[29/04/2009] Parchi

Quale futuro per i parchi italiani? (2)

PISA. Molto probabilmente c’è qualcosa che non può essere ricondotto unicamente –come spesso si fa e per di più in termini del tutto generici- alla legge 394 che come spesso si dice da più parti andrebbe ormai aggiornata. La legge ha certamente il merito di avere dato uno sbocco concreto di grande valore ad un travagliato e lungo processo culturale, istituzionale, politico e scientifico. Una idea a lungo perseguita, prima quasi unicamente da ‘esperti’ e scienziati e poi sempre di più anche da associazioni e infine istituzioni, che nel lunghissimo percorso si è arricchita ed è anche cambiata sia pure non tagliando mai i ponti con le battaglie e l’eredità dei suoi pionieri e che si concretizzò prima in alcune regioni e poi nella legge nazionale. Come altre leggi di poco precedenti ( la 183) ma in maniera più incisiva e a più ampio raggio quella sui parchi segnò l’entrata in campo del sistema istituzionale in una politica fino a quel momento riservata ad altri soggetti ma soprattutto ignorata. Sulla portata e gli effetti di questa ‘svolta’ è poco probabile vi fossero –nonostante il voto pressoché unanime del parlamento- le stesse aspettative e speranze anche in chi quella legislazione caldeggiò, sostenne e votò.

Fin dove dovevano e potevano spingersi e mettere becco i parchi? Alcuni temevano -e non ne fecero mistero- che il loro ruolo potesse entrare in concorrenza, competizione e conflitto con le assemblee elettive specialmente a livello locale. Da più parti li si definì anche con intenti rassicuranti ‘enti ‘strumentali’, ma anche agenzie, task-force, addirittura fabbriche ambientali. La natura consortile dei parchi regionali probabilmente favorì queste esitazioni in quanto i consorzi erano per loro natura soggetti chiaramente preposti a gestire competenze di cui gli enti locali erano già titolari più che funzioni ‘aggiuntive’ che facevano capo invece alle nuove aree protette. Tutto ciò non poteva non pesare e condizionare l’operato concreto dei parchi che nel perseguire le loro finalità di ampia e nuova portata rispetto a tutte le tradizionali competenze degli enti locali ma anche delle stesse regioni, dovevano fare i conti con le incertezze e potremmo dire l’impreparazione delle stesse assemblee elettive locali alle quali la presenza negli enti parco di rappresentanze non ‘elettive’ non risultò sempre molto gradita e ancor meno rassicurante. Naturalmente questo stato di cose pesò anche se non nella stessa misura su tutto il territorio nazionale grazie soprattutto alle esperienze molto importanti e innovative di alcune regioni.
(continua)

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