[12/02/2009] Comunicati

Clima: negli Usa spesi 700 miliardi di $ in 29 anni per eventi estremi

FIRENZE. «Gli Stati Uniti hanno affrontato, negli ultimi 29 anni, 90 disastri di natura meteorologica in cui il conto dei danni ha raggiunto o superato il miliardo di dollari. Le perdite totali (indicizzate al 2008) per i 90 eventi superano i 700 miliardi». E’ questo il fulcro dello studio che il National climatic data center (Ncdc, branca della Noaa che si occupa della rassegna sistematica dei dati climatici) ha rilasciato nei giorni scorsi, basandosi su un raffronto tra i dati climatologici e quelli economici riguardo agli eventi estremi avvenuti negli Usa dal 1980 al 2008.

Le stime pubblicate dall’Ncdc derivano dalla raccolta dei dati pubblicati da centri di studio climatologico, ma anche dalla Fema (l’agenzia federale di gestione delle emergenze), da altre agenzie governative o da compagnie assicurative.

L’impatto in termini economici degli eventi estremi appare in deciso aumento, come si può vedere nell’immagine. In essa, sono indicati con istogrammi azzurri gli eventi che hanno causato danni superiori al miliardo di $, valore che però è “grezzo” e non normalizzato quindi non indicatore di un trend effettivo. Analoga considerazione vale per la linea azzurra visibile nell’immagine, che indica l’aumento dei costi per danni, ma in termini grezzi.

Significato ben maggiore ha invece la linea rossa, che indica il trend dei danni con valori normalizzati al 2007. Come si può notare, essa è caratterizzata da un moderato ma inesorabile trend al rialzo. Anche mettendo da parte l’estremo rappresentato dal tragico 2005 (anno dell’uragano Katrina, che con oltre 133 miliardi di dollari di danni è stato di gran lunga l’evento più costoso degli ultimi 30 anni), possiamo osservare, per esempio, come il conto minimo dei danni negli anni più “favorevoli” sia nettamente aumentato dopo la fine degli anni ’80. Oppure possiamo notare come dei cinque anni più “costosi” negli ultimi 30, tre (2004, 2005, 2008) siano avvenuti nell’ultimo quinquennio.

Naturalmente i dati vanno interpolati con altre mille variabili: per esempio, sicuramente influisce, nell’aumento dei costi, anche la diffusione di una maggiore “cultura dell’assicurazione” dei possibili danni rispetto al passato. Ciò vale soprattutto per i paesi più industrializzati come gli Usa. Inoltre dobbiamo ricordare che non tutti gli eventi meteorologici considerati “estremi” sono in aumento: per esempio, dati provenienti dalla stessa Ncdc-Noaa indicano come alcuni fenomeni (es. i tornado di forte intensità negli Stati uniti) siano in diminuizione dagli anni ’70. Considerando invece il numero totale dei tornado si può osservare un aumento, ma va anche citato il fatto che sono aumentati anche i sistemi di osservazione e rilevamento di questi eventi, fattore che può distorcere l’analisi in questione. Comunque, a gennaio la stessa Noaa aveva avvertito che il 2008 ha visto un numero di 1690 tornado rispetto ad una media annuale di 1270, il secondo valore record dall’inizio delle misurazioni attendibili (1953).

Se invece ci riferiamo a quelli eventi che più causano distruzione e morte (oltre che spese più ingenti), e cioè gli uragani atlantici, sappiamo (sempre da dati Ncdc) che essi hanno avuto un trend di diminuizione dagli anni ’40 all’inizio degli anni ’70, ma poi il trend si è invertito verso un forte rialzo, ben maggiore della precedente tendenza al ribasso. E analoghe considerazioni valgono per gli uragani più forti, cioè quelli superiori al valore 3 della scala Saffir-Simpson: diminuiti dagli anni ’40 ai primi anni ’70, poi fortemente risaliti in numero, soprattutto dal 1995 in poi. Infine, occorre citare le analisi annuali effettuate dal Nhc (National Hurricane center), il centro di studio sugli uragani interno alla stessa Noaa, che ha definito il 2008 come la «decima stagione in cui si è prodotta un’attività superiore alla media negli ultimi 14 anni», la quarta stagione dal 1944 in termini di numero di uragani, e «la prima in cui eventi superiori alla categoria 3 (scala Saffir-Simpson) si sono verificati in cinque mesi consecutivi».

