[23/03/2009] Comunicati

L´economia ecologica in marcia nonostante il lunedì nero

LIVORNO. Parafrasando una metafora di Naomi Klein, la scienza dell’economia ecologica ha aperto, grazie anche alla crisi, una “finestra” sui fondamentali dell’economia genericamente intesa, ma ancora in pochissimi l’hanno attraversata. E’ un dato oggettivo.
La distanza tra la discussione e l’agire politico è ancora molto ampia, tanto che spesso parlare di riconversione del modello economico verso uno meno dissipatore di energia e di materia (un mantra che ai lettori di greenreport sarà probabilmente già venuto a noia) appare ai più un vero e proprio salto logico di fronte alla (ritenuta) più urgente crisi economica-finanziaria.

L’economia ecologica non è più solo nelle segrete stanze di economisti illuminati o ambientalisti moderni, ma non può dirsi che abbia rovesciato le scrivanie dei cultori della crescita “a tutti i costi” e spento i monitor di Wall Street. Nelle stesse importanti e dirimenti azioni del presidente Obama, non mancano le contraddizioni tra green economy e rilancio dei consumi come è del tutto assente una politica di risparmio della materia che invece, nell’economia ecologia e più in generale nella scienza della sostenibilità, ha un ruolo ugualmente importante quale quello del risparmio di energia, essendo appunto che i flussi di materia e quelli di energia sono il metabolismo della nostra società industriale.

Robert Costanza, economista ecologico e direttore del Gund institute for ecological economics all’Università del Vermont, anche pochi giorni fa in Nuova Zelanda ha ribadito che «I paesi sviluppati devono uscire dal modello di "crescita a tutti i costi"» e che «invece di misurare la crescita in termini puramente economici, utilizzando il prodotto interno lordo, dovrebbero quantificare i beni pubblici, come le energie rinnovabili e calcolare come negativi inquinamento e assistenza sanitaria».
Costanza ha poi aggiunto che pensava che il mondo fosse “vicinissimo” al disastro ambientale, ma che se “cominciamo a svoltare… le nostre chance tendono a migliorare”.

Già, cominciamo a svoltare, ma chi lo sta davvero facendo e come? Al di là dei saltuari attacchi al Pil, chi nel mondo lo ha abbandonato o semplicemente migliorato incrociandolo con la sostenibilità ambientale? Nessuno. La green economy, infatti, è vista non come l’unica economia possibile, ma come un altro ramo dell’economia da sviluppare per far ripartire la locomotiva. Il nodo per gli economisti (quelli che contano davvero) resta quello di (se va bene) rimettere in sesto le borse trovando il sistema di liberare le banche da questi famigerati “titoli tossici”.

Oggi il segretario statunitense al Tesoro, Tim Geithner, ha annunciato un piano da 500 miliardi di dollari per affrontare questa situazione spiegando che «il sistema finanziario nel suo insieme lavora ancora contro la ripresa... Molte banche, ancora appesantite dai prestiti dovuti a decisioni sbagliate, si astengono dal fornire crediti». Il segretario al tesoro ha spiegato che l´amministrazione Obama ha messo a punto un nuovo «piano di investimenti pubblici-privati» che stanzierà fondi per fornire un mercato alle azioni e ai titoli tossici che sono stati emessi dalle banche negli ultimi anni.

«Il programma di investimenti pubblici-privati», ha sottolineato Geithner, fornirà inizialmente 500 miliardi di dollari, con la possibilità di arrivare a mille miliardi, «cioè una parte sostanziale delle azioni legate all´immobiliare risalenti a prima delle recessione che al momento blocca il nostro sistema finanziario». Tutto giusto? Tutto sbagliato? Qui bisognerebbe essere degli economisti di chiara fama per dire qualcosa di sensato, quello che invece anche noi possiamo cogliere facilmente è che l’assillo non è certo affrontare la crisi ecologica. Se dagli Usa si arriva in Europa poco cambia da questo punto di vista, il modello economico nessuno lo sta riconvertendo. Le idee della Merkel in proposito ogni tanto vengono tirate fuori quasi come il coniglio dal cilindro e dopo la sorpresa dimenticate.

Oggi ad esempio è un giorno sì, visto che Stavros Dimas, commissario europeo per l´Ambiente, in un intervento ad un seminario organizzato da Brookings Institution e Heinrich Boll Foundation a Washington, ha detto che «L´Unione europea e l´amministrazione Obama sono d´accordo sul fatto che la lotta ai cambiamenti climatici non debba essere rimandata dalla crisi economica. Invece, entrambi possiamo, come stiamo facendo, sconfiggere la crisi economica e quella climatica simultaneamente rendendo operative misure per rendere le nostre economie verdi». «Anche se i tempi sono brevi, è cruciale compiere un progresso immediato sulla legislazione nazionale entro Copenaghen per creare il necessario clima di fiducia. Il mondo là fuori sta osservando gli Stati Uniti perché dia l´esempio. Una leadership credibile si ottiene solo attraverso azioni concrete».

Mentre per quanto riguarda l’Italia stendiamo un velo pietoso. Tutto sembra solo un dibattito culturale su statalismo, capitalismo, mercatismo e altri ismo che quando va bene incrociano il tema della sostenibilità sociale. Il quadro è chiaro, le fila di quelli che contestano questo modello di sviluppo si stanno serrando e Obama resta un faro, la strada e il gap tra la pratica della sostenibilità e l’azione di governo mondiale resta però enorme in una fase dove invece si dovrebbe correre come matti. Non c’è governance, non c’è formazione delle classi dirigenti dei partiti, non c’è massa critica. La sostenibilità è ancora altro per i più rispetto al contesto. Serve realismo e questo significa non farsi illusioni nel breve periodo e preparare al meglio il lungo. Programmare, lavorare con la crisi per scardinare le certezze negli economisti e nelle persone. Nessuna logica del tanto peggio, tanto meglio, mentre diventa vitale accendere tutte le lampadine possibili (naturalmente di basso consumo!) quando anche casualmente saltano fuori buone idee. Il G20 del due aprile a Londra, dunque, ci aiuterà a misurare la distanza tra le chiacchiere e le azioni.

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