[10/03/2009] Rifiuti

La gestione dei rifiuti (che continuano ad aumentare) in Europa secondo Eurostat

LIVORNO. Mezza tonnellata a testa è la quantità di rifiuti urbani prodotta ogni anno dai cittadini europei. O almeno questa è la quantità registrata nel 2007 facendo una media tra i 294 chilogrammi di un cittadino della repubblica Ceca e gli 801 di uno del regno della Danimarca.
Sempre rimanendo ai dati medi, raccolti ed elaborati da Eurostat, il destino di questi rifiuti è stato lo smaltimento in discarica per il 42% , l’incenerimento per il 20%, il riciclaggio per il 22% e il compostaggio per il 17%.

Ma l’analisi della situazione all’interno di ogni stato membro rivela che ci sono grandi differenze che portano a questi dati medi. Sulla produzione, ad esempio, a fianco di paesi quali la Danimarca, l’Irlanda e Cipro che hanno una produzione procapite superiore ai 750 chilogrammi di rifiuti domestici all’anno, vi sono paesi come la Romania, la Lettonia, la Polonia e le repubbliche Slovacchia e Ceca che ne producono meno di 400.

Nel mezzo ci stanno due gruppi cui corrisponde una produzione tra 500 e 600 chilogrammi procapite (Austria, Spagna, Germania, Regno Unito, Italia, la Francia, Estonia, Svezia e Finlandia) e tra 400 e 500 chilogrammi (Belgio, Portogallo, Bulgaria, Ungheria, Grecia, Slovenia e Lituania).

Rispetto alle percentuali di riciclaggio in testa troviamo la Germania, il Belgio e la Svezia, rispettivamente con il 46, il 39 e il 37% e in coda alla classifica la Bulgaria (che porta il 100% in discarica) Romania, Polonia, repubbliche Ceca e Slovacchia che oscillano tra l’1 e il 2%. L’Italia è all’11% (al 43% se si sommano anche le percentuali di compostaggio, che risultano assai elevate rispetto ai dati nazionali ufficiali).

Riguardo allo smaltimento in discarica subito dietro la Bulgaria troviamo la Romania con il 99% dei rifiuti, il 96% della Lituania, e poi il gruppo che sta attorno all’82-87% costituito da Slovacchia, Repubblica Ceca, Grecia e Cipro. I paesi che utilizzano meno questa forma di smaltimento sono la Germania (1%), i Paesi Bassi (3%), Belgio e Svezia (4%), Danimarca (5%)

Ad incenerimento vanno il 53% dei rifiuti in Danimarca, il 47% in Svezia e Lussemburgo il 39% in Belgio, il 36% in Francia e il 35% in Germania. Per il compostaggio eccelle l’Austria con il 38% cui seguono l’Italia con il 33% (mentre il dato Ispra indica percentuali dell’11% ), il Lussemburgo e i Paesi Bassi con il 28%. Gli altri paesi sono tutti sotto una percentuale del 20% e alcuni non lo praticano per niente.

Quando si parla di rifiuti urbani, specifica Eurostat, si intende per larga parte rifiuti originati da attività domestiche e gestite dalla municipalità, cui vanno aggiunti in proporzioni diverse, nei singoli territori e in funzione dei sistemi locali di gestione, quelli che derivano da attività artigianali e piccole imprese, che in Italia vengono definiti assimilati agli urbani.

La contabilità effettuata da Eurostat riguarda solo questa tipologia di rifiuti e non invece i rifiuti agricoli ed industriali e prende in considerazione solo la parte trattata all’interno dello Stato membro, non quindi quella eventualmente esportata in altri stati.
Un quadro interessante alla luce dei nuovi obiettivi di riciclaggio della direttiva da poco in vigore (e che dovrà essere recepita entro il 2010 da tutti e 27 gli stati dell’Unione) portati ad almeno il 50% in peso al 2020 per i rifiuti di origine domestica (Rsu) e ad almeno il 70% in peso per la parte degli speciali relativa agli inerti da costruzione e demolizione alla stessa data.

Obiettivi che secondo i dati del Consorzio nazionale imballaggi, per quanto riguarda le frazioni merceologiche derivanti da questa tipologia di rifiuti sarebbero già ampiamente superati, ma che invece dai dati di Eurostat (che li calcola sulla quantità complessiva dei rifiuti prodotti) risultano ancora fermi all’11%.
Il Conai rileva infatti che nel 2007 il sistema nazionale di recupero e riciclo dei rifiuti da imballaggio ne ha avviati a queste pratiche il 67% degli immessi a consumo (che è un dato diverso da quello che diventa rifiuto), con 7 punti percentuale in più rispetto agli obiettivi di settore fissati al 60% per il 2008.

Risultati che per alcuni materiali – dice Conai sull’ultimo rapporto Ambiente Italia- «raggiungono veri e propri livelli di eccellenza a livello europeo» e come esempio viene riportato che «nel riciclo dell’alluminio l’Italia è prima in Europa a pari merito con la Germania e terza a livello mondiale, dopo Stati Uniti e Giappone» e per la carta «siamo giunti al 70% di riciclo sul territorio e siamo al terzo posto in Europa».

Ora dato che come previsto dalla direttiva, spetterà alla Commissione stabilire le norme dettagliate di attuazione e di calcolo per verificare il raggiungimento degli obiettivi che vengono fissati, anche per proporne entro il 2014 il rafforzamento e l’eventuale introduzione anche per altri flussi di rifiuti, sarebbe auspicabile che si arrivasse ad un sistema omogeneo di calcolo, così da evitare incongruenze tra gli Stati membri e difficoltà di confronto.

C’è poi da segnalare, che per quanto riguarda la produzione (dei soli rifiuti urbani) gli obiettivi di tenere ferma la quantità pro capite al livello della media europea del 1985, ovvero 300 kg entro il 2000, è stato clamorosamente mancato, al punto che nel 6° Programma d´Azione comunitario non si parlava neanche più di obiettivi di riduzione ma si auspicava, genericamente, il raggiungimento di una significativa e generalizzata riduzione del volume di rifiuti prodotti attraverso "una migliore efficienza delle risorse e una migliore gestione delle risorse e dei rifiuti ai fini del passaggio a modelli di produzione e consumo sostenibili”.

Azioni che ancora però non si vedono né nelle politiche produttive né nei comportamenti individuali. Adesso la nuova direttiva ritorna sul tema e prevede che gli Stati membri dovranno predisporre programmi di gestione e prevenzione dei rifiuti sui quali poi la Commissione entro il 2014, dovrà fissare obiettivi di prevenzione precisi.
Ma intanto i rifiuti continuano a crescere.

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