[08/04/2009] Energia

Energie rinnovabili e pasti gratis: nelle Marche si pretenderebbero entrambi

LIVORNO. Le fonti di energia rinnovabile godono ormai del consenso unanime e nessuno nega la loro valenza. Ma anche oggi due notizie che arrivano dall’Italia (in particolare dalle Marche) ci confermano quante e quanto forti siano le contraddizioni e le contrapposizione anche su questo argomento. Le differenze di approccio nei confronti delle rinnovabili sono di solito da annoverare tra chi reputa che siano da inserire in un mix in cui vi sono tutte le fonti ad oggi disponibili in termini tecnologici (compreso il nucleare); e chi vi affida, invece, la vera rivoluzione energetica che potrà ridurre la dipendenza dalle fonti fossili con tutto quello che ad esse è legato (dalle guerre alle ingiustizie sociali) e, elemento di analoga portata, dare impulso ad una economia verde. Che significa non solo installare pannelli, ma costruire una intera filiera che a questa operazione possa condurre: dalla ricerca alla produzione di elementi di base, al loro assemblaggio, alla professionalità di chi deve progettare e poi installare le nuove tecnologie energetiche. Quella che si chiama appunto una filiera industriale. Entrambe queste impostazioni culturali portano al comune denominatore che seppur nel doveroso rispetto del paesaggio, questi impianti vadano poi costruiti, e saranno una quota (residuale) che andrà ad aggiungersi ad altri impianti (non certo scevri di impatti ambientali) nella prima ipotesi o la quota principale nella seconda.

Il nostro paese si sta orientando più verso la prima delle ipotesi enunciate, volendo utilizzare appunto per il futuro fabbisogno energetico un mix in cui ci sta dentro tutto: dal nucleare che si vuole rilanciare, al carbone (per cui domani si voterà in Senato un decreto che riduce i vincoli burocratici per la conversione di centrali adesso funzionanti ad olio combustibile), al petrolio, al gas, ai rifiuti e poi anche le energie rinnovabili. E queste, pur rappresentando una quota esiziale nel contesto, incontrano non pochi ostacoli alla loro realizzazione anche da parte di chi ne sostiene la fondamentale importanza. Contro parchi eolici ad esempio, nascono spesso fronti di opposizione che sono trasversali alle rappresentanze politiche, istituzionali e riescono a spaccare anche il fronte ambientalista, tra chi pone in primo piano la tutela naturalistica di un territorio e chi invece ne sostiene la necessità di una riconversione in chiave sostenibile che guardi quindi più al futuro che all’oggi, avendo ben presente che nessun pasto è gratis.

E spesso lo sforzo di provare a guardare un po’ oltre il proprio contesto geografico, sociale o generazionale, e quindi di immaginare un futuro diverso dal modello attuale, dove (come è realistico che sia) non si disegna l’eden ma un contesto in cui si possa vivere meglio tutti (sia livello locale che globale) mette a dura prova anche i diversi livelli di uno stesso gruppo identitario, quale può essere una associazione ambientalista.

Emblematico di questi atteggiamenti è appunto quanto sta accadendo nelle Marche, dove su un progetto di parco eolico che sta portando avanti la Regione nell’ambito della programmazione energetica, si sta dividendo il fronte ambientalista, e così pure non si trova una visione unanime sulla costruzione di un impianto per produrre silicio vicino a Fermo.

Il progetto del parco eolico è descritto come «uno dei più gravi attacchi alla natura e al paesaggio montano: la diffusione di gigantesche torri eoliche, alte fino a 140 metri, in aree particolarmente sensibili dell´Appennino» da parte di un lungo elenco di associazioni e comitati che scrivono anche che «ciò sta avvenendo attraverso una indegna strategia volta a screditare la Soprintendenza per i beni Architettonici e per il Paesaggio nonché a scavalcare i pareri di altre autorevoli istituzioni e le norme, anche comunitarie, di tutela ambientale».

Ma è lo stesso progetto cui invece si dà «un grande valore sociale ed economico» da parte di Legambiente, che si dissocia dal fronte di opposizione e che sostiene che «l´intervento sarebbe effettuato da un soggetto pubblico (cioè avrebbe come attore principale una società pubblica costituita dalla Comunità Montana di Camerino e dagli stessi Comuni interessati) senza quindi il rischio di investimenti speculativi di chi può vedere nelle nostre montagne solo un luogo da “saccheggiare”».

Visione diametralmente opposta, quindi tra chi vede nel progetto solo un disegno che non potrà portare alcun beneficio al territorio, anzi una devastazione, e chi invece ne rileva l’importanza strategica in quanto parte integrante del Piano energetico ambientale regionale e che come tale potrà «fornire il proprio contributo all´attuazione del Piano insieme alle altre fonti rinnovabili come le biomasse e il fotovoltaico e soprattutto al risparmio e all´efficienza energetica cioè al cuore del PEAR» - come scrive Legambiente - così «da scongiurare non solo il pericolo del nucleare, ma anche la realizzazione di megastrutture come la centrale elettrica a ciclo combinato Turbogas di San Severino Marche».

La sigla dei comitati e associazioni che si oppongono (CAI, Wwf, Federazione Nazionale Pro Natura, Italia Nostra, LIPU - Mountain Wilderness, Comitato Nazionale del Paesaggio,
Comitato Donchisciotte e Lupus in Fabula) auspica bocce ferme e che «l´assoluta priorità debba essere la riduzione degli sprechi energetici, anche attraverso la riduzione del trasporto su gomma» perché «solo dopo aver tappato i buchi, infatti, l´energia rinnovabile autoprodotta (ben diversa dalle grandi centrali impattanti e non democratiche) potrà fornire un contributo importante». Mentre Legambiente avverte che «i costi ambientali, sociali ed economici del “non fare” sarebbero oggi e sicuramente ancora di più nel futuro maggiori rispetto a quelli del “fare”». Come dire appunto che nessun pasto è gratis, si tratta di stabilire quale sia quello che dia un maggior risultato in termini di costi-benefici, in un´ottica che sposti il punto di vista dal qui e ora al futuro. Una visione che alberga in maniera ubiquitaria come dicevamo prima e che non risparmia nemmeno le dinamiche interne ad una stessa associazione ambientalista.

Sempre nelle Marche, Legambiente (vedi Sole24Ore Centro Nord) deve infatti trovare la giusta sintesi tra la visione lungimirante espressa a riguardo del parco eolico e una posizione di ipersalvaguardia del territorio assunta dal circolo di Fermo, contrario come spiega oggi sull’inserto Centro Nord del sole 24 ore, all’insediamento di un impianto che la società Ned Silicon vorrebbe realizzare all’interno dell’ex zuccherificio Eridania Sadma, per produrre silicio con il quale realizzare pannelli solari. La contrarietà deriva da una serie di questioni che riguardano i possibili impatti che questo impianto potrà produrre e che non sembrano così ben evitati (come si vorrebbe) da quanto risulterebbe dallo studio d’impatto ambientale presentato dall’azienda per la Via. Una posizione che la struttura regionale di Legambiente, che richiama, certo, alla massima tutela per la realizzazione dell’insediamento, vorrebbe però più capace di guardare al futuro.

Un futuro energetico che come sottolinea Fabio Polonora, ordinario di fisica tecnica dell’Università delle Marche, per l’intera umanità «è legato alle rinnovabili», anche se come correttamente sottolinea Polonara «nessuna attività umana, e quindi nemmeno l’energia rinnovabile, è priva di conseguenze sull’ambiente».

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