[03/03/2009] Comunicati

Crisi, il problema della fiducia è in chi (e in che cosa) la si ripone

LIVORNO. Sono passati neppure due anni da quando la coppia di ferro Alesina-Giavazzi ha pubblicato “Il liberismo è di sinistra” e oggi si trovano nello stesso giorno (in una strategia quasi sicuramente concordata), il primo sul Sole 24 ore (insieme a Ignazio Angeloni) il secondo sul Corriere della sera, a inventarsi una disperata lettura salva-capitalismo delle crisi che stiamo vivendo: dopo aver occupato tutto lo spazio nobile in prima pagina a tentare di dimostrare che il capitalismo non è fallito e a sottolineare le cose buone che ha prodotto, Alesina nella parte finale dell’articolo che finisce seminascosto a pagina 10 ammette che «sicuramente alcune regole della finanza vanno riscritte soprattutto per adattarle meglio alla sua dimensione globale, ma attenzione a non scagliarsi indiscriminatamente contro i mercati finanziari alimentando la sfiducia, la causa principale del vortice negativo in cui ci stiamo avviluppando». La colpa quindi è come al solito di chi oggi crea allarmismi (forse il riferimento è agli analisti dell’Istat che hanno avuto l’ardire di rivedere al ribasso le stime sul Pil, contribuendo al crollo della borsa di Milano che ieri ha chiuso a – 5,7% e oggi conferma la discesa) invece di spargere fiducia e sorrisi perché «non è questo il momento di recriminazioni o rivincite, gli attacchi anche solo retorici contro la triade (cioè un sistema di commercio e di finanza liberi a livello globale, ndr) sono pericolosissimi proprio perché la fiducia scarseggia». Il titolo dell’editoriale è appunto “Il rischio più grande è aumentare la sfiducia”.

Fa un po’ paura, soprattutto per noi che economisti non siamo, leggersi subito dopo l’editoriale di Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera, il cui titolo è “Allarmare non paga”: si parte da un’analisi della situazione americana e delle decisioni prese dal nuovo governo definendo «pessime le ultime due settimane per l’amministrazione Obama». In questo caso non c’è neppure un minimo di autocritica, ma soltanto di critica bella e pura all’amministrazione Obama, che deve capire «che il punto di partenza per risolvere la crisi sta nel riportare gli investitori in Borsa, mentre spaventarli minacciando nazionalizzazioni è la ricetta più sbagliata».

La coppia di ferro ha colpito ancora quindi, manovrata per fare opinione (la medesima) su due dei maggiori quotidiani italiani. Nella triade (giornalistica, non quella idolatrata da Alesina) c’è anche Repubblica, che evidentemente non è ancora sotto la stessa influenza e quindi può permettersi di pubblicare (nel paginone centrale, niente a che vedere con gli editoriali di Sole e Corriere), l’intervento di Giorgio Ruffolo sullo stesso tema delle nazionalizzazioni, ricordando esempi che stranamente non sono venuti in mente agli altri due colleghi economisti: «Nel 1992 il governo svedese ha rilevato le banche insolventi, le ha convenientemente ripulite per poi rivenderle». Chissà perché, si chiede quindi Ruffolo «agli svedesi certe cose vanno meglio che a noi: per esempio il welfare, anziché l’esempio americano, che ci veniva insistentemente raccomandato, forse avremmo dovuto seguire quello svedese».

Adesso il quadro è completamente cambiato «Nazionalizzateci, invocano le banche americane – conclude Ruffolo – e Persino Alan Greenspan, l’uomo che avrebbe ottime ragioni per tacere essendo uno dei maggiori protagonisti del disastro si unisce al coro. E’ proprio vero che le vie del capitalismo sono infinite».

Intanto mentre ieri la Borsa di Milano affondava sempre di più sbarcava in Italia il microcredito del premio Nobel Muhamamad Yunus (presto nascerà Grameen Italia in collaborazione con Unicredit) che interrogato sulla crisi economica e sui possibili effetti anche sulla sua iniziativa ha risposto: «Non ho motivo di preoccuparmi – ha spiegato – La Grameen ha prestato 7,6 miliardi di dollari alle fasce più deboli dei paesi meno fortunati del mondo e rientra del 98% dei crediti erogati. Anche perché quando diamo 100 dollari a una donna in un villaggio del Bangladesh le nostre garanzie sono polli, maiali e verdura. Non carta e carta costruita su carta come hanno fatto le banche tradizionali (…) Questo sistema è fallito, dobbiamo ripartire da zero, ricostruire mattone su mattone una finanza fondata su altri principi, che sia inclusiva di tutti e dove ci si occupa dei problemi non solo quando piovono sulle spalle dei ricchi».

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