[10/05/2006] Rifiuti

«Ecco perché gli inceneritori non sono la soluzione al problema dei rifiuti»

FIRENZE. «Sono inorganiche, non biodegradabili, non biocompatibili. Quindi generano patologie». Stefano Montanari, direttore Scientifico del laboratorio «Nanodiagnostics» di Modena, divenuto ormai celebre per aver partecipato all’altrettanto famosa conferenza stampa anti-inceneritori di Beppe Grillo, spiega con dovizia di particolari il rapporto fra termovalorizzatori di rifiuti e nanopatologie, in un lungo intervento pubblicato da «Arpatnews», il foglio d’informazione dell’Agenzia toscana per la protezione dell’ambiente.

Montanari (nella foto) parte dal considerare che «è l’uomo il grande produttore di particolato, soprattutto quello più fine». «Questo perché la tecnologia moderna – prosegue – è riuscita ad ottenere a buon mercato temperature molto elevate a cui eseguire le più svariate operazioni, e, in linea generale e a parità di materiale bruciato, più elevata è la temperatura alla quale un processo di combustione avviene, minore è la dimensione delle particelle che ne derivano». Le polveri «realmente patogene» secondo Montanari sono le pm2,5 (cioè particelle con un diametro aerodinamico medio di 2,5 micron), le pm1 (diametro da 1 micron) e le pm0,1 (diametro da 0,1 micron).

«Venendo al problema dell’inquinamento da rifiuti – considera Montanari – è ovvio che questi debbano, in qualche modo, essere smaltiti. A questo punto, è necessario ricordare la cosiddetta legge di Lavoisier o della conservazione della massa. Questa recita che in una reazione chimica la massa delle sostanze reagenti è uguale alla massa dei prodotti di reazione. Il che significa che, secondo le leggi che regolano l’universo, noi riusciamo solo a trasformare le sostanze, ma non ad annullarne la massa. Ciò che avviene quando s’inceneriscono i rifiuti, dunque, altro non è se non la loro trasformazione in qualcosa d’altro, e questa trasformazione è ottenuta tramite l’applicazione di energia sotto forma di calore. Stante tutto ciò, se noi bruciamo l’immondizia, altro non facciamo se non trasformarla in particelle tanto piccole da farle scomparire alla vista e, con i cosiddetti “termovalorizzatori” – una parola che esiste solo in italiano e che evoca l’idea ingenuamente falsa che si ricavi valore economico dall’operazione – la trasformazione produce particelle ancora più minute e, dunque, più tossiche».

«Non esiste alcun tipo di filtro industriale capace di bloccare il particolato da 2,5 micron o inferiore a questo – sostiene Montanari – ma dal punto di vista dei calcoli che si fanno in base alle leggi vigenti, questo ha ben poca importanza: il “termovalorizzatore” produce pochissimo pm10 e la quantità enorme di altro particolato non rientra nelle valutazioni. Ragion per cui, a norma di legge l’aria è pulita. Tuttavia, l’organismo non si cura delle leggi e le patologie da polveri sottili (le pm10 sono tecnicamente polveri grossolane), un tempo ignorate ma ora sempre più conosciute, sono in costante aumento». Vengono citate, fra queste, le malformazioni fetali e i tumori infantili.

«Affermare, poi, che incenerire i rifiuti significa non ricorrere più alle discariche – continua Montanari – è un ulteriore falso, dato che le ceneri vanno “smaltite” per legge (decreto Ronchi) in discariche per rifiuti tossici speciali di tipo B1. Si mediti, poi, anche sul fatto che l’incenerimento comporta il mancato riciclaggio di materiali come plastiche, carta e legno. I “termovalorizzatori” devono funzionare ad alta temperatura e, per questo, hanno bisogno di quei materiali che possiedono un’alta capacità calorifica, vale a dire proprio le plastiche, la carta e il legno che potrebbero e dovrebbero essere oggetto di tutt’altro che difficile riciclaggio. Tralascio qui del tutto il problema economico perché non rientra nell’argomento specifico, ma il bilancio energetico è fallimentare e, se non ci fossero le tasse dei cittadini a sostenere questa forma di trattamento dei rifiuti, a nessuno verrebbe mai l’idea di costruire impianti così irrazionali». Da qui, la convinzione che «una pratica simile non può essere in alcun modo presa in considerazione come alternativa per la soluzione del problema legato allo smaltimento dei rifiuti, se non altro perché i rifiuti non vengono affatto smaltiti ma raddoppiati come massa e resi incomparabilmente più nocivi».

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