[26/01/2009] Recensioni

La Recensione. Atlante dell´acqua di Robin Clarke e Jannet King

Introduciamo questa recensione mettendo subito in evidenza il principale pregio, che contemporaneamente è anche il potenziale limite di questo volume: fornisce una quantità enorme di dati. Del resto il testo risponde alla richiesta più frequente (“dateci un numero”), che viene posta al mondo scientifico e che i media talvolta traducono approssimativamente.

Viviamo in un mondo ossessionato dai numeri e quindi frequentemente «temi difficili da quantificare non ricevono l’attenzione che spetta loro». Per stessa ammissione degli autori elaborare un testo di numeri sull’acqua con dati provenienti da tutto il mondo non è operazione semplice: «abbiamo più volte considerato le sorprendenti differenze nei dati relativi a luoghi confinanti».
E subito al lettore viene spontanea la domanda: quanto sono affidabili questi dati? La risposta è difficile, se non impossibile.

Il dato di partenza fornito dall’impiegato di un ente qualsiasi di un paese qualsiasi può non essere veritiero. Certo, poi è analizzato, validato, mandato al Ministero e successivamente finisce negli archivi delle Nazioni Unite. E a questo punto «deve per forza essere vero» ci dicono gli autori. D’altronde se i dati sono pubblicati e sono disponibili possono essere utilizzati, basta farlo con raziocinio. Fatta questa dovuta premessa, diffidando gli allergici alle statistiche, previsioni, percentuali, all’intraprendere questa lettura, a noi invece il volume è sembrato estremamente interessante. In particolare per chi si occupa di acqua questa pubblicazione fornisce spunti analitici in mille direzioni.

Sottolineiamo che alcuni numeri sono poco confutabili: ormai sono trend di lungo periodo e dati di fatto dimostrabili. L’acqua è una risorsa rinnovabile ma non infinita e la disponibilità anche per le generazioni future è legata agli usi che ne facciamo oggi. Nel 2000, quando la Terra era popolata da 6 miliardi di persone, 500 milioni (8,3%) vivevano in Paesi con una scarsità cronica d’acqua. Al 2050, quando sulla Terra ci saranno quasi 9 miliardi di persone, la previsione indica che 4 miliardi (oltre il 44%) potrebbero vivere in Paesi con scarsità cronica d’acqua.

E’ una previsione, ma con gli utilizzi (o meglio con gli abusi) attuali, riteniamo che possa non discostarsi molto dalla realtà. Del resto il prelievo di risorsa idrica è in continua crescita: senza citare dati di previsione, ma guardandosi alle spalle, vediamo che mediamente nel mondo si è passati da un prelievo annuale totale di 579 Km3 nel 1900 ad uno di 3973 nel 2000. E le falde sono ipersfruttate con riserve consumate più in fretta di quanto vengano sostituite.

Sempre al 2000, con dati in percentuale rispetto alle disponibilità, l’Europa risulta essere il continente dove si preleva di più dal sottosuolo per la produzione di acqua potabile, mentre il Bangladesh è il Paese che utilizza più acque freatiche per l’irrigazione (69%). L’acqua è indispensabile, non c’è dubbio. Tra le mura domestiche, per produrre cibo, nell’industria, per irrigare i campi. Ma da un normale uso, negli ultimi 50 anni, siamo passati ad un vero e proprio abuso. Leggendo alcuni dati (sempre senza citare previsioni) non rimangono perplessità: il prelievo su scala mondiale per utilizzo domestico, è passato da 87 km3 nel 1950, a 384 nel 2000.

Tra il 1961 e il 1999 in Asia occidentale è stato registrato un aumento percentuale di terreni irrigati del 256%; in America latina del 188%; in Europa del 178%; in Africa del 151%; in America del nord del 142%. L’industria nel 1950 prelevava 204 Km3 di acqua all’anno, nel 2000 siamo saliti a 776. L’agricoltura e l’industria nei loro processi del resto contribuiscono anche ad inquinare la risorsa idrica e quindi a renderne utilizzabile una quota minore. Per quanto attiene l’inquinamento agricolo è però necessaria una distinzione tra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo.

Nei primi, se analizziamo i dati di utilizzo dei fertilizzanti (azoto, fosforo e potassio), dal 1981 è stato registrato un forte e continuo decremento: da 78 milioni di tonnellate si è passati a 50 nel 2001. Mentre nei Paesi in via di sviluppo nella stessa finestra temporale si è avuto un aumento da 39 milioni di tonnellate nel 1981 fino alle 86 del 2001. Nei primi anni Novanta i Paesi in via di sviluppo hanno superato i Paesi industrializzati per quantità assoluta di fertilizzanti impiegati. Il dato per quanto riguarda gli inquinanti organici riversati nell’acqua dall’industria è riferito al 1998 e vede la Cina in testa ai Paesi inquinatori con 7 milioni di chilogrammi al giorno contro i 2,5 degli Stati Uniti e 1,7 dell’India. In questi ultimi 10 anni probabilmente questi dati sono variati vista la crescita economico-produttiva di Cindia (per citare il titolo di un libro di Federico Rampini).

