[01/04/2009] Comunicati

Il G20 e quella sedia vuota da riempire di sostenibilità: i migranti non ci lasceranno dormire

LIVORNO. Sulla sedia che Sarkozy vorrebbe lasciare vuota domani al G20 di Londra perché teme che non vengano prese decisioni in merito alle regole sulla finanza globale e in particolare sui paradisi fiscali, vorremmo far sedere uno dei migranti che si è salvato dalla tragedia del mar libico. Più provocatoriamente, e con un impulso che viene dalla ‘pancia’, vorremmo metterci tutti i corpi di quelle povere e disperate persone morte inseguendo la speranza di una vita migliore di quella del loro paese, l’Egitto in particolare, che sta combattendo contro «la siccità e la riorganizzazione delle terre che hanno impoverito l’agricoltura e messo in fuga la manodopera», come ha spiegato il corrispondente dell’Ansa (fonte Unità) Remigio Benni.

Ma sforzandoci di usare la ‘testa’ confidiamo ancora che la vita possa essere messaggera più forte di sorella morte, come una nascita lo è più di un funerale, per guidare la discussione di domani e del futuro. E che temi come sostenibilità sociale ed ambientale possano essere la lanterna che guida il cammino di quella discussione.

Parlare di sostenibilità ambientale e sociale significa infatti, forse mai come adesso, affrontare la complessità del mondo che proprio oggi - ai tempi della crisi finanziaria che si è fatta economica, dirompendo in quella sociale già fortemente minata da quella ecologica - impone (imporrebbe) a tutti di fare in maniera prioritaria.

Così diventa parziale l’analisi di chiunque intraveda in un evento come il G20 il momento in cui si affronta solo la crisi finanziaria, come lo sarebbe quella (analisi) che affronta solo i cambiamenti climatici, o solo volesse trovare la ricetta per la ripresa dell’economia sic et simpliciter. L’eccessiva finanziarizzazione dell’economia è certamente un enorme problema, come lo è quello della disoccupazione (si parla di 20 milioni di posti persi in Ue da qui al 2010), come lo è in generale l’economia che non riparte e che potrebbe inasprire ancora di più gli aspetti sociali.

Ma è sul come farla ripartire in modo che l’occidente non continui a vivere sulle spalle dei paesi in via di sviluppo, per dirne una che ci pare dirimente, che si combatte la battaglia della sostenibilità sociale e ambientale. Se è un’utopia eliminare la fame nel mondo (ma non si capisce perché lo debba essere) far di tutto per ridurla è un orizzonte possibile solo con un modello economico diverso che minimizzi la dissipazione di energia e di materia in modo da salvaguardare davvero le risorse naturali mondiali e rendere possibile la redistribuzione in senso equo ed eticamente corretto delle ricchezze. E questo modello o lo si applica al mondo intero o non c’è un granché di margine di salvezza. Non solo.

I cambiamenti climatici – causati dall’uomo ma varrebbe lo stesso discorso, per paradosso, anche se fossero determinati dal normale scorrere della vita della terra – acuiranno le migrazioni in tutto il mondo. I muri (e nemmeno i mari) non ce la faranno a contenere i disperati che fuggiranno dalle loro terre alluvionate o sommerse dalle acque marine o desertificate dalla siccità. Quelle persone che oggi permettono all’occidente di avere illusoriamente ‘pasti gratis’ – si pensi alla tecnologia e ai prodotti di consumo a bassissimo costo – ci chiederanno il conto. Che significa, senza usare inutili giri di parole – guerre e quindi crisi umanitarie.

Qualcuno – leggi gli editoriali di oggi sul Sole24Ore e sul Corriere della Sera – parla di “realismo” e “normalità” affrontando i temi in discussione al summit di Londra per vincere la “paura” della crisi, ma il ‘reale’ e il ‘normale’ sono sempre più quei cadaveri che il mare sta restituendo in queste drammatiche ore tra l’Italia e la Libia.

‘Reale’ e ‘normale’ lo sono anche la cassa integrazione, i licenziamenti e pure i titoli azionari che salgono e scendono come è normale in quello che viene definito, non a caso, il gioco delle borse. In queste ore non ‘rimbalzano’ però solo i titoli Fiat e Microsoft, ma anche corpi sulle scogliere che almeno dovrebbero farci sussultare.

Non sono cose diverse a meno che non si sia rinunciato a credere che l’economia, inventata dagli uomini e sottosistema, come direbbe Rex Weyler, della biosfera, non sia più governabile. Più volte di recente, anche il presidente della Commissione Ue, Emmanuel Barroso, aveva detto che «la crisi ha dimostrato senza ombra di dubbio che o ci salviamo tutti insieme o affoghiamo tutti insieme». Ma queste parole al momento sembrano solo petizioni di principio e nulla più.

Al dunque l’impegno sulla sostenibilità sembra portarlo avanti il solo Obama con una declinazione tutta made in Usa con quello che di buono e di cattivo questo comporta. Il resto sta alla finestra o quasi. Eppure dovrebbe significare qualcosa se nella patria di chi, Sarkozy, punta il dito principalmente contro «paradisi fiscali e superstipendi» contro i quali o si fa qualcosa «o lascio la sedia vuota» e del quale non si capisce fino in fondo quale sia l’idea base per una «rifondazione del capitalismo», ieri sono stati sequestrati manager dai delegati sindacali della Caterpillar.

Come giustamente osserva Concita De Gregorio sull’Unità, in Francia le cose spesso accadono (su tutto la ben nota Rivoluzione del 1789 con decapitazioni annesse) prima che altrove. Altro che «rischi per la coesione sociale», come ha detto l’Ue, qui siamo alla rottura di quella coesione che i vivi, insieme purtroppo anche ai morti del mar libico, ci mostrano in tutto il loro tragico sudore e sangue. Buon G-qualcosa a tutti…

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