[21/04/2009] Urbanistica

Rapporto Irpet: tra polemiche sul consumo di suolo e dubbi sul paradigma predominante

FIRENZE. Per chi cerca di analizzare lo stato (e il degrado) dell’ambiente da un punto di vista il più possibile oggettivo, al fine di orientare lo sviluppo verso prelievi e processi improntati alla sostenibilità, documenti come il rapporto Irpet sul territorio toscano (presentato ieri) rappresentano un ottimo spunto di analisi. La contabilizzazione dell’uso progressivo del suolo, la densità abitativa, quella della rete infrastrutturale ed energetica, sono affrontati con un approccio contabile e con un metodo comparativo, proprio quel metodo il cui utilizzo abbiamo tante volte auspicato su queste pagine virtuali.

Si tratta di un “numero zero”, certo, e i margini di miglioramento sono notevoli: ma già l’esistenza di un “rapporto Irpet sul territorio”, e il metodo che esso adotta, costituiscono una indubitabile evoluzione verso quella contabilizzazione dell’utilizzo del paesaggio e dei prelievi dal capitale naturale che costituisce caposaldo di ogni concreta politica che punti al perseguimento della sostenibilità.

Alcuni tra i numeri più significativi sono già stati riportati da altre testate: sul totale della superficie regionale, il 4,1% è urbanizzato (media nazionale 4,5%), mentre rispetto alla superficie effettivamente disponibile il dato sale al 5,4%, di fronte a una media nazionale del 7,3%. In generale, la Toscana «impiega più suolo per insediamenti e infrastrutture solo delle regioni del sud, e ha i valori più bassi tra le regioni più sviluppate del centro-nord».

Su scala nazionale, «nell’ultimo decennio i territori modellati artificialmente sono cresciuti di circa 82.000 ha pari al 6%, passando da 1 milione e 340mila a 1.422.000 ha». Riguardo alla Toscana, le aree urbanizzate sono salite dagli 85.418 ha del 1990 ai 102.569 del 2006. La crescita percentuale è stata del 10% circa dal 1990 al 2000, e poi è rallentata, crescendo del 3% in 6 anni.

Riguardo a questo dato, Irpet annota che i dati del 1990 sono forniti da Apat, mentre quelli successivi al 2000 derivano dal database Corine land cover: sono state quindi necessarie delle estrapolazioni tra i numeri forniti dalle due banche dati. Resta comunque una certa perplessità: nello studio di Irpet il ritmo nazionale di crescita delle aree modellate artificialmente è, fatti i calcoli, di circa 8.200 ha/anno: se noi confrontiamo questo dato con quello fornito dal “Manifesto per lo stop al consumo di territorio”, che parla di un consumo di «quasi 250.000 ettari l’anno», viene obiettivamente da chiedersi chi abbia ragione: in teoria i dati Irpet sono da prendersi alla lettera, ma la differenza è davvero troppo forte.

E’ chiaro, quindi, che la polemica sul consumo di suolo sorta nei primi mesi dell’anno, a cui faceva anche riferimento ieri l’assessore toscano all’Urbanistica Riccardo Conti parlando dei dati forniti da Vittorio Emiliani (in Toscana, 169.000 ettari urbanizzati in più nel quadriennio 1999-2003, che corrispondono ad una crescita di circa 42.000 ha/anno), ha ancora molti ambiti di approfondimento. Abbiamo un documento, prodotto da un centro di analisi più che autorevole, che parla di circa 8000 ettari/anno in più in Italia, e un dato proveniente da una associazione forse meno autorevole, ma comunque composta da personalità di indubbio valore, che parla di 250.000 ha/anno: certo, diversi saranno probabilmente i metodi di rilevamento e diverse le variabili prese in considerazione, ma... dove starà la verità oggettiva dei fatti viene da chiederselo, obiettivamente.

