[12/03/2009] Energia

Più verde e bianco e meno rosso, il futuro ambientale dell’Italia secondo il Wwf

ROMA. Il Wwwf, in coincidenza della chiusura della Conferenza scientifica internazionale sul clima di Copenhagen, ha presentato oggi a Roma il suo Il dossier “Cambiamenti climatici, ambiente ed energia: linee guida per una strategia nazionale di mitigazione e adattamento” che raccoglie le analisi e le proposte dei degli esperti italiani in campo ambientale ed energetico che fanno parte del Comitato scientifico del Panda. «Riorientare il sistema produttivo liberandosi dalla dipendenza dei combustibili fossili e riducendo drasticamente le emissioni di CO2 (mitigazione) e ricostruire il benessere dei sistemi naturali per l’adattamento ai cambiamenti climatici sono i due imperativi che il nostro Governo deve seguire se vuole dare all’Italia un vero futuro energetico, trasformando i rischi legati alla crisi climatica globale in importanti opportunità per il nostro Paese, sia dal punto di vista ambientale che economico e sociale» dice il Wwf..
Per Gianfranco Bologna, direttore scientifico del Wwf, «Nell’anno in cui il mondo si appresta ad approvare un nuovo patto globale per il clima, è più che mai urgente che il governo doti il Paese di un Piano nazionale per l’energia e di un Piano nazionale per l’adattamento ai cambiamenti climatici che sono già in atto. Non è la voce degli ambientalisti ma quella dei massimi esperti ad indicare la strada per uscire dalla crisi energetica e climatica».

Il dossier spiega che il primo imperativo è quello di «mitigare, ovvero ridurre drasticamente le emissioni dei gas climalteranti rinnovando uno scenario energetico attuale ormai del tutto privo di prospettive. Il dato globale parla chiaro: per alimentare l’economia mondiale fino al 2050 mantenendo i parametri attuali (con i combustibili fossili che coprono l’80,9% dell’energia primaria utilizzata) servono combustibili fossili per 856.000 miliardi di tonnellate equivalenti di petrolio (Mtep), ma il mondo, tra carbone, petrolio, gas naturale e uranio, ne ha appena 800.000. Il che significa che continuando lo scenario di crescita dei consumi degli ultimi 30 anni, prima del 2050 tutte le risorse energetiche non rinnovabili attualmente accertate saranno esaurite».

Il Wwf ricorda che l’ultimo rapporto dell’Ipcc dice che occorre ridurre dell’80% le emissioni di gas serra entro il 2050 se si vuole contenere entro livelli gestibili il cambiamento climatico in atto e che questo non potrà essere fatto senza una loro riduzione di almeno il 30% entro il 2020, anche perché i fenomeni del cambiamento climatico stanno accelerando verso “soglie critiche” la cui gestione potrebbe diventare impossibile.

Il dossier passa in rassegna gli almeno 15 “tipping elements”, i punti critici del sistema climatico planetario che potrebbero entrare in crisi a causa dell’attività antropica: «la formazione di ghiaccio marino artico, la calotta continentale della Groenlandia, la calotta continentale dell’Antartico occidentale, il cosiddetto El Nino, la circolazione termoalina dell’Atlantico, i monsoni estivi indiano, quello occidentale Sahara/saheliano, la foresta tropicale amazzonica e quella boreale, la tundra, il permafrost, gli idrati di metano nel mare, la perdita di ossigeno negli oceani e l’ozono artico».

Il documento propone anche iniziative per far uscire l’Italia dallo stallo e farla saltare al passo con gli altri Paesi avanzati, partendo dalla presa d’atto che il nostro Paese dipende per l’energia quasi esclusivamente su fonti fossili e non dispone di grandi risorse energetiche non rinnovabili. La ricetta del Wwf prevede: « - 50% dei consumi, -50% delle fonti fossili, fonti rinnovabili più che triplicate entro il 2030 (con investimento iniziale ampiamente ricompensato dalla convenienza a medio termine), per uno scenario complessivo in cui il fabbisogno energetico nazionale sia assicurato al 50% da fonti rinnovabili e combustibili fossili. Lo scenario è un vero e proprio “tricolore” per il futuro energetico dell’Italia in cui appare evidente la necessità di aumentare il verde per le rinnovabili e il bianco per l’efficienza da sviluppare a fianco di una riduzione del rosso delle fonti convenzionali».

Il Panda chiama il governo ad agire anche con un Piano per il benessere dei sistemi naturali, base fondamentale per il benessere e l’economia. Dal 1980 L’Europa ha speso per questi eventi circa 15 miliardi di euro l’anno per i disastri naturali attribuibili a eventi metereologici o climatici ma «mentre la Commissione Europea sta ormai finalizzando un White Paper per la strategia sull’adattamento, in Italia il tema è ancora agli albori a parte un primo passo affrontato nel 2007 all’interno della Conferenza nazionale sui cambiamenti climatici che però non ha avuto seguiti operativi nella successiva finanziaria».

A preoccupare sono la velocità del cambiamento climatico e l’acuirsi degli eventi estremi e il Wwf chiede di l monitorare gli ambienti più delicati, «a partire dalle foreste per poi intervenire sui sistemi agricoli, sugli ecosistemi marini e su quelli di acqua dolce». La più urgente opera pubblica sarebbe invece il «ripristino o restauro del territorio capace di riconnettere tutti i sistemi naturali per renderli meno fragili e vulnerabili ai cambiamenti climatici. Purtroppo oggi si continuano a proporre infrastrutture considerando poco i conseguenti effetti sui sistemi naturali. Ricomporre gli ecosistemi come un puzzle di ambienti naturali fino ad oggi sempre più sconnesso che consenta agli animali e piante di “migrare” in risposta ai cambiamenti e di catturare il carbonio tramite il ripristino delle foreste e delle zone umide».

Il grande e ignorato malato sembra il Mediterraneo, in preda ad una febbre «che ha già comportato cambiamenti in termini di biodiversità: specie migrate a nord, ingresso di specie esotiche legate anche ai fenomeni di bloom tossici di alghe, , etc. 2-3 gradi C° come aumento anomalo e prolungato delle temperature estive hanno indotto nei fondali una mortalità massiva su 28 specie di invertebrati, principalmente quelle cosiddette bentoniche (spugne, gorgonie). Il Mediterraneo profondo si sta riscaldamento più velocemente degli altri mari ed il fenomeno più preoccupante è forse l’alterazione dello scambio di nutrienti che avviene tra masse d’acqua profonde e superficiali. La perdita di biodiversità che ne deriva è preoccupante dato che gli oceani forniscono globalmente il 16% di proteine utilizzate in alimentazione umana e ‘rendono’ il 63% del valore finanziario dei servizi forniti dagli ecosistemi. Creare un network di aree marine protette, estendere la protezione dei sistemi costieri a quelli profondi del Mediterraneo (es. i coralli di profondità), sostenere pratiche di pesca sostenibile».

L’atra acqua, quella dei sistemi di acqua dolce, è a rischio perenne di esondazioni ed ha livelli scadenti di qualità, con prelievi esorbitanti di risorsa idrica per usi spesso sconsiderati. «Sicurezza idraulica e rinaturalizzazione non sono in conflitto – dice il dossier - Investire risorse, ad esempio, per ricostruire gli spazi naturali di esondazione dei fiumi, o conservare quei tratti naturali ancora integri sono solo alcune delle azioni proposte dal Comitato che sottolinea l’urgenza di gestire i nostri fiumi come “sistemi più complessi”, ovvero, su scala di bacino idrografico».

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