[02/02/2009] Comunicati

La crisi delle ´coppie´ del ´900... confonde la bussola del progresso

LIVORNO. La crisi dai tre corni (ecologica, economica e sociale) che sta caratterizzando il primo decennio del secolo in corso, ha portato tra le tante conseguenze anche un definitivo crollo degli schemi che hanno avuto nel dibattito del secolo da poco passato una tribuna d’onore. Le coppie economiche che hanno semplificato la definizione tra destra e sinistra nel novecento, ovvero liberismo contro protezionismo, mercato contro Stato, privato verso pubblico hanno perso infatti la loro primitiva appartenenza e si ritrovano- mescolate - nelle risposte che vengono proposte da governi di destra come di sinistra per affrontare il momento assai difficile.

Rotti anche gli schemi della solidarietà di classe, anche se nel mondo globalizzato è ormai più consono parlare di corporazioni che non di classi sociali, ogni mutamento nella vita quotidiana che alluda alla possibile minaccia dell’erosione di pur piccoli e magri privilegi, determina reazioni anche vistose e sempre improntate alla difesa.

“British jobs for british workers”, ovvero lavoro inglese per i lavoratori inglesi, è lo slogan che sta caratterizzando in questi giorni la protesta degli operai del settore petrolifero d’oltre manica che non vogliono vedersi portare via quel poco lavoro ancora disponibile da parte degli italiani. Italiana è infatti l’azienda che ha vinto l’appalto per la costruzione di una raffineria (la Irem) e la scelta è stata quella di portarsi appresso oltre alla tecnologia anche 300 tra tecnici e operai per realizzare il lavoro. Una scelta che sta causando proteste e scioperi a catena che dall’Inghilterra si stanno mano a mano snocciolando alla Scozia, il Galles, l’Irlanda del nord e che dal settore petrolifero sta contaminando il resto del comparto energetico: una situazione che rimanda agli scioperi dell’era Tatcheriana, quando in nome del liberismo iniziò lo smantellamento del sistema industriale e sociale britannico.

Con la differenza che allora si invocavano i diritti dei lavoratori tutti e adesso la solidarietà è tra fratelli della stessa lingua contro l’intruso straniero reo di portare via il lavoro rimasto. Protezionismo verso liberalizzazione quindi. Una situazione scomoda per il premier Gordon Brown (autore, anni fa, della frase che compare oggi come slogan della protesta) che impegnato a Davos a difendere posizioni liberali per sconfiggere la crisi globale, cerca di risolvere la patata bollente che si ritrova a casa annunciando l’apertura di una inchiesta per verificare se la gara si è svolta nella maniera corretta.

«Quello che sta accadendo (in Inghilterra ndr) non è tanto diverso da quello che dice una certa destra italiana» ha commentato Walter Veltroni (non senza aver inneggiato negli scorsi anni al "dinamismo autonomo dell´economia"). In effetti – per non aprire la vergognosa parentesi di quanto sta succedendo sul problema immigrazione nel nostro paese - proprio il ministro dell’Economia Giulio Temonti, sta dicendo (e lo ha anche scritto) che la risposta ai problemi connessi alla globalizzazione sta proprio nel protezionismo e nel mettere i cancelli per definire meglio quali sono i confini con l’esterno. E del resto pare che anche Obama, così innovativo nel suo dettare la ricetta per uscire dalla crisi che ha avviluppato gli stati Uniti, non abbia esitato a mettere tra gli ingredienti anche la clausola “buy America” che ha un forte sapore protezionistico.

La crisi ha reso evidente anche ai più coriacei cultori della modernità intesa come necessaria affermazione del dinamismo autonomo dell´economia ( quando non della finanza, vedi Fassino e i "furbetti del quartierino") che sono saltati in pieno gli schemi destra-liberista, sinistra-statalista e protezionista, e mentre la liberalizzazione dei mercati viene riconfermata a gran voce da tutti come il faro (come è avvenuto anche nei giorni scorsi al vertice di Davos) a casa propria sia i governi conservatori che quelli progressisti fanno ricorso al protezionismo e al soccorso dello stato sul mercato per evitare i tracolli finanziari.

Di più, un giornale come Il Manifesto, dopo aver detto peste e corna della direttiva Bolkestein, inneggia, ora, alla libera circolazione dei lavoratori e del lavoro. I manicheismi novecenteschi non solo non funzionano più: confondono la bussola del progresso!
Forse è arrivato il momento di riordinare le categorie e di superare schemi che appaiono ormai fuori tempo e fuori scala in un mondo che è- a tutti gli effetti- globalizzato, tanto che la crisi morde al sud come a nord e ad est come ad ovest, e avviare il dibattito verso un´altra direzione. Un mondo che, come ha detto il cancelliere tedesco Angela Merkel - dimostrando ancora una volta un grande pragmatismo e capacità di guardare in avanti- per uscire dalla crisi «ha bisogno di una carta per lo sviluppo sostenibile globale» e della nascita «di un Consiglio economico mondiale dell’Onu».

Senza la tentazione di piegarsi al protezionismo nazionalistico rinunciando al libero mercato, la leva che indica “la donna dell’est divenuta premier della Germania unificata” - come lei stessa si è definita all’inizio dell’intervento a Davos - è quindi quella della liberalizzazione dei mercati fortemente orientati però da un governo globale dell’economia che abbia il perno sulla sostenibilità sociale come ambientale.

Non il G8 né il G20, non il Wto o l’Fmi, non il ruolo egemone dell’Europa o degli Stati Uniti, ma una vera governance globale che riscriva le regole per un diverso modello di sviluppo equo, sostenibile e che sappia traghettarci fuori dal guado verso il futuro.

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