[17/02/2009] Comunicati

Al Gore, gli scienziati e la comunicazione ambientale

FIRENZE. Da Galileo a Darwin, dalle scoperte di John Tyndall sull’assorbimento del carbonio nell’infrarosso fino alle affinità tra gli spot sul carbone pulito e quelli delle major del tabacco. L’intervento del 14 febbraio di Al Gore al congresso annuale dell’Aaas (American Association for the Advancement of Science, in corso a Chicago, ha avuto ancora una volta il cambiamento climatico e gli aspetti comunicativi ad esso correlati come temi centrali.

In particolare, i 45 minuti dell’intervento di Gore, corredati dalla presentazione di una serie di diapositive (che la rivista Scientific american definisce «evolute rispetto ai tempi del film An inconvenient truth»), sono stati caratterizzati da un appello agli scienziati perchè essi siano maggiormente coinvolti nel dibattito sul Global warming.

«Gli scienziati non possono più accettare, in buona coscienza, questa divisione tra il lavoro che fanno e la civilizzazione in cui vivono. Proseguite il vostro lavoro di tutti i giorni, ma prendete parte al dibattito» - ha sostenuto davanti alla platea degli studiosi.

Gore ha poi attaccato con forza la campagna da 500 milioni di dollari a favore del cosiddetto clean coal che è stata recentemente condotta sulle reti televisive americane, paragonando uno degli spot a quelli che, fino ad alcuni anni fa, incitavano gli adolescenti al consumo di derivati del tabacco. Altri argomenti che il premio Nobel per la pace ed ex-vicepresidente degli Usa ha citato riguardano la crescita del livello marino e le conseguenze possibili in termini di «rifugiati climatici» («l’obiettivo attuale dei cittadini delle Maldive è... comprare una nuova nazione») e il legame ancora da chiarire in molte parti, ma comunque appurato, tra il surriscaldamento e gli eventi meteorologici estremi.

Infine, Gore ha rammentato all’auditorio il rischio di un improvviso incremento del Global warming a causa del rilascio di metano intrappolato nel permafrost (e va aggiunto, a questo riguardo, anche il nuovo studio di cui parliamo in un altro articolo di oggi riguardo al potenziale rilascio dal permafrost di N2O, finora forse sottostimato).

«E’ un momento senza precedenti nella storia della nostra nazione e dell’intera popolazione mondiale», ha ribadito in chiusura, per poi aggiungere, con il suo consueto tono epico, che «come specie, dobbiamo prendere una decisione».

E forse il tono sarà anche eccessivamente apocalittico, e non è questa una novità nella prosa che Al Gore adotta in queste occasioni. Resta però il fatto che – tono epico o no - gli allarmi lanciati da Gore (da An inconvenient truth – 2006 – in poi) sono stati di fondamentale importanza per mettere i decisori politici e l’opinione pubblica davanti all’evidenza dell’impatto dei cambiamenti climatici indotti dal surriscaldamento globale. Ed è probabile che senza quella drammatizzazione della verità tipica degli interventi di Gore il problema oggi non sarebbe affrontato con la stessa (comunque insufficiente) determinazione con cui oggi vediamo che stanno venendo approvate le prime concrete misure di mitigazione.

In fin dei conti, infatti, stiamo parlando non certo di “mistificazione”, ma appunto di “drammatizzazione” della verità. Una verità climatica che anzi è drammatica di suo, e che sarebbe anzi probabilmente mistificatorio presentare, come molti analisti vorrebbero, come un problema di poco conto davanti ai Moloch rappresentati dalla crisi economica, sociale e produttiva.

Altro aspetto degno di interesse è l’appello di Gore agli scienziati di tutti i campi per stimolarli a prendere parte al dibattito sul clima. Evidentemente, così come in Italia, anche negli Usa è sempre più grave il distacco tra le conoscenze della “comunità scientifica” e quelle dell’opinione pubblica sui temi inerenti al cambiamento climatico. Una materia che ha (e avrà sempre più) così profonde implicazioni sulla vita politica delle nazioni non può essere relegata ad ambienti accademici: il rischio è infatti che il distacco tra “scienza” e “gente comune” porti alla permeabilità dell’opinione pubblica davanti alle mille bufale e pseudo-bufale che ogni giorno vengono introdotte nel dibattito, non ultima quella sui ghiacci artici di fine 2008 che ad inizio gennaio vennero definiti “uguali al 1979”, con una distorsione della realtà (al di là dei dati “grezzi”) che ha pochi precedenti nella storia dell’informazione scientifica in Italia.

Una notizia che avrà probabilmente destato l’ilarità di quella ridotta parte di persone che hanno una sia pur minima consapevolezza della materia, ma che sicuramente avrà gettato nell’opinione pubblica meno informata dubbi sulla consistenza dello stesso surriscaldamento («i ghiacci si riprendono? Lo sapevo che il Gw era una bufala»), che persisteranno per anni nonostante le reiterate (e tardive) smentite che la notizia ha ricevuto dai media che l’avevano pubblicata gridando alla crisi del Gw.

Serve una crescita dell’informazione scientifica “popolare” in Italia, quindi. Anche naturalmente per proteggerla da quegli eccessi in direzione contraria (cioè gli allarmismi a-scientifici “pro-global warming”), che pure non mancano nel dibattito. E serve negli Usa, dove il presidente Obama ha citato nel suo discorso d’insediamento la volontà di «ridare alla scienza il suo posto». E a questo proposito va anche citata la recente iniziativa («Science: so what? So everything») che il governo inglese ha intrapreso per avvicinare le persone alla comprensione delle tematiche scientifiche.

L’obiettivo è, in chiusura, una crescita culturale che sia anche stimolata dai decisori politici. Una crescita che comporti la discesa della scienza dall’Olimpo (e quindi una maggiore importanza da attribuire agli aspetti comunicativi da parte delle associazioni scientifiche), ma che ad essa associ anche l’uscita delle persone da quel bar dove, tra una partita di calcio e un bicchiere di birra, ci si spinge a commentare l’ultima “notizia” che nega il Global warming. Prosciugare l’acqua dove nuota quella componente a-scientifica dello scetticismo climatico e ambientale, questo in sintesi è l’obiettivo: e ogni uomo di scienza può dare il suo contributo, sia in Italia, che in Gran Bretagna, che negli Stati Uniti.

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