[21/04/2009] Consumo

La Coca-Cola e la battaglia indiana dell’acqua

LIVORNO. Al summit mondiale sull’acqua di Istanbul, la Coca-Cola ha annunciato un investimento di 20 milioni di dollari per un progetto mondiale di risparmio idrico in partnership col Wwf. Sempre a marzo, durante una riunione della Confindustria indiana, il direttore qualità e ambiente della Coca-Cola, Navneet Mehta, ha detto che la multinazionale entro la fine del 2009 vuole ricostituire le acque sotterranee che utilizza per diventare “water neutral” per l’intero processo produttivo entro il 2012. Nel 2007 la Coca Cola si è impegnata a “rimpiazzare ogni goccia d’acqua utilizzata nelle nostre bevande e nella loro produzione” in tutto il mondo. Annunci certamente positivi in un mondo dove un miliardo di persone non hanno accesso all’acqua potabile, ma che cozzano con quanto l’azienda fa in India, i suoi impianti del Rajasthan, uno degli Stati indiani più aridi, sono sotto accusa per l’enorme consumo idrico: ci vogliono 3,26 litri d’acqua per produrre 1 litro di soda, molto di più dei 2,47 litri che occorrono in media nel mondo, 300 miliardi di litri d’acqua succhiati nel 2007. Un impatto particolarmente forte in India dove, secondo uno studio di Ubifrance, «circa il 20% della popolazione non ha accesso regolarmente all’acqua potabile e l’80% della popolazione rurale si approvvigiona di acqua potabile attraverso riserve sotterranee».

Per Amit Srivastava, coordinatore dell’India Resource Center, un’organizzazione che denuncia gli abusi della multinazionale, «L’impresa ha un’insaziabile sete di acqua. La società nel 2006 ha utilizzato 290 miliardi di litri di acqua, sufficienti da soli a soddisfare l´intero fabbisogno mondiale di acqua potabile per 10 giorni». Secondo gli ambientalisti indiani la Coca-Cola Company trasforma i due terzi delle acque dolci che utilizza in acque reflue. La maggior parte dell’acqua viene infatti impiegata per la pulizia nel suo processo produttivo: «Questo rapporto abusivo con l’acqua è addirittura criminale per un’azienda che si descrive come una “hydration company” e nel cui rapporto ambientale annuale si descrive come una grande proposta di gruppo che lavora per la salvaguardia dell’acqua».

In effetti, è difficile non vedere lo spreco idrico di cui le comunità locali accusano la Coca Cola, appannando la sua immagine "refreshing" e che, come dice il Wall Street Journal, «il costo è di milioni di dollari in perdite di vendite e spese legali in India, e sempre più danni alla sua reputazione altrove». Secondo gli attivisti indiani la Coca-Cola sta freneticamente tentando di ripulire la sua immagine con campagne per la responsabilità sociale dell’impresa e i 20 milioni di dollari per il progetto del Wwf farebbero parte di questo greenwashing. La notizia ha fatto arrabbiare l’India Resource Center e le comunità che hanno diversi conti in sospeso con la Coca-Cola, ma sta diventando anche un’occasione per chiedere alla multinazionale Usa di comportarsi di conseguenza anche in India, cambiando in maniera radicale i suoi metodi produttivi. Finora, la società ha scelto di rispondere alle accuse degli indiani puntando su una colossale operazione di pubbliche relazioni, ma lasciando intatti tutti i problemi. In più, i 20 milioni di dollari del progetto del Wwf destinato alla conservazione dei bacini idrografici, non comprenderebbero l´India «la società ha scelto di ignorare il Paese in cui ha probabilmente fatto più danni alle risorse idriche - dice Srivastava - Anche se è troppo presto per iniziare ad analizzare il funzionamento del partenariato tra Coca-Cola e Wwf, per le comunità in India è chiaro che la società non è realmente interessata a tener conto dei problemi in India, che riguardano la vita ed il benessere di migliaia agricoltori a basso reddito e delle comunità rurali. La Coca-Cola Company è ancora ferma nell’idea che in qualche modo uscirà dai suoi problemi in India, forse rafforzata dal fatto di poter comprare tutti i personaggi Bollywood e di mostrarli all’India».

Per rintuzzare gli attacchi la Coca-Cola ha messo in linea un sito: “Coke facts: the truth about the Coca-Cola company around the world” e nel 2007 ha investito 10 milioni di dollari per la gestione idrica in India, assicurando che «Il sistema messo in opera ha permesso di creare un potenziale di raccolta di acqua piovana uguale più o meno all’82% dell’acqua che utilizziamo in India» e assicura che si atterrà alle regola delle 3 R: ridurre, riciclare, riempire. «Che Coca Cola economizzi più acqua è una buona notizia – afferma Srivastava – Ma l’impresa ha cambiato le sue pratiche sotto pressione della nostra campagna. 7 anni fa aveva solo 3 collettori di acqua piovana e le occorrevano 9 litri d’acqua per produrre un litro di Coca e distribuivano i loro rifiuti tossici ai contadini».

