[19/03/2009] Urbanistica

Un governo contro l´ambiente (2): grandi opere inutili di Mario Tozzi

ROMA. Nonostante tutte le aperture di credito che si debbono a tutti i nuovi esecutivi, nonostante la crisi economica sia dura e costringa a provvedimenti originali per “non mettere le mani nelle tasche degli italiani”, nonostante tutte le attenuanti generiche si vogliano considerare, questo governo rischia di passare alle cronache come il più dannoso di sempre per l’ambiente del nostro paese. E’ vero, ci sono stati i governi democristiani responsabili del sacco delle città d’arte d’Italia (Roma in particolare), quelli dei grandi insediamenti industriali in aree di pregio, i governi a partecipazione socialista responsabili di corruzioni che hanno avuto come vittima l’ambiente e perfino le amministrazioni di centro-sinistra che hanno avuto grosse responsabilità in piani regolatori faraonici o nel non arrestare l’abusivismo. Ma quello che sta succedendo con questa maggioranza sembra davvero mostrare pochi confronti con il passato. Consumo di territorio, grandi opere inutili, energia nucleare, parchi e aree protette e nuova legislazione sulla caccia sono i parametri più preoccupanti.

Questo governo, attraverso la decisione assunta in CIPE, riuscirebbe a garantire, per il programma di grandi opere, risorse pubbliche che sono in realtà solo poco più di un quarto (4,9 miliardi su 16,6) del totale messo in conto per le infrastrutture di trasporto. E ha deciso di immobilizzare, in una situazione economico-finanziaria di crisi, la metà delle risorse pubbliche realmente disponibili (2,3 miliardi di euro, di cui 1,3 miliardi per il ponte sullo stretto di Messina e 1 miliardo per il terzo valico dei Giovi) per grandi opere che non sono sorrette da piani economico-finanziari credibili e che avrebbero ancora bisogno, per essere realizzate, di ulteriori, ingenti fondi pubblici, visto che la copertura attuale è del tutto insufficiente. Le due infrastrutture costano cinque volte di più di quanto ad oggi stanziato: oltre 11 miliardi di euro, 6100 milioni per il ponte e 5060 milioni per il terzo valico.

Ma è utile il Ponte sullo stretto di Messina ? In un periodo storico in cui le infrastrutture dovrebbero servire l’assetto e lo sviluppo--non determinarli-- la soluzione del ponte sarebbe accettabile solo con crescite del PIL attorno a 3,8% nel prossimo decennio, mentre il PIL italiano crescerà, teoricamente, dello 0,5% (in realtà siamo a indici negativi o prossimi allo zero). La teoria del legame infrastrutture - sviluppo deve essere abbandonata, sia perché l’utilità delle opere pubbliche dipende dalla qualità e dall’uso efficiente, sia perché le infrastrutture trovano una loro vera ragione nel contesto economico regionale. Infatti ci sono aree che posseggono infrastrutture consistenti che permangono nel sottosviluppo: per esempio l’area di Corigliano Calabro, che non ha evidentemente beneficiato della presenza del mastodontico porto di Sibari. D’altro canto ci sono regioni scarsamente infrastrutturate che, invece, mostrano indici di sviluppo e dinamismo economico assai elevati, come l’intero nord-est italiano. Oltre un livello minimo le infrastrutture tendono a seguire lo sviluppo piuttosto che anticiparlo: è la domanda che crea l’offerta e non viceversa.

