[03/04/2009] Parchi

Salbitano (Unifi): «Una vera partecipazione per un vero parco della Piana»

FIRENZE. Iniziato il processo partecipativo per il parco della Piana fiorentina, resta da vedere come far sì che di vero parco si tratti e come rendere il processo partecipato utile e incisivo. La zona è notoriamente stracolma di funzioni urbanistiche (attuali e future) caratterizzate da un notevole impatto, come ad esempio le due autostrade presenti (A1 e A11), il futuro termovalorizzatore di Case Passerini, la strada Mezzana-Perfetti Ricasoli (già parzialmente completata) che unirà Prato a Firenze passando a nord dell’autostrada, l’aeroporto di Peretola (con relativi progetti di modifica, lo stadio di Firenze. In mezzo a tutto questo, sorgerà un parco su una superficie di 3000 ettari.

La stessa partecipazione civica all’assestamento delle aree verdi urbane e peri-urbane (chiamata sinteticamente “partecipazione del verde”) è materia giovane, in Italia. Tra i pochi ambiti universitari dove essa è insegnata citiamo i corsi attivati negli ultimi anni presso le facoltà di Agraria e quella di Architettura di Firenze. Abbiamo rivolto a Fabio Salbitano, docente di Ecologia del paesaggio e Selvicoltura urbana presso l’università di Firenze.

La partecipazione civica alle scelte territoriali è il fulcro della sostenibilità sociale, ma è la strada migliore anche per il perseguimento della sostenibilità ambientale?
«Dal punto di vista procedurale, sono state per prime la conferenza di Rio (1992) e l’agenda 21 a considerare la partecipazione come elemento di sostenibilità ambientale. E la partecipazione del verde nasce come elemento fondante, non come qualcosa di imposto successivamente: lo spiega anche la storia del movimento ambientalista, che è stata caratterizzata da una impostazione “dal basso” finalizzata a riappropriarsi dell’ambiente come “territorio di discussione condivisa”, cioè come luogo di vita per tutti, e appartenente “ancestralmente” a tutti.
Riguardo alla democrazia effettiva, la parola “partecipazione” diventa ricorrente in urbanistica fino dagli anni ’90, e contemporaneamente diventa uno stile di governo anche in altri ambiti, come le infrastrutture. A quel punto viene coinvolto anche il verde. Ma, per assurdo, il verde è rimasto poi indietro, perchè nasce appunto “già partecipato”. La partecipazione, per come è utilizzata nella dialettica democratica e nel linguaggio degli anni ’90 e del primo decennio del 2000, è riferita ad oggetti concreti: la Tav, il piano regolatore, il centro sociale, eccetera. La discussione sull’ambiente, proprio perchè non è un oggetto definito, fa più fatica ad individuare strumenti concreti di attuazione.
Quindi, per il futuro, è il caso di riappropriarsi di questo strumento, ed estenderlo anche a questioni come l’aria e l’acqua, ma se non individuiamo “oggetti precisi” di discussione, agire è più difficile. Per i parchi in generale, quello della partecipazione potrebbe essere un ambito da sperimentare».

Riguardo ai parchi ci sono esperienze significative in Italia?
«Nell’ambito della discussione sulla pianificazione dei parchi un certo “stile partecipativo” è sempre presente, ma poi occorre capire come intendiamo gli strumenti partecipativi. Alcune esperienze sono fallite perchè non c’è stata evoluzione degli strumenti partecipativi verso un vero stile di governo partecipato del territorio. Questa evoluzione è invece avvenuta in altre realtà, come nei parchi peri-urbani di Bolzano: lo dimostra il fatto che, per i giochi per bambini, sono stati richiesti dalla popolazione dei tronchi d’albero abbattuti, e non dei giochi in plastica. Questo esalta la capacità della partecipazione di sostenere stili di vita non scontati, e sicuramente non figli di una procedura standardizzata.
Riguardo ai parchi nazionali, allo Stelvio sono state attivate iniziative partecipate sulle infrastrutture. Ma in generale la partecipazione nei parchi investe non tanto la pianificazione, ma la gestione: l’obiettivo è invece arrivare ad un processo di coinvolgimento completo su tutto l’iter, sia pianificativo sia gestionale.

Ciò può comprendere anche la partecipazione alla vigilanza, esclusa dalla legge 394/91 almeno per quanto riguarda i parchi regionali?
«La partecipazione alla vigilanza prevede dei meccanismi di meta-polizia, che comunque potrebbero funzionare solo nel momento in cui ci fosse una reale consapevolezza da parte della popolazione della necessità di vigilanza e controllo strutturati».

Veniamo al processo partecipativo per il parco della Piana. Il parco nasce in una zona particolare, dove lo sviluppo infrastrutturale attuale e prossimo venturo è e sarà molto forte. Sarà un vero parco?
«E’ difficile che diventi un vero parco, non solo perchè in zona c’è una sommatoria di interessi e funzioni tale che diventa difficile avere certezze sul parco: c’è anche una percezione di estraneità del cittadino della Piana riguardo alle zone interessate dal parco. Esso è visto come “terra di nessuno”, dove cioè la moltiplicazione delle funzioni rende impossibile il “sentirlo proprio”.
Il problema del parco della Piana è che nasce come un intervento a sé stante, e non come parte di un processo, cioè non parte da una reale discussione su che valore esso può avere per la Toscana centro-settentrionale. Forse sarebbe stato più utile intervenire prima a livello di piani strutturali e strategici, assumere certezze per la Piana e – solo successivamente – partire con il progetto di parco. C’è un problema di scelte, poiché la Piana è diventata un contenitore di funzioni non legate alla vita quotidiana: centri commerciali, autostrade, la stessa sede distaccata dell’università di Firenze non sono funzioni quotidiane, ma “temporanee”. E un parco inserito nella temporaneità non può che essere vissuto, dal cittadino, con temporaneità.
Inoltre, esiste un problema di assenza di connettività tra le varie aree, e questo porta ad un effetto-isola: manca la possibilità di potersi spostare agilmente (es. tramite greenways) tra le varie zone».

