[27/01/2009] Aria

Gw, nuovi studi su piogge e oceani: verso cambiamenti irreversibili?

FIRENZE. «Alcuni immaginavano che, se avessimo arrestato le emissioni di CO2, il clima sarebbe ritornato alla normalità in 100-200 anni: è falso». E’ questa dichiarazione, rilasciata all’agenzia Associated press da Susan Solomon della Noaa, che riassume l’importanza dei nuovi studi presentati ieri, e che ipotizzano l’irreversibilità di vari effetti del cambio climatico, o comunque una persistenza di essi molto maggiore rispetto a quanto ritenuto attualmente dalla comunità climatologica accreditata.

Ma andiamo con ordine: è risaputo che il tempo di permanenza in atmosfera (e soprattutto negli oceani) di una parte della CO2 che emettiamo raggiunge i migliaia di anni. E’ inoltre risaputo che, secondo i calcoli più accreditati, un (puramente ipotetico) arresto immediato di tutte le emissioni su scala globale non fermerebbe l’aumento di temperatura, a causa dell’anidride già presente nell’aria e nell’acqua: nel quarto rapporto Ipcc, ad esempio, è riportato che comunque la temperatura media superficiale crescerebbe (probabilmente) di 0,3°-0,9° C entro il 2100 rispetto ai livelli attuali.

Il nuovo studio, realizzato da un team internazionale comprendente ricercatori dell’istituto svizzero per la tecnologia (Eth), dell’istituto Pierre Simon Laplace (Francia) e coordinato appunto da Susan Solomon dell’Earth system research laboratory della Noaa, è stato presentato dalla rivista scientifica «Proceedings of the National academy of sciences”.

La metodologia adottata ha inteso ipotizzare che cosa avverrebbe nel caso di un futuro arresto immediato delle emissioni su scala globale, a diversi livelli-picco di CO2 in atmosfera superiori ai circa 385 ppm attuali. Secondo quanto riportato dalla Noaa, è stato calcolato che «se permettiamo alla CO2 di raggiungere i 450-600 ppm, le conseguenze includeranno persistenti diminuizioni delle piogge nella stagione secca» in varie regioni, che saranno comparabili con le siccità che colpirono la parte meridionale del Nordamerica negli anni ’30 del secolo scorso. Le zone maggiormente a rischio sono «il sud Europa, l’Africa settentrionale, la parte sud-occidentale del Nordamerica, l’Africa del sud e l’Australia occidentale».

Queste regioni sono maggiormente in pericolo perchè adiacenti alle zone di persistenza delle alte pressioni sub-tropicali: uno degli effetti più studiati ed evidenti del surriscaldamento globale è, infatti, proprio l’aumento dell’estensione di questo tipo di zone di alta pressione, a causa dell’incrementata potenza dei meccanismi di trasporto di calore dai tropici verso le zone temperate, come la cella di Hadley. Per riferirci al caso dell’Europa meridionale e del Nordafrica, è appurato un lieve ma costante trend di diminuizione delle precipitazioni, che nel caso dell’Italia è quantificabile (dati Isac-Cnr) in una riduzione del 5% dal 1800.

Il rischio prospettato dal nuovo studio è appunto una intensificazione di questo trend negativo delle precipitazioni, che se ampliato e prolungato nel tempo potrebbe indurre conseguenze ancora più drammatiche di quelle attualmente previste riguardo alla disponibilità idrica in queste regioni, ma anche un aumento degli incendi, cambiamenti negli ecosistemi, espansione delle aree desertiche. Conseguenze che in certi casi avrebbero un carattere di irreversibilità.

Altro ambito di analisi riguarda la crescita del livello dei mari: considerando solo l’espansione termica delle acque i ricercatori hanno calcolato che, con un livello di CO2 atmosferica pari a 600 ppm, gli oceani crescerebbero «irreversibilmente» di 0,4 – 1 metro entro l’anno 3000, e il doppio in caso di emissioni fino a 1000 ppm. Questi valori costituirebbero una invariante, cioè questa crescita di livello si sommerebbe a quella causata dallo scioglimento delle calotte e dei ghiacciai. Il problema è che, mentre lo scioglimento dei ghiacci sarebbe tipicamente (in caso di un abbassamento della temperatura) un fenomeno reversibile in tempi accettabili, il tempo di reazione del fenomeno dell’espansione termica è molto più lungo: l’oceano, infatti, è responsabile di una significativa mitigazione del surriscaldamento (poichè l’acqua ha un alto calore specifico, cioè si riscalda/raffredda molto più lentamente dell’aria comportandosi come un vero e proprio “deposito” di calore), ma una volta che il calore è “stoccato” al suo interno, vi resta per tempi molto lunghi. Secondo la Noaa, infatti, «la crescita della CO2 che si avrà in questo secolo “imprigionerà” la crescita del livello marino che seguirà lentamente nei prossimi 1000 anni».

Non sono stati invece approfonditi, nello studio, gli effetti che saranno causati dal solo scioglimento dei ghiacciai e delle calotte. Questo perchè, secondo Solomon, «i contributi addizionali alla crescita del livello marino dati dallo scioglimento dei ghiacciai e delle calotte sono troppo incerti per poter essere quantificati: potrebbero anche essere maggiori, ma non abbiamo lo stesso livello di conoscenza a riguardo. Abbiamo presentato la crescita di livello che ci possiamo attendere da quei fenomeni fisici che ben conosciamo, e siamo rimasti sorpresi che fosse così intensa».

Quindi, in conclusione: secondo il quarto rapporto Ipcc, la crescita media dei mari che si potrebbe avere al 2099 (rispetto alla media 1980-1999) varia tra i 18 e i 59 cm a seconda degli scenari. Ma è noto che il calcolo relativo alla crescita dei mari è tra i più ardui a causa delle molteplici variabili in gioco: recenti studi suggeriscono una crescita ben maggiore, fino ad oltre un metro entro un secolo. E ora si aggiunge questa ricerca, che oltre a pubblicare nuove proiezioni chiarisce quale sia uno degli aspetti più inquietanti del cambio climatico: il fatto che molte delle sue conseguenze avrebbero un carattere di sostanziale irreversibilità.

Questo “carattere di irreversibilità” va naturalmente inteso in due sensi: da una parte, alcune delle reazioni feed-back che il sistema climatico oppone al surriscaldamento avverrebbero in tempi troppo lunghi per rendere significativa ogni politica di riduzione delle emissioni. Si tratterebbe quindi, come nel caso dell’espansione termica degli oceani o delle alte pressioni sub-tropicali, di fenomeni teoricamente reversibili, ma in tempi talmente lunghi da rendere questa reversibilità puramente illusoria. Dall’altra parte, però, alcuni fenomeni sono irreversibili sia teoricamente sia all’atto pratico: basta pensare alla desertificazione o all’aumento degli incendi, entrambi fenomeni che, una volta innestati da un cambiamento climatico in direzione del caldo, non si arresterebbero di fronte ad un eventuale raffreddamento, ma in un certo senso godrebbero di vita propria influendo essi stessi in direzione di un ulteriore recrudescenza degli effetti del surriscaldamento.

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