Ci si potrebbe poi aspettare che il traffico smaltito dal ponte sia in crescita esponenziale, tanto da giustificare un’opera di tali costi e impatti. E, invece si scopre che dal 1990 in poi il numero dei passaggi attraverso lo stretto è in caduta libera: passeggeri - 10%; mezzi pesanti - 3,0%, autovetture - 2,0%; in corrispondenza, inoltre, di una caduta dell’utilizzazione dei mezzi (scesa al 55%, cioè partenza di più navi vuote). Anche per questa ragione gli economisti sostengono che il ponte non sarà mai in grado di remunerare il capitale investito a causa delle ridotte dimensioni degli scambi commerciali attivabili. Oggi sul ponte potrebbero transitare 10.000 veicoli al giorno, siamo sicuri che domani ne transiterebbero 100.000 ? Su quali basi qualcuno prevede un incremento del 250% delle merci e del 170% dei passeggeri ? E non sarebbe da folli --nel caso di effettivi incrementi di quel genere-- continuare a mandare i TIR da Genova a Palermo sull’autostrada invece che via mare ?

Questo è un problema che riguarda tutte le grandi opere: il Golden Gate Bridge su cui transitano 115.000 veicoli al giorno (42 milioni di attraversamenti annuali) perde 51 milioni di dollari all’anno nonostante il pedaggio. In pratica chi pagherà i 100 milioni di euro all’anno di manutenzione del ponte sullo stretto quando neanche il ponte più famoso del mondo (di cui l’effetto monumento è sicuro) copre le sue ? Il tunnel sotto la Manica (Eurotunnel) presenta a tutt’oggi gravissime perdite economiche e continua a non essere preferito dagli utenti per via dei costi troppo più elevati rispetto ai mezzi alternativi di superficie; inoltre ha subito già un numero considerevole di incendi con interruzioni, paura, panico. Il ponte Oestersund fra Svezia e Danimarca ha mostrato un volume di traffico inferiore di un terzo rispetto alle previsioni, per cui registra considerevoli perdite economiche che, però, vengono appianate da interventi statali, pur essendo il ponte finanziato in regime di project financing: una specie di indebitamento occulto (e se accade in Scandinavia …).

Poco si comprende come dal ponte si incentiverebbe l’integrazione con l’Europa (che infatti non ce lo chiede): non è che la Gran Bretagna sia meglio integrata dal tunnel sotto la Manica, né si deve necessariamente raggiungere l’Africa via Sicilia. E’ vero la Sicilia è mal collegata e forse sottoutilizza le sue risorse --pur essendo tremendamente congestionata dal traffico-- a causa di una rete di trasporti non efficiente, ma questo cosa c’entra con il Ponte ? In realtà il Ponte non elimina una strozzatura, la crea, perché costringe tutti a passare di là, oltretutto incrementando il traffico su gomma. Nello scenario più ottimistico non si raggiungerà un terzo della capacità stradale del ponte da qui a dieci anni: ma se il ponte può sopportare 100.000 autoveicoli al giorno contro i 10.000 della massima previsione attuale, siamo nel tipico caso in cui l’infrastruttura non risulta utilizzata a pieno e dunque un qualsiasi pedaggio diventa, in pratica, una perdita di benessere collettivo.

Va infine considerato che un siciliano esce dalla sua isola, in media, una sola volta all’anno (e non perché non ci sia il ponte). E la quota che passa attraverso lo stretto è in netto e costante calo: dal 55 al 45%. Gli spostamenti fra le province di Reggio e Messina sono 15.000 di cui 12.000 senz’auto (al giorno): quelle persone continueranno senza meno a scegliere il traghetto e sarà una fortuna, almeno non incrementeranno il traffico su gomma e l’inquinamento. Mancheranno cioè proprio i passeggeri più regolari --quelli a cui il ponte avrebbe dovuto fare un gran favore-- che avrebbero gli accessi alle rampe del ponte talmente lontani dai rispettivi centri abitati da dover preferire comunque e sempre i traghetti o gli aliscafi. Il ponte non è sicuramente un’alternativa valida per il traffico locale e, più in generale, raccoglie consensi in ragione inversa rispetto alla lontananza da esso: più si è vicini meno lo si comprende e giustifica. Non si tratta di difendere una cartolina, ma di salvaguardare la percezione del territorio in cui si vive e si opera, senza affidarsi a un’opera taumaturgica tutta esterna al contesto, imposta dall’alto e poco giustificata localmente.