Quindi, cosa occorre fare per giungere alla realizzazione di un vero parco, nella Piana?
«Sul piano utopico, ci vorrebbe un grande patto condiviso per l’ambiente e il paesaggio nell’area fiorentina, che coinvolgesse tutti i settori: produttivi, dei trasporti, dei servizi, dello sport (es. la questione dello stadio). Sul piano realistico, i margini sono limitati, mi sembra. Forse l’unica cosa possibile è rivedere alcune sezioni dei piani strutturali. E prima di tutto ci vorrebbe un riconoscimento della priorità del parco: se è un bene pubblico, esso deve necessariamente discriminare le altre scelte. Altrimenti si può anche considerare il parco solo come una delle funzioni possibili in zona, ma esso poi sicuramente soccomberà sul piano economico davanti ad altri aspetti, altre funzioni.
E comunque il problema più grave non è la pianificazione del parco della Piana (che è governabile a livello locale), ma ciò che avviene nella testa nelle persone: pensiamo a quella proposta incongruente di riduzione “completa” delle emissioni del futuro termovalorizzatore attraverso la piantagione di 20 ettari di bosco. Ecco, dire che con 20 ettari di bosco abbatti completamente le emissioni è criminale. Allora, se vogliamo chiarire le priorità, dobbiamo far sì che ci sia un pronunciamento, da parte di chi governa il territorio, per cui l’ambiente è al primo posto nelle priorità, sia dal punto di vista economico (es. le spese per la salute causate dall’inquinamento) sia a livello di interesse diretto dei cittadini. Ci vorrebbe il coraggio, da parte di amministrazioni che si definiscono progressiste, di definire come considerano l’ambiente, in termini di valore economico, rispetto ad altre cose. Solo a quel punto si possono poi definire i necessari compromessi. Altrimenti il parco diventa una cosa marginale, e se cinque anni non bastano per costruire il termovalorizzatore figuriamoci quanto ci vorrà per il parco».

Nel delicato tema inerente al ciclo integrato dei rifiuti, sono individuabili alcuni di quelli che Marianella Sclavi chiama “interstizi nei processi decisionali”? E ha senso fare partecipazione nella politica dei rifiuti, o ciò può peggiorare le cose?
«Per la gestione del ciclo in sé la partecipazione ha un senso limitato, riguarda essenzialmente l’ambito di concertazione sulla localizzazione e la tipologia degli impianti di raccolta e smaltimento. Se invece intendiamo qualcosa legato alla cultura del consumo ha senso, e l’aspetto dei rifiuti ne è parte integrante. Se infine per politica dei rifiuti intendiamo solo l’aspetto finale, e cioè il fare gli impianti, è facile che il processo partecipato fallisca, perchè è ovvio che la prima richiesta che la popolazione farà è che l’impianto sia realizzato da un’altra parte».

Ritorniamo alla partecipazione del verde. Quali tra le regioni italiane sono più virtuose in materia? E come giudica lo stato attuale della partecipazione del verde in Italia?
«Bene Emilia Romagna, Piemonte, Lombardia, Umbria (in quest’ultimo caso sulla partecipazione ambientale in generale, non sui parchi). In Sardegna ci sono resistenze e c’erano anche all’epoca Soru: esistevano proposte per la partecipazione ai piani paesistici, ma poi sono cadute, non solo perchè sono cambiati i posti di governo ma anche per il decisionismo che Soru ha attuato nell’ultimo periodo di governo.
In generale, L’Italia è indietro sulla partecipazione del verde perchè è indietro sulla partecipazione in generale, è un paese dove strutturalmente la partecipazione è complessa, per motivi storici profondi. E diviene ancora più complessa nel momento in cui mancano (se escludiamo Emilia e Piemonte) grosse esperienze di realizzazione di pratiche partecipative che funzionino e che coprano tutto il processo, dalla pianificazione, alla progettazione, alla gestione. Questo avviene per motivi normativi, ma anche per una carenza tecnico-formativa sulla materia, se escludiamo il master tenuto a Firenze da Alberto Magnaghi: è una disciplina che in pratica non viene “insegnata” dal punto di vista tecnico, e questo fa sì che siano poche le figure professionali in grado di gestire processi partecipativi.
In definitiva, ciò si traduce nel fatto che si parla molto di partecipazione, ma si agisce poco. Ci sono comunque segnali di una inversione di tendenza, e ora vedremo cosa avverrà con il nuovo vento di destra che percorre il paese. Devo dire comunque che il comune di Fano (centrodestra), dove ho svolto un progetto di partecipazione per un parco urbano, ha fatto un processo partecipato onesto».

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