementare a quella del mercato».

E qui veniamo ai cuori del problema, di cui Padoa Schioppa ammette di non avere risposte complete, ma soltanto «alcune convinzioni». Le domande sono: quale può e deve essere il modello di funzionamento dell’economia mondiale alternativo a quello che è finito col grande crollo? Come deve essere configurato un soggetto pubblico, un ‘governo’ che possa sospingere il modello verso quel modello? Cosa può fare il singolo cittadino consapevole per aiutare il mondo a muovere in questa direzione?

Lasciando da parte quest’ultima velleitaria e forse anche un po’ ingenua domanda sul ruolo del singolo cittadino, è bene concentrarsi sulle altre due questioni. Padoa Schioppa individua con esattezza il male del vecchio e fallace modello nella crescita (soprattutto quella senza risparmio, propria degli Usa), ma sottolinea come della crescita «non si può dire né bene né male se non si specifica ‘crescita di chi’ (e noi aggiungiamo anche ‘crescita di cosa’, ndr) e se non si approfondiscono le relazioni dei diversi chi». E per essere ancora più immediato, Padoa Schioppa conclude: «Per i poveri e gli affamati la crescita economica dovrebbe continuare, accelerare, diffondersi, in Occidente e Giappone dove è fondata sul superfluo, dovrebbe invece fermarsi».

A parte le mille considerazioni che si potrebbe fare sul concetto assai soggettivo di ‘superfluo’, che andrebbe a coinvolgere il tema del marketing e della pubblicità tesi a creare sempre nuovi bisogni, che essendo tali non sono mai superflui, qui si arriva al punto della proposta di Padoa Schioppa, che lui più avanti definirà “crescita differenziata” ma che in realtà è solo l’ennesima definizione di un’economia finalmente ecologica, che si voglia chiamare sviluppo sostenibile, crescita sostenibile (anche se in molti storceranno la bocca leggendola come un ossimoro) o appunto crescita differenziata, chiaramente da applicare a tutta la complessità dei sistemi e non alla sola questione sociale individuata da Padoa Schioppa nel confronto tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo.

E’ sulla seconda domanda che Padoa Schioppa proprio non dà risposta e che invece rappresenta la chiave di volta per uscire dalla crisi attuali e per quelle future: la governance mondiale in grado di riorientare il mondo verso uno sviluppo sostenibile purtroppo all’orizzonte proprio non si vede, perché è impensabile «che venga sospinta dall’azione coordinata di una congerie di 200 stati sovrani, nessuno dei quali ha tra i suoi compiti istituzionali l’interesse dell’intera comunità mondiale».

La risposta Padoa Schioppa non c’è l’ha, ma ritiene che essa vada trovata all’interno di due punti fermi. Il mercato (quindi no «alle false utopie» che hanno già dimostrato il loro fallimento «introducendo la soppressione del mercato e forme generalizzate di pianificazione») e la democrazia, perché un governo dell’economia internazionale non potrebbe prescindere «dagli elementi di rappresentatività e responsabilità».

Tra le conclusioni del libro quindi c’è anche un inevitabile invito da parte di un ex ministro a una rivalutazione del concetto di tempo, che «non è solo un bene privato, è anche un bene di tutti e va amministrato tenendone conto. L’esempio più drammatico di questa dimensione pubblica del tempo è oggi il cambiamento climatico: la miopia fa sì che erroneamente la scadenza del 2020 appaia lontana (…) dovrebbe essere chiaro che l’ambiente naturale nel quale viviamo ci è dato solo in prestito».

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