[19/01/2009] Consumo

Crisi, l´adattamento dei mercati e quello (molto più lento) delle persone

FIRENZE. Non passa giorno che i segnali di crisi si affastellino: crollano i consumi negli Usa, Borse a picco, allarme banche, lo Stato entra in Deutsche Bank, la Bce taglia i tassi, ecc. e in Italia crolla la produzione industriale. Ma l’Irpet ci dice, in sintesi, che in Toscana il Pil sarà in calo dell´1% nel 2009, ripresa possibile dal 2010, “momento di sofferenza” (sic!) dell´economia dopo il breve ciclo espansivo del 2005.
Molti pensano che la ripresa comincerà alla fine del 2009 o all’inizio del 2010. C’è da augurarselo, ovviamente, ma gli auguri come gli scongiuri valgono poco.

Le ragioni di tale ottimismo non sono chiare: si basano forse sulla speranza di rapida ripresa della produzione Usa, ma non tengono conto, per esempio, degli effetti ritardati della crisi sui sistemi produttivi ed economici dei paesi asiatici (Cindia in primis), che incideranno negativamente sui conti di quei paesi come sulle borse e sul sistema finanziario occidentale. Un effetto domino non è da escludere, le condizioni ci sono tutte e le contromisure non vengono prese. Tutti poi, sperano in Obama, mentre ballano sull’orlo del precipizio senza far niente o quasi.

La crisi in corso non è solo finanziaria, del credito o recessiva, ma anche del sistema di potere che ha distrutto le regole del sistema bancario del dopo crisi 1929-1933, quelle delle monete e dei cambi stabilito a Bretton Woods nel secondo dopoguerra.

E’ crisi dell’ideologia del liberismo forzato mentre i mercati sono come impazziti: lo si vede nell’andamento della domanda e dei prezzi dell’energia fossile come nei prezzi dei cereali – dall’impennata al crollo - nella domanda di dollari (in diminuzione verso l’euro, poi chissà), qualunque siano le ragioni di questi andamenti e del possibile rapido invertirsi nel loro contrario.

La domanda e l’offerta di qualunque merce si stia parlando tenderanno a riequilibrarsi in qualche modo (distruggendo risorse e capacità produttiva, nel frattempo) e i prezzi si adegueranno. Ma le persone fisiche sono molto meno capaci di adattarsi, ci vuole più tempo. Esse perciò tenderanno a perpetuare la crisi in termini di domanda, ma soprattutto perdendo posizioni reali della loro condizione finiranno col pagare un costo sociale della crisi altissimo. Con questo si distruggeranno capacità di reazione e questo oltre che prolungare la crisi stessa ne condizionerà, in negativo, gli esiti finali, la stessa ripresa.

Se i mercati si adatteranno, gli attori sociali molto meno: è questo che dovrebbe spingere i governi (in forma associata e cooperativa) ad agire presto, prima che sia troppo tardi.
Ci volle più di un decennio e la seconda guerra mondiale per rimediare alla Grande depressione, bisogna agire con urgenza perché non abbiamo tutto quel tempo dato che in un mondo totalmente e globalmente interdipendente, fin sotto l’uscio di casa, i costi dell’inazione sarebbero spaventosi e insostenibili: soprattutto se di fronte alla più grave crisi economica (e che resti solo tale) da quasi ottant’anni, le preoccupazioni ecologiche e climatiche andranno a farsi benedire.

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