[02/03/2009] Monitor di Enrico Falqui

Labirinti e frattali metropolitani (1)

In un suo saggio di alcuni anni fa, Roberto Gambino definiva la città contemporanea, in Italia come in Europa, “una città frattale” nella quale “il territorio sembra essere connotato da un medesimo grado di frammentarietà, in cui è possibile riconoscere fenomeni di dispersione di cose e soggetti, di pratiche e di economie. La città frattale rappresenta l’esito di un progetto di città eterogenea e discontinua in molte sue parti, che affida la propria organizzazione, la riconoscibilità e la leggibilità della propria forma a un insieme ampio di strutture che fanno riferimento a prototipi diversi”.

Non accade spesso che riflettiamo sul fatto che, a molte persone, sembra che l’urbanizzazione diffusa esprima un approccio al territorio e all’ambiente non consapevole, né congruente, né lungimirante.
In realtà, quando gli aggregati metropolitani si estendono senza sosta, come è accaduto nella Valle dell’Arno, da Arezzo a Pisa, negli ultimi 40 anni, le superfici riservate all’agricoltura e alla conservazione della natura e del paesaggio non possono fare altro che ridursi progressivamente, fino a divenire residuali.
Gran parte dell’opinione pubblica, fino a poco tempo fa, non lo considerava un problema, poiché il rifornimento alimentare ed energetico delle città è garantito dall’integrazione dei mercati; tuttavia oggi sappiamo che tali certezze erano effimere e che, in futuro, avremo sempre più bisogno di recuperare aree naturali e aree sottratte all’urbanizzazione.

Alcuni mesi fa (2008), è stato pubblicato da parte dell’Agenzia europea per l‘ambiente, un interessante rapporto intermedio del Progetto Murbandy/Molan che documenta le principali modificazioni spaziali avvenuti in 25 grandi aree metropolitane europee negli ultimi venti anni.
I risultati, ancora non definitivi, sono tuttavia molto significativi per lo straordinario cambiamento intervenuto in tutte le aree metropolitane europee per quanto riguarda i fenomeni di aggregazione insediativa, economica e sociale; la crescita vertiginosa dell’”ipermobilità” basata sull’uso dei veicoli privati; la nascita di nuovi ipercentri periferici alle “inner cities”.
Se guardiamo questo fenomeno dall’alto, dall’aereo ad esempio, ci accorgiamo che anche l’antica “forma lineare” della conurbazione preconizzata da Geddes, ha cambiato forma.

Nelle principali aree metropolitane del Nord e del Centro Italia, la forma emergente è una sorta di reticolo con filamenti che assomigliano ai rizomi delle piante, che non derivano dai grandi centri urbani, ma hanno invece una natura endogena che si evolve in direzioni diverse.
In altre parole, si è passati da uno sviluppo metropolitano di tipo radiale a un modello di conurbazione estesa e policentrica, che coinvolge anche gli interstizi del sistema rurale attraversato da nuove reti infrastrutturali e da nuovi assi stradali di comunicazione.
(1 - continua)

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