Al di là di questa polemica su numeri così diversi, altra considerazione critica riguarda l’aspetto infrastrutturale: i freddi dati numerici parlano, per la Toscana, di una dotazione media di strade comunali di 19,9 km/10 kmq di superficie, più bassa della media nazionale (22,2). Inferiore alla media è anche la dotazione di strade provinciali/regionali (43,1 km/10 kmq, media nazionale 50,3), quella di strade di interesse nazionale (4,0 contro 5,7), e quella di autostrade (18,4, media nazionale 21,7). Carente, anche se l’analisi relativa è più complessa, anche la dotazione di infrastrutture aeroportuali: indicativo, a questo proposito, è il dato relativo alla percentuale di passeggeri sbarcati/partiti sul totale nazionale, che è solo del 3,6%, e la bassa disponibilità di aree di parcheggio per aerei.

E’ invece poco sotto la media la densità di rete elettrica ad alta tensione (Toscana 64,7 km rete/1000 kmq di superficie regionale, Italia 72,7, regioni del centro-Italia 64,1), mentre la densità della rete ferroviaria regionale è decisamente sopra la media: 62,4 km/1000 kmq, contro una media nazionale di 53,7 e una media del centro-Italia di 58,8. Per le sole linee elettrificate a doppio binario, la densità è di 31,8, davanti a una media italiana di 22,3.

In generale, indici sintetici elaborati su base Eurostat (media=100) parlano di un indice infrastrutturale generale, per la Toscana, di 88,8 per le strade, di 125,9 per le ferrovie, di 156,4 per i porti e di 36,8 per gli aeroporti: l’indice infrastrutturale unificato assegna alla Toscana un valore di 122,8 punti.

Una regione, quindi, che (dal solo punto di vista numerico, naturalmente) ha carenze viarie e aeroportuali, ma che spicca per la densità di ferrovie e porti: eppure, nelle prime pagine del rapporto, si parla di «dotazione della Toscana (..) complessivamente debole sia in termini di strade, sia di linee ferroviarie elettrificate e di stazioni, sia di reti elettriche». E questa appare una significativa contraddizione, peraltro evidenziata da altre parti del testo dove si parla di «sistema infrastrutturale vicino alla media europea» e di «buona dotazione ferroviaria».

Leggendo certe parti sorge il dubbio, cioè, che la ricerca sia stata condotta più nell’ottica di «confermare la comune vulgata che vede una Toscana cronicamente carente dal punto di vista infrastrutturale», piuttosto che in quella di una effettiva analisi della situazione reale. Siamo certi che queste discrepanze siano attribuibili alla natura sperimentale del rapporto, che – è esplicitamente affermato – è un numero zero e solo nelle prossime edizioni potrà porsi come riferimento di reale valore scientifico. Questo perchè – si legge in chiusura dell’introduzione - «è necessario valutare in quale misura e sotto quale aspetto il territorio possa costituire un vincolo agli scenari evolutivi del sistema regionale (nell’ottica della carrying capacity)», e per ottenere questo dato obiettivo è necessaria una maggiore omogeneità tra le valutazioni e i dati presentati, omogeneità che in alcune parti latita.

Resta, in chiusura, da capire quale concezione alberghi negli analisti e nei decisori politici riguardo alla crescita dell’urbanizzazione e del sistema infrastrutturale: entrambe sono fenomeni che comportano creazione di ricchezza, di occupazione, e le infrastrutture sono da considerarsi, come giustamente affermato nel rapporto, «elemento di equità territoriale» nel senso che tutte le aree hanno diritto, per il proprio sviluppo, ad avere un efficiente sistema di infrastrutture (energetiche, di trasporto, ecc).

Ma l’urbanizzazione e la creazione di infrastrutture sono da considerarsi – e questa è la domanda fondamentale – dei “mali necessari”, o invece esse sono la massima manifestazione dell’umanesimo? Sono esse, cioè, espressione di quel “trionfo sul buio della natura” che tante volte è stato teorizzato in passato, e che oggettivamente oggi costituisce caposaldo culturale dell’insostenibilità dell’impatto dei sistemi umani sul capitale naturale, o sono invece, appunto, solo dei mali necessari? O, ponendo la domanda sotto un’ulteriore formulazione: le infrastrutture sono elementi di sviluppo del territorio, ma con delle esternalità negative su paesaggio e ambiente, oppure sono elementi di suo impoverimento, ma con delle esternalità positive relative allo sviluppo economico? La questione non è di poco conto, e dalle pagine del rapporto sul territorio, e dalle parole dei nostri amministratori riguardo ad esso, la risposta a questa domanda non si evince.

Torna all'archivio