Gli indiani se la prendono con la Coca.Cola anche perché nei suoi siti internet pubblicizza i premi per la responsabilità ambientale ricevuti in tutto il mondo: «Uno dei più "prestigiosi" premi conferiti ripetutamente alla Coca-Cola Company è il Golden Peacock Environmental Award. La Coca-Cola Company ha un sacco di questi premi per le varie "eccellenti" performance nel 2001, 2002, 2004, 2005 e 2006. I premi vengono conferiti alla Coca-Cola Company dalla World Environment Foundation, un´organizzazione non-profit registrata in Gran Bretagna e in India. Tuttavia, quello di cui la Coca-Cola Company non menziona, è che è sponsor della World Environment Foundation. In realtà, se la pagina homepage della World Environment Foundation è credibile, la Coca-Cola Company è l´unico sponsor della World Environment Foundation!».
Poi ci sono i paradossi: una ventina di associazioni universitarie studentesche di Usa, Gran Bretagna e Canada hanno formato una coalizione anti-Coca-Cola ed una delle più importanti campagne è promossa dall’università del Michigan che nel 2006 ha sospeso ogni rapporto commerciale con la multinazionale delle bollicine fino a che l’azienda non farà una valutazione indipendente delle sue attività in India. Il problema secondo Amit Srivastava è che l´università ha accettato come valutatore “indipendente” The Energy and Resources Institute (Teri) «che è finanziato e sponsorizzato da Coca-Cola Company, e gode un lungo e vantaggioso rapporto sostenuto reciprocamente». Il Teri è lo stesso che nel 2001 indicò la Coca-Cola come una tra le aziende più responsabili dell’India e che nel 2003 ha organizzato l’Earth Day proprio con il sostegno della Coca-Cola, mentre in un video promozionale della Coca-Cola il suo presidente diceva che la multinazionale in India «è sulla strada giusta».

In risposta agli attacchi degli attivisti indiani, la Coca-Cola ha deciso di promuovere la raccolta di acqua piovana nei dintorni dei suoi impianti di imbottigliamento indiani e spiega che questo servirà a rimpinguare le falde idriche che ha emunto, ma lo stesso Teri in un rapporto del 2008 avvertiva che a Mehdiganj, nel nord dell’India, la situazione idrica era ormai fuori controllo e chiedeva di chiudere l’impianto di Kala Dera, in una zona agricola arida, l’impianto è rimasto aperto perché la Coca assicura che è quello che ha il miglior rapporto consumo idrico–produzione: 2,6 litri per un litro di bevanda. Secondo l’India Resource Center i conti non tornano: se fossero veri i 7 milioni di litri raccolti nel 2005 a Mehdiganj, «Anche assumendo una stima prudente di 250.000 litri di acqua al giorno che la Coca-Cola estrae per l’impianto di imbottigliamento di Mehdiganj, la cifra di ricarica (della falda) fornita dalla Coca-Cola Company arriva all’8%. Cioè, la società ricarica solo l´8% delle acque che estrae dalle risorse sotterranee».

E gli ambientalisti girano il coltello nella piaga che fa più male: la pubblicità: «Per una società che ha un budget pubblicitario annuale di 2,4 miliardi di dollari, un investimento di 20 milioni in un progetto di salvaguardia dell’acqua a livello mondiale, meno dell’1% del suo solo budget pubblicitario, è davvero una goccia nel mare. E per una società con una capitalizzazione di mercato di 100 miliardi, la mancanza di sincerità della Coca-Cola riguardo all’investimento per la salvaguardia diventa ancora più evidente. La società sta investendo lo 0,002% di quello che il suo valore e la vogliamo prendere sul serio?».

D’altronde, un libro bianco del 2007 sul concetto di “water neutrality”, pubblicato con il contributo di Coca-Cola, Wwf e World business Council on sustainable developpement, mostra tutti i limiti di questi impegni che troppo spesso restano belle parole: «In senso stretto, il termine “water neutral” è scomodo e può anche essere fuorviante. È spesso possibile ridurre l´impronta ecologica sull’acqua, ma è generalmente impossibile farla calare a zero». E Srivastava denuncia il trucco mediatico: «E’ impossibile per Coca-Cola mantenere questi impegni e lo provano i suoi stessi documenti. Si tratta di un’operazione di comunicazione».

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