[14/01/2009] Comunicati

Mercalli e la negazione perfetta («a perfect denial»)

FIRENZE. «Il fatto che le risposte all´aumento della concentrazione di gas serra siano lente rispetto alla durata della vita umana e si esplicitino in molteplici modalità, ci priva di quella desiderabile verifica causa-effetto che in altri settori della scienza è talora più netta, ma meno diffusa di quanto si immagini»: questa è la parte più significativa dell’articolo di Luca Mercalli nell’edizione di ieri di “Repubblica”.

È significativa perchè è una verità inappuntabile, e perchè probabilmente costituisce una delle principali motivazioni che si nascondono dietro l’astruso dibattito globale sul surriscaldamento del sistema climatico. Se infatti – come avviene per altri campi della scienza – avessimo prove inconfutabili (e comprensibili ai più, non solo agli esperti) riguardo alla questione fondamentale (e cioè la reazione delle temperature alla crescita di CO2, che si riassume nel concetto di «sensibilità climatica»), allora tutte le filosofiche speculazioni che leggiamo riguardo al tema si arresterebbero di colpo.

Il punto è che la significatività del ruolo antropico nel surriscaldamento globale non è supportata da prove inappuntabili, ma solo da una (ormai interminabile) serie di indizi: ad esempio, lo stesso quarto rapporto Ipcc afferma che esiste «una fiducia molto alta» - (a very high confidence, cioè una probabilità superiore al 90% secondo le definizioni adottate) - «che l’effetto medio globale delle attività umane dal 1750 sia stato un riscaldamento, con un forcing radiativo di +1,60 (da 0,60 a 2,40) Watt per metro quadrato». Successivamente è affermato che «la gran parte dei cambiamenti osservati nelle temperature medie dalla metà del ventesimo secolo è molto probabilmente (very likely, espressione che pure indica una probabilità superiore al 90%) dovuta all’incremento osservato delle concentrazioni dei gas serra antropici».

Sono tutte affermazioni la cui fondatezza può essere verificata leggendo la rassegna che stiamo dedicando al quarto rapporto. Affermazioni peraltro molto impegnative dal punto di vista scientifico, e che si basano in buona parte su deduzioni indirette relative alla maggiore affidabilità dimostrata in passato da quei modelli climatici che comprendono il ruolo antropico rispetto a quelli in cui si considerano solo i forcing naturali, come il sole.

Resta il fatto che sono argomentazioni eloquenti (e che forniscono forti elementi di prova della significatività del ruolo antropico), ma accessibili solo ad una ristretta parte di pubblico, e che non hanno la stessa capacità di spiegare le cose rispetto ai grafici che utilizzati solitamente per illustrare l’appurata indubitabilità del surriscaldamento in sé, al di là delle cause che lo stanno provocando.

A riguardo, vogliamo citare una canzone ed il relativo video che ebbero notevole successo lo scorso inverno: la canzone, opera del gruppo rock “30 seconds to Mars”, si chiama «A beautiful lie» (una splendida bugia), e parla di un adolescente che, «per sentirsi differente dagli altri», si converte alla fede negazionista sui temi climatici, proprio grazie al fatto che – in assenza di prove indubitabili – egli ha la strada spianata per poter sostenere che il cambiamento climatico «è tutto un gioco».

Una «splendida bugia in cui credere», una «negazione perfetta» (a perfect denial) che è causata in sintesi da due fattori: la diffusa ignoranza che investe le questioni climatiche (anche a livello di media accreditati, come abbiamo osservato in questi giorni), e il margine di speculazione e polemica che è lasciato dai dubbi che abbiamo sull’effettivo forcing antropico.

Naturalmente tutti questi ambiti di discussione possono valere solo per l’aspetto strettamente scientifico del cambio climatico, non certo per gli aspetti politici: questo per chiarire che, se a livello scientifico è fondamentale la prosecuzione del dibattito verso una migliore quantificazione dell’effettivo ruolo antropico nel riscaldamento, la politica deve invece necessariamente agire secondo il principio di precauzione: come a dire che – ipotizzando la previsione di una piena fluviale in una qualsiasi città, in cui però non sappiamo l’effettivo livello che sarà raggiunto dalle acque tracimate – è lecito aspettarsi che le autorità predispongano argini temporanei la cui altezza superi il livello massimo ipotizzato, e che non si basino certo, nella pianificazione delle misure di protezione, sulle prospettive più favorevoli.

E così deve necessariamente avvenire riguardo al clima: lasciamo agli appassionati e agli scienziati chiarire quale sia l’effettiva sensibilità climatica, ma solo a fini speculativi. A livello politico è invece necessario operare secondo, appunto, un principio di precauzione che ci ponga a riparo dall’eventuale verificarsi, in futuro, degli scenari climatici peggiori tra quelli prospettati: questo perchè, al di là dei sempre più ristretti ambiti di incertezza, come comuni cittadini non possiamo fare altro che studiare quali siano le valutazioni presentate dalla comunità scientifica accreditata. E se invece un giorno i cambiamenti climatici dovessero assumere un ritmo più veloce, tale da rendere possibile anche in tempi “umani” (e anche ai non addetti ai lavori) la percezione di essi e della significatività del forcing antropico, allora sicuramente tutti i dibattiti forsennati e capziosi che possiamo leggere sul web 2.0 (e non solo) finirebbero di colpo. Ma francamente, a quel punto sarebbe troppo tardi per rallegrarsene.
(rm)

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