[17/03/2009] Monitor di Enrico Falqui

Labirinti e frattali urbani (3)

FIRENZE. Tutte le diverse interpretazioni riportate nei due articoli precedenti (vedi link a fondo pagina, ndr) ci forniscono il filo d’Arianna per uscire dai Labirinti metropolitani mediante i quali si è strutturata, in quasi tutte le aree densamente urbanizzate europee, la città contemporanea, disperdendo le identità dei luoghi, aumentando a dismisura la frammentazione dell’ambiente naturale e del paesaggio, rendendo inaccessibili gli spazi della città funzionali alla vita e ai comportamenti dei suoi abitanti.

Questo filo nasce dalla contraddizione pseudo-moderna che l’aumento delle reti infrastrutturali e tecnologiche produce non un incremento dell’accessibilità della città ma esattamente il suo contrario. Da questo fatto ne consegue che una città “inaccessibile” ai cittadini è una non-città, una città dallo sviluppo non sostenibile sia dal punto di vista ecologico, sia dal punto di vista sociale, come la lezione di Kevin Lynch ci ha insegnato.

Il “filo d’Arianna” per ricondurre il modello unico di “città infinita” (quale nuova definizione dell’Utopia di Tommaso Moro, realizzata proprio oggi attraverso la Metropoli) a quello di città “percepita” nell’identità dei luoghi dai suoi abitanti, non è il ritorno a un’impossibile utopia urbana ottocentesca, una sorta di città-fortificata nei suoi confini e nell’autarchia localistica che impone ai suoi abitanti, bensì un ripristino di tutte le “strade” di comunicazione storica, naturale e digitale con i vari centri e nodi urbani della conurbazione policentrica che si è sostituita negli ultimi anni a quella lineare, progettando reti e corridoi naturali e di paesaggio che uniscano vecchi e nuovi paesaggi urbani.

Anche il rapporto dell’Agenzia europea per l’ambiente ci avverte che è urgente un’estesa “azione di ecological-sprawl” nelle aree metropolitane europee in modo da progettare “greenbelts” che non avranno più la forma ordinata e geometrica di quella delle “Garden’s cities” inglesi dell’800, ma quella di un mosaico di “frattali naturali” che si ricongiungono tra loro fino a connettersi con le aree naturali estese e dominanti del territorio.

Si tratta di una vera e propria rivoluzione copernicana della pianificazione del territorio, della progettazione del paesaggio e anche dell’architettura, alla quale dovrà essere chiesto non di trasfigurarsi in “arte visiva” per produrre emozioni estetiche effimere, quanto invece di contribuire a riconciliare gli abitanti della città contemporanea con il senso dei luoghi e con la percezione sensoriale dei propri territori, essendo felici di apprezzare i vantaggi ecologici ed economici che derivano dall’abitare nella “domus” della contemporaneità.

( 3 - fine)

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