[02/03/2009] Comunicati

Il clima, la comunità scientifica internazionale e gli ´scienziati´ del contro-Ipcc

FIRENZE. Il quarto rapporto Ipcc è una carnevalata. Il riscaldamento globale pure. Per non parlare dell’influenza antropica, che nel caso è risibile ed è comunque stata sopravvalutata ad arte per dare il via ad un processo politico destinato alla rivitalizzazione della sinistra mondiale e all’affermazione delle rinnovabili, vero business ambientalista del presente e del futuro. I malthusiani sono alle porte, i catastrofisti stanno assediando le libere città. E’ la bufala del global-warming che impera.

Questo scenario apocalittico è, tra quelli che cercano di decifrare la complessità del mondo odierno, quello che più convince i partecipanti all’N-Ipcc, la sedicente associazione non-governativa che riunisce i più accreditati tra i cosiddetti climate skeptics, cioè quegli scienziati (nella stragrande maggioranza dei casi, non climatologi) che alla partecipazione al dibattito sulle mille incertezze del clima hanno preferito l’arroccamento in una posizione di pura critica e rottura con quelle che ritengono le «opprimenti verità di fede» riferite al surriscaldamento globale.

E fin qui non ci sarebbe niente di strano: ancora la scienza non ha chiarito alcuni importanti aspetti del clima, ed è ovviamente benvenuto il contributo di chiunque possa fornire elementi di progresso nella consapevolezza scientifica. Il problema sorge quando andiamo a chiarire come davvero stiano le cose, al di là dell’apparenza che abilmente ci viene presentata.

L’N-Ipcc infatti, è una specie di specchietto per le allodole creato cinque anni fa da scienziati (non tutti possono definirsi tali) americani ed europei sotto la supervisione (e col finanziamento) dell’Heartland institute, think-tank conservatore tra i più aggressivi e faziosi. Lo scopo è fornire un’apparenza di sistematicità e autorevolezza alle tesi più svariate, ma che sono tutte riconducibili ad un solo meta-messaggio: il cambiamento climatico non è reale, o perlomeno non è reale l’influenza antropica in esso.

E la logica conseguenza è che ogni azione di mitigazione delle emissioni è nel caso migliore una illusoria utopia, nel caso peggiore un vero e proprio complotto ai danni della libertà di tutti noi, un bieco piano per istituire una specie di governance mondiale (ai danni della libertà politica), per istituire nuove forme di iniqua tassazione (a danno della libertà economica), per obbligare il mondo a intraprendere la strada delle rinnovabili (a danno della libertà produttiva).

La nuova Bibbia di questa forma di religione è il cosiddetto contro-rapporto Ipcc, cioè il documento prodotto nel corso del 2008 e chiamato “La natura, non l’attività umana, governa il clima”. Il documento è una accorata (e in molte parti assurda per contenuti e conclusioni) disamina di tutte le conclusioni a cui è giunto l’Ipcc nel suo quarto rapporto sul clima: in esso si leggono varie amenità sul fatto che le emissioni di CO2 fanno in realtà bene all’atmosfera e al clima terrestre, sul fatto che i modelli dell’Ipcc sono completamente sballati, sul fatto che gli eventi estremi non sono in intensificazione, e chi più ne ha più ne metta. Alla fine il meta-messaggio è sempre e solo quello: tutto può continuare come oggi, e non occorre mettere mano alle emissioni di gas serra.

Il problema fondamentale è che il fine non è scientifico, ma puramente politico: all’esistenza di un rapporto Onu sul clima viene contrapposto un documento che è appositamente caratterizzato dallo stesso nome, documento che – viene fatto credere – ha la stessa attendibilità di un report delle Nazioni Unite che ha visto la partecipazione di climatologi provenienti dai principali centri di ricerca climatologica del pianeta.

Il fine è, semplicemente, il tentativo di istituire una finta «par-condicio del clima». Il fine è ottenere che, nel Tg della sera e sulle pagine dei quotidiani, le notizie riguardanti il cambiamento climatico siano trattate alla stessa stregua delle notizie attinenti al caso-Eluana, o ad altre generali questioni etiche: viene intervistato un climatologo, o vengono diffusi dati provenienti dal rapporto Onu sul clima (cioè dati che, pur nella consapevolezza degli – effettivamente esistenti – punti di contatto tra climatologia e politica, sono da ritenersi i più attendibili possibile)? Deve essere presente una seconda voce. Viene intervistato Giampiero Maracchi al Tg1, cioè uno dei più autorevoli climatologi italiani? Ad esso deve essere affiancata un’intervista a Franco Battaglia, non un climatologo ma editorialista del Giornale e membro della stessa “Commissione N-Ipcc”.

