[16/01/2009] Comunicati

Il quarto rapporto Ipcc, questo sconosciuto (17)

FIRENZE. Dopo aver analizzato le ipotetiche conseguenze che il surriscaldamento potrà avere in Africa, Asia, Sudamerica, Oceania e nelle piccole isole, resta da vedere quale potrà essere - con probabilità alta (80%) o molto alta (90%) - l’impatto in Europa, in Nordamerica e nelle regioni polari, con particolare attenzione all’Artide che secondo il quarto rapporto Ipcc continuerà probabilmente ad essere, tra le due, quella colpita in modo più significativo «a causa dell’impatto dei forti tassi di riscaldamento previsto sui sistemi naturali e sulle comunità umane».

Più in dettaglio, i più probabili effetti che sono prospettati nelle regioni polari comprenderanno «la riduzione in spessore e consistenza dei ghiacciai, delle calotte e della banchisa, e cambiamenti negli ecosistemi naturali con effetti deleteri su molti organismi, inclusi gli uccelli migratori, i mammiferi e i grandi predatori». Gli ecosistemi e gli habitat di entrambi i poli sono infatti considerati sempre più «vulnerabili a causa della maggiore fragilità delle barriere climatiche davanti all’invasione di specie aliene».

E’ notorio, comunque, che la risposta del continente antartico al surriscaldamento del pianeta è finora opposta a quanto avviene in Artide: per citare un dato relativo al ghiaccio marino (fattore poco indicativo in termini di massa glaciale, ma utile per la sua sensibilità alle variazioni di temperatura e rilevabile con una certa agilità) possiamo osservare come al trend spiccatamente negativo che dal 1979 investe la banchisa artica (attualmente, secondo dati dell’Arctic research center dell’università dell’Illinois, in deficit di circa 1 milione di kmq, dopo il picco degli ultimi giorni di dicembre che aveva portato l’anomalia negativa a circa 400.000 kmq) si contrapponga in Antartide un trend lievemente positivo, e un’attuale estensione della banchisa superiore alle medie di circa 300.000 kmq.

Abbiamo già citato le ipotesi che sono state avanzate riguardo alla differente risposta dei due sistemi: la prima è correlata alla natura continentale dell’Antartide, e prevede che i meccanismi di distribuzione del calore su scala globale, che hanno nelle correnti marine i loro principali meccanismi di azione, abbiano un maggiore effetto nelle zone artiche - in prevalenza acquatiche - rispetto a quelle antartiche, appunto continentali. La seconda ipotesi vede un aumento delle temperature in Antartide come fattore perturbante rispetto alla spiccata continentalità del clima locale, con una spinta in direzione di una maggiore oceanicità, cioè verso un aumento della nuvolosità e delle precipitazioni. Effetto presente anche nel (già di per sé più oceanico) clima delle zone artiche, ma che viene sovrastato in termini di bilancio delle masse glaciali dall’impatto dell’aumento delle temperature.

Va anche ricordato che il continente antartico è l’unico che negli ultimi decenni non ha subito (almeno secondo il limitato numero di dati e ricerche disponibili) particolari aumenti di temperatura media superficiale, e che la risposta della banchisa (e della calotta) ad eventuali futuri incrementi termici è prevista comunque essere modesta, e più probabilmente comunque improntata ad una «crescita di massa dovuta ad un aumento delle nevicate».

Per le popolazioni umane che vivono nelle regioni artiche sono previsti comunque «impatti di tipo misto» – cioè alcuni positivi e altri negativi – causati «dal mutare delle condizioni di copertura nevosa e dei ghiacci»: sicuramente colpiti da effetti negativi saranno «le infrastrutture e i sistemi di vita tradizionali» delle comunità indigene.

Riguardo al Nordamerica, è da attendersi una «diminuizione della copertura nevosa» sulle montagne situate nella parte occidentale del continente, associata a «più alluvioni invernali e meno alluvioni estive»: ciò causerà una «esacerbazione della competizione per le risorse idriche». Nei primi anni di questo secolo, comunque, è prospettato che «un moderato cambiamento climatico aumenterà i raccolti dal 5 al 20%, ma con variazioni significative tra le varie regioni» del continente. Naturalmente la sfida più impegnativa, a questo riguardo, investirà quelle coltivazioni «che sono vicine al limite caldo del loro areale di coltivazione», o che dipendono da quelle risorse idriche per cui esiste una forte competizione. E va anche aggiunto che oltre un certo tasso di riscaldamento gli effetti benefici sui raccolti sono comunque destinati a tramutarsi in impatti negativi.

Nelle città americane che sono già comunemente colpite da ondate di calore è atteso «un accresciuto numero e una maggiore intensità e durata delle ondate calde durante il corso del secolo», ipotesi che avrebbe potenzialmente effetti negativi sulle condizioni sanitarie. Anche le comunità umane (e gli habitat naturali) costiere saranno «sempre più danneggiate dall’interazione del cambiamento climatico con lo sviluppo e l’inquinamento».

E chiudiamo con l’Europa, dove «il cambiamento climatico è atteso enfatizzare le differenze regionali nelle risorse naturali» sul continente: gli impatti negativi comprenderanno «l’accresciuto rischio di improvvise alluvioni fluviali, inondazioni marine più frequenti, e una crescita dell’erosione dovuta alla tempestosità delle condizioni meteorologiche e all’incremento del livello marino». Le aree montane vedranno un progressivo «ritiro dei ghiacciai, una riduzione della copertura nevosa e del turismo invernale», e forti perdite di biodiversità che in alcune zone, se si verificassero gli scenari peggiori tra quelli prospettati, potrebbero portare ad una riduzione del 60% del numero di specie presenti.

La parte meridionale del nostro continente, come sappiamo, è (e sarà sempre più al crescere del riscaldamento) particolarmente esposta alla risalita da sud delle aree anti-cicloniche sub-tropicali a causa dell’incrementata forza dei meccanismi del trasporto di calore dai tropici alle zone temperate, come la cella di Hadley. Il cambio climatico è «previsto peggiorare le condizioni (alte temperature, siccità) in una regione particolarmente vulnerabile alla variabilità climatica» e dovrebbe anche causare «una riduzione della disponibilità idrica, del potenziale idroelettrico, del turismo estivo». Inoltre, diversamente da quanto potrebbe avvenire in altre zone del continente (analogamente a quanto prospettato per il Nordamerica), in generale nell’Europa meridionale dovrebbe ridursi anche la produzione agricola. In aumento dovrebbero essere anche «i rischi sanitari da ondate di calore e la frequenza degli incendi».

Per concludere l’analisi del terzo capitolo del quarto rapporto Ipcc vedremo nella prossima parte quali, tra gli impatti prospettati oggi e nelle ultime settimane nelle varie regioni ecologiche e geografiche del globo, avranno carattere di reversibilità, e quali invece sono ipotizzati essere irreversibili. Successivamente ci dedicheremo all’analisi congiunta del quarto, del quinto e del sesto capitolo, cioè i conclusivi, riguardanti le misure di mitigazione del Gw, quelle di adattamento, gli ambiti di maggiore o minore incertezza (key uncertainties) sull’evoluzione climatica futura, e le relazioni con la sostenibilità dello sviluppo.

(17 – continua)

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