Il WWF Italia, infine, ricorda come non sia chiaro ancora oggi chi mai metterà gli altri 4,4 miliardi di euro (visto che costa 6,1 miliardi di euro ed oggi il governo ne rende disponibili 1,3) che servono per costruirlo, visto che lo Stato riesce oggi a destinare 800 milioni di euro in meno di quanto venne destinato quattro anni fa con la ricapitalizzazione della Stretto di Messina SpA (1,3 miliardi di euro oggi, contro i 2,5 miliardi di euro del 2003). Non è poi chiaro come si pensi di affrontare la ridefinizione dei rapporti con il general contractor capeggiato da Impregilo, visto che il costo dell’opera è di 2,2 miliardi di euro in più di quello con cui è stata vinta la gara (6,1 miliardi rispetto ai 3,9 miliardi di euro del maxiribasso presentato da Impregilo). Infine non risulta che siano stati superati tutti gli ostacoli tecnici di realizzazione di un ponte sospeso ad unica campata di 3,3 km (nell’area a maggior rischio sismico del Mediterraneo) e di gestione di un’opera, concepita per 100.000 veicoli al giorno quando stime ufficiali al 2032 prevedono solo 18.500 v/g.

Il WWF Italia, inoltre, contesta che il Governo decida di destinare al Ponte sullo Stretto un terzo (1,3 miliardi di euro su 3,7) delle risorse FAS (Fondi per le Aree Sottoutilizzate) assegnate alle infrastrutture del Mezzogiorno proprio quando Calabria e la Sicilia sono in emergenza idrogeologica. Solo in Calabria la Regione ha calcolato che per intervenire sui danni causati dal maltempo sarebbero necessari 1,4 miliardi di euro, mentre il Governo ha assicurato aiuti solo per 55 milioni. Calabria e Sicilia restano poi isolate, sostanzialmente, dal resto del Paese per i collegamenti via terra e via mare: la A3 Salerno-Reggio Calabria è un campo minato per il dissesto del territorio e per i numerosi cantieri ancora aperti. Inoltre si accumulano ritardi nella realizzazione dei maxilotti, causati tra l´altro per i movimenti franosi, della SS106 ionica, l´unica via alternativa di collegamento per il traffico stradale a lunga percorrenza. Infine i treni provenienti da nord lungo la linea tirrenica per almeno tre mesi saranno costretti a fermarsi a Lamezia Terme a causa di una frana profonda che minaccia la linea tra le stazioni di Mileto e Vibo-Pizzo, creando enormi disagi per chi si sposta anche in ambito locale e da e per la Sicilia. Nel frattempo RFI (Rete Ferroviaria Italiane) ha quasi dimezzato le corse dei traghetti che fanno servizio nello Stretto di Messina.

Il Governo, secondo gli ambientalisti farebbe bene, in alternativa, a investire, oltre che sulla A3 Salerno-Reggio Calabria, per: concludere al più presto i lavori sulla linea ferroviaria tirrenica interrotta tra le stazioni di Mileto e Vibo-Pizzo; ricollegare al più presto Reggio Calabria al resto d’Italia; potenziare le linee ferroviarie che collegano Catania, Messina e Palermo; chiudere finalmente i cantieri della SS106 Ionica; rifinanziare il riassetto del territorio (solo in Calabria la Regione ha calcolato che sarebbero necessari 1,4 miliardi di euro). In definitiva sarebbe molto meglio, secondo quanto richiesto anche dall’ANCE (Associazione Nazionale Costruttori Edili), investire in interventi puntuali alternativi e in opere medio-piccole veramente utili e realizzabili in tempi certi che, come ammette anche la stessa associazione dei costruttori, rappresentano i veri progetti anticrisi.

(continua - 2)

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