Gli autori, Robin Clarke (è il curatore di “World Climate News” dell’organizzazione metereologica mondiale, collaboratore dell’Unep e autore di molte pubblicazioni sull’ambiente), e Jannet King (ricercatrice e curatrice di atlanti ambientali, politici, e storici), non si limitano a fornire dati e commentarne i trend, ma analizzano dal punto di vista politico e tecnico le evidenze dei numeri e non vengono tralasciati i molti aspetti che riguardano la risorsa idrica: ad esempio l’acqua come fonte di energia rinnovabile con le criticità connesse rappresentate dalle grandi dighe (al 2003 quasi il 50% delle dighe presenti nel mondo erano state costruite in Cina) e dalle deviazioni dei fiumi. Particolare approfondimento è dedicato poi alla salute dell’acqua, alla sua igiene, alle contaminazioni di tipo chimico e al suo rapporto con la salute delle persone, essendo l’acqua anche veicolo di molte malattie di cui alcune letali. E la crescita di persone affette da malattie che hanno come causa scatenante l’acqua avviene nelle aree dove maggiormente si concentra l’aggregazione umana: nelle grandi aree urbane. A città del Messico dove nel 2000 la popolazione ammontava a 18 milioni di abitanti, solo il 25% delle acque reflue veniva trattato.

Clarke e King non tralasciano il grande tema che riguarda anche la risorsa idrica e che ha risvolti a carattere ambientale, sociale ed economico e di cui si è parlato molto anche sui media negli ultimi anni: quello dei cambiamenti climatici, che causano siccità e desertificazione da un lato e inondazioni dall’altro. Quest’ultime sono in costante crescita, con vittime ed elevati costi economici: solo in Europa tra il 1992 e il 2001 si sono avuti 1362 morti e 32 miliardi di dollari di spese per riparare ai danni post evento. Gestioni inefficienti, accessi negati, distribuzioni ineguali sono causa di attriti e vere e proprie guerre, dove appunto l’acqua è la causa scatenante (o almeno la concausa): il volume ne riporta un ampio dettaglio.

In questo quadro di criticità gli affaristi dell’acqua (spesso grandi multinazionali) fanno i loro guadagni, in assenza di controlli adeguati, a scapito della popolazione «le persone nei Paesi in via di sviluppo devono spendere una percentuale più elevata del loro stipendio per assicurarsi la fornitura dell’acqua rispetto a coloro che vivono nei Paesi più ricchi». L’imperativo per i prossimi 15 anni deve essere la messa in atto di un piano strategico generale di conservazione delle risorse, che preveda piccole e grandi azioni locali diffuse sui territori, di riduzione dei consumi nei settori industriale, domestico e irriguo, adottando sia tecniche tradizionali che innovative e sperimentando percorsi nuovi di coinvolgimento delle persone, che possono portare a centrare grandi obiettivi. Gli autori a chiusura del volume, acclarato che le risorse idriche mondiali sono in bilico, parlano di scenari possibili valutando un trend dal 1950 fino al 2025, il cui evolversi dipende dalle politiche ai vari livelli (locale, nazionale e internazionale) che verranno mese in atto.

Nel primo scenario l’utilizzo e la gestione delle risorse idriche non cambia: tutti i prelievi idrici saranno in aumento, dall’agricoltura, all’industria al settore domestico con un incremento complessivo del 39% dei prelievi tra il 1995 e il 2025. Il secondo scenario è intermedio, dove si ha una leggera diminuzione del prelievo per l’agricoltura tra il 1995 e il 2025 e un aumento più contenuto per gli altri settori. Ovviamente il prelievo totale aumenta ma in maniera meno accentuata. Anche nel terzo scenario, quello che implica il vero cambiamento, il prelievo totale aumenta leggermente nel periodo valutato, ma l’acqua verrà utilizzata in modo più efficiente grazie a cambiamenti radicali nella gestione idrica che coinvolgeranno dal basso i cittadini. Tutto il sistema integrato di gestione della risorsa idrica migliorerà ma i costi saranno abbastanza alti. Se l’unica strada percorribile appare quella del terzo scenario, è necessario pensare di investire risorse economiche, in modo che il settore possa servire da volano anche per un rilancio dell’economia che sia duraturo e sostenibile.

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