E poi ci sarebbero da osservare i dati relativi alle siccità, alle alluvioni, alle nevicate di forte intensità, eccetera, ma lo studio di questo tipo di eventi estremi costituisce una delle branche più giovani della climatologia, e ancora non sono disponibili serie storiche sufficienti per individuare trend riconoscibili. Inoltre, ancora non sussiste tra i climatologi una sufficiente unanimità riguardo a quali eventi vadano considerati “fuori norma” e quali invece siano riferibili ad una normale variabilità climatica.

Ecco che riferirsi ai dati economici riveste quindi una duplice utilità: da una parte ammonisce con evidenza sulla necessità di agire preventivamente per contrastare le emissioni (dirette e indirette) di gas climalteranti, cioè per mitigare quella componente antropica del Gw il cui ruolo va ancora chiarito fino in fondo, ma la cui significatività riceve ogni giorno nuove conferme. Dall’altra, indicizzando i valori al presente si osserva un aumento dei costi per danni che non può certo essere attribuito solo ad una maggiore tendenza all’assicurazione preventiva (o alla denuncia dei danni successiva all’evento estremo).

Questo anche perchè – al di là della volontà di fornire informazioni precise e non tendenziose su una materia così delicata e complessa – dobbiamo comunque ricordare come il legame tra surriscaldamento globale e aumento degli eventi estremi (in intensità sicuramente, in frequenza con maggiori dubbi) sia appurato per un semplicissimo e basilare assunto della termodinamica: l’aumento del calore in un sistema chiuso porta necessariamente all’aumento dell’energia interna di esso, e poichè ogni evento meteorico costituisce un fattore di redistribuzione dell’energia, ecco che con l’indubitabile aumento della temperatura media terrestre si ha una conseguente maggiore forza dei meccanismi di ridistribuzione energetica.

Quanto esposto vale anche, ad esempio, per l’espansione delle aree di alta pressione subtropicale in direzione delle zone temperate, fenomeno che in Italia sta causando una tendenza alla diminuizione delle piogge fin dal 1800 (al di là del dato confortante degli ultimi mesi), e che al netto di altri fenomeni meteorologici ha sicuramente influito anche sulle ripetute ondate di calore che hanno colpito l’Australia, non solo in questi giorni ma anche negli anni passati.

In ogni caso, ritornando a quanto dicevamo in apertura, dal bilancio economico degli Usa mancano quei 700 miliardi di dollari che sono stati spesi in 29 anni per danni da eventi estremi di origine meteorologica. Eventi che da sempre avvengono e che sempre avverranno, ma su cui il surriscaldamento - e il ruolo antropico in esso – hanno comunque una indubitabile influenza, come abbiamo spiegato.

E dobbiamo anche ricordare, in chiusura, come secondo lo studio Sigma 2008 (il rapporto annuale redatto dalla compagnia assicurativa elvetica Swiss Re, di cui greenreport aveva parlato il 23 dicembre scorso), le catastrofi avvenute complessivamente nel 2008 in tutto il mondo abbiano comportato danni stimati in 225 miliardi di dollari. Di questi, circa 50 sono stati rifusi dalle società assicurative: 7 miliardi per danni di diretta origine antropica (es. attentati), e 43 per danni da “catastrofi naturali”, categoria che comprende sia eventi indipendenti dal cambio climatico come tsunami e terremoti, ma che annovera anche uragani, tempeste violente, siccità e alluvioni, che peraltro sono tra gli eventi più costosi in termini economici. Questi 50 miliardi di dollari rappresentano, su scala globale, il secondo valore record (indicizzato) in termini di danni rifusi dal 1970 in poi, secondo solo al 2005.

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