Pur ribadendo il rispetto per le posizioni diverse, e anche riaffermando che lo scetticismo è la madre della scienza sperimentale, è necessario ammonire l’opinione pubblica riguardo al pericolo rappresentato da questo approccio: non esistono, infatti, due verità sul clima. Non esistono, all’interno della comunità climatologica, due fazioni (una che “sostiene” il ruolo antropico, una che è “tifosa” del ruolo dei forcing naturali): questa è solo una descrizione di comodo, finalizzata a sollevare un polverone nell’opinione pubblica e trasformare il dibattito scientifico sul clima nella notte filosofica di Immanuel Kant, quella notte scura in cui «tutte le vacche sono nere» e tutte le posizioni, anche quelle più astruse, devono godere della stessa visibilità per l’opinione pubblica. In realtà nella comunità climatologica accreditata esiste naturalmente un dibattito finalizzato ad una migliore comprensione dei meccanismi che regolano la macchina-clima, ma non certo la contrapposizione di due fazioni che ci vuole venir fatto credere che avvenga.

E’ questo il contesto in cui si terranno nei prossimi giorni due incontri sul tema: il primo prenderà luogo domani, 3 marzo, a Roma, ed ha come titolo “Cambiamenti climatici e ambiente politico”. La conferenza, patrocinata dai dipartimenti Ambiente ed energia di Forza Italia, vedrà la presentazione di un libro già piuttosto noto, coordinato da Fred Singer e chiamato “La natura, non l’attività dell’uomo, governa il clima”. Inoltre sarà presentato l’intervento del dicembre scorso al Senato americano che è stato effettuato da alcuni scienziati “scettici”, di cui già avevamo parlato altre volte (documento che è stato già stroncato da vari centri di ricerca a causa delle evidenti forzature che contiene). Seguiranno interventi di alcuni studiosi (fisici, geologi, meteorologi) ma il bello è che nell’elenco dei partecipanti non è compreso neanche un climatologo.

Neanche uno, nonostante venga da pensare che se l’argomento trattato è il clima forse sarebbe il caso che intervenissero anche dei climatologi (forse).

Altro incontro interessante (presentato come “Seconda conferenza internazionale sul cambiamento climatico”) si terrà invece dall’8 al 10 marzo a New York, e avrà il roboante sottotitolo “Global warming: è mai stata una reale crisi?”. L’evento è direttamente finanziato dall’Heartland institute, e vedrà la partecipazione di alcuni tra i più conosciuti esponenti del colorato mondo dei climate skeptics: da Richard Lindzen a William Gray, dal blogger Stephen Mc Intyre all’astrofisico Willie Soon. E’ ancora da confermare, invece, la partecipazione di Vaclav Klaus, presidente della repubblica Ceca, che attualmente presiede l’Unione Europea.

Al di là delle note posizioni di Klaus (un estremista che più volte ha dichiarato candidamente di ritenere l’ambientalismo come “una nuova forma di comunismo” e di guardare al Gw come ad una bufala di matrice politica), è chiaro che la sua partecipazione, se dovesse prendere atto, solleverebbe polemiche politiche di enorme portata. E’ infatti atteso da molti un ritiro della partecipazione di Klaus.

E’ comunque probabile, anzi è pressoché certo, che la concomitanza dei due incontri non sia casuale, ma che anzi sia da esaminare alla luce dell’offensiva che vari centri di potere politico stanno conducendo da anni per cercare di intralciare con ogni mezzo (lecito e illecito) il percorso politico e sociale che il mondo sta intraprendendo in direzione dell’uscita dalla dipendenza dai combustibili fossili. Qui non contano le incertezze che tuttora la climatologia accreditata (e l’Ipcc stesso) rivestono riguardo ad alcuni aspetti del clima: conta ottenere che, come detto sopra, nei titoli dei giornali e dei Tg non si parli più di “allarmi delle Nazioni Unite sul Gw”, ma di semplice contrapposizione di due idee avverse, entrambe sostenute da documenti che hanno lo stesso nome, che apparentemente usano la stessa metodologia, ma che giungono a conclusioni opposte.

Il fine, in chiusura, è anche far sì che per ogni query effettuata sui motori di ricerca col nome “Ipcc” compaiano non uno ma due tipi di risultati. Che per tutto il tempo che ci separa dalla conferenza di Copenhagen di fine 2009, ogni ricerca effettuata con le parole “conferenza sui cambiamenti climatici” conduca non ad uno ma a due risultati. Che, ogni volta che un climatologo sia intervistato sui media e parli del surriscaldamento, sia d’obbligo affiancargli l’opinione di un qualsiasi scienziato, anche non esperto della materia, purché essa sia avversa a quella del climatologo. Il fine è appunto una finta par-condicio del clima, finalizzata a sollevare un polverone e far sì che il cittadino in cerca di informazioni pensi che esistono due verità sul clima: una “di sinistra” e una “di destra”, e che quindi nessuna certezza sia tale.

Evidentemente c’è chi la lezione di Orwell sulla potenza del “bispensiero” l’ha capita perfettamente, e la usa con grande abilità persuasiva: il dubbio è se il sistema mediatico e l’opinione pubblica siano dotati dei necessari anticorpi culturali che permettano di respingere questa offensiva, o perlomeno di trattarla alla stregua di quello che altro non è, e cioè una battaglia politica che con la climatologia ha ben poco a che fare. Ma il timore è che così non sarà.

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