[24/03/2009] Rifiuti

Exxon Valdez, Wwf: non abbiamo imparato la lezione

LIVORNO. Secondo un nuovo studio del Wwf, 20 anni dopo la collisione della petroliera Exxon Valdez con un iceberg e la fuoriuscita di milioni di litri di petrolio che hanno inquinato il delicato ambienta merino e costiero dell’Artico Usa, «i governi e le industrie della regione sono ancora impreparate ad affrontare un altro disastro simile. Essendo diminuite le restrizioni sullo sfruttamento di petrolio e gas e aumentati gli incidenti di collisioni di petroliere, con conseguente perdita di petrolio e gas, un team ambientale ha raccolto pezzi di roccia dal Prince William Sound in Alaska, ancora incrostati di petrolio dall’incidente del 24 marzo 1989».
I ricercatori del Wwf hanno inviato i campioni di roccia a ministeri, funzionari e media delle regioni artiche «che ancora litigano su come gestire una nuova corsa alle materie prime, insieme ad una richiesta di divieto di estrazione di petrolio e gas negli ambienti sensibili dell’Artico, che sono le zone più ricche di pesca del mondo».

Nella notte del 23 marzo 1989, la petroliera Exxon Valdez, lunga 300 metri e con un carico di un milione di barili di greggio, dopo aver cambiato rotta per non scontrarsi con un iceberg, si incagliò sulla Bligh Reef una secca di fronte alle coste dell’Alaska. Il forte urto provocò la fuoriuscita di più di 41 milioni di litri di petrolio nelle gelide acqua dell’Artico. Al momento dell’impatto il mare era calmo e piatto, e rimase così per altre 72 ore, ma i soccorsi, che pure non sarebbero stati in grado di affrontare il disastro per mancanza di attrezzature adatte, tardarono ad arrivare e così una marea nera di petrolio raggiungesse indisturbata una vasta area incontaminata e selvaggia del litorale dell’Alaska. L’inquinamento devastò e sommerse di greggio ben 740 km di coste tra il villaggio di Chignik e la Penisola dell’Alaska, causando la morte di numerosissimi uccelli marini e di altri animali acquatici.

Neil Hamilton, responsabile del Programma Artico del Wwf, spiega che «Mentre le tecnologie per affrontare disastri simili non sono affatto migliorate negli ultimi 20 anni, l’Artico stesso è cambiato profondamente e oggi è molto più vulnerabile. Il ghiaccio marino sta scomparendo e le stagioni di navigazione con le acque aperte durano più a lungo, creando una corsa alle richieste di estrazione delle ricche risorse dell’Artico - specialmente petrolio e gas. La dispersione di petrolio può devastare gli ambienti marini dell’Artico. Data l’attuale incapacità di fronteggiare un disastro marino, abbiamo bisogno di un time out finché non saranno create misure protettive adeguate per questa regione. Le nazioni artiche dovrebbero anche trovare un accordo di vasta portata su una risposta adeguata ad eventuali disastri in tutta la regione e su strutture adatte in loco da installare congiuntamente».

Il rapporto “Exxon-Valdez Oil Spill - Lessons Not Learned” , raccomanda una moratoria per un ulteriore sfruttamento petrolifero dell’Artico (in cima ai desideri di tutti i Paesi, ad iniziare dalla Russia), «finché le tecnologie non siano in grado di ripulire efficacemente il mare e le coste, dopo una perdita di petrolio». Per il Wwf dovrebbero essere considerate off limits ad ogni tipo di sfruttamento petrolifero tutte le aree artiche più vulnerabili e «Queste “no-zone” dovrebbero essere individuate in base alla reattività e produttività di alcune aree prioritarie, in cui la pulizia del mare e delle coste avvelenate dal petrolio sarebbe quasi impossibile o un disastro ecologico provocherebbe danni irreparabili a lungo termine».

Il Panda individua come zone sensibili «la Baia di Bristol in Alaska, un bacino in cui si pesca il 40% delle risorse ittiche nazionale americane; l’area Lofoten-Vesteralen in Norvegia e la piattaforma della Kamchatka orientale in Russia. In tutti questi luoghi il Wwf , insieme ai maggiori team di conservazione dell’Artico, si è unito alle popolazioni locali per affrontare la minaccia che lo sfruttamento del petrolio rappresenta per queste località ricche di pesce».

La direttrice del programma Alaska del Wwf, Margaret Williams, spiega che «Lo sversamento della Exxon Valdez è stato il disastro petrolifero più studiato nel tempo e la comunità scientifica ha dimostrato che i danni continuano ancora a 20 anni di distanza. I mezzi di sostentamento dei pescatori sono stati distrutti, molte piante selvatiche e popolazioni di pesci non si sono ancora ripresi e l’economia dell’Alaska ha perso miliardi di dollari. Non possiamo permettere che un tale disastro avvenga nella Baia di Bristol o altrove nell’Artico».

“Exxon-Valdez Oil Spill - Lessons Not Learned” chiede a tutti gli Stati che si affacciano sull’Artico e che rivendicano una fetta della sua piattaforma zeppa di metalli ed idrocarburi, «facciano delle valutazioni del rischio che includano attività industriali, marittime, estrazione del petrolio e impatti anticipati dei cambiamenti Climatici».

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