[14/01/2009] Urbanistica

Direttiva «passaggio a nord-ovest»: l´ultimo colpo di coda di G.W. Bush

FIRENZE. Dieci giorni prima della fine ufficiale del suo mandato, George W. Bush cala l’ultimo colpo di coda su un tema che sicuramente nei prossimi anni diventerà (è proprio il caso di dirlo) sempre più scottante: lo sfruttamento delle risorse dell’artico, e in particolare la querelle inerente alla sovranità sulle acque del passaggio a nord-ovest (tra Canada e Groenlandia), del mare di Beaufort, prospicente la frontiera tra Canada e Alaska, e della cosiddetta «Northern sea route», cioè il passaggio a nord-est che pure permette di navigare dall’Europa al Pacifico senza passare per Suez o Panama, e che in lingua russa è tradotto in Sevmorput («Severnii Morskoi Put», passaggio marino a nord.)

La notizia è stata riportata ieri dal quotidiano canadese Calgary Herald e da Dot Earth, blog di Andrew Revkin del New York Times: il 9 gennaio la Casa Bianca ha emesso la «Direttiva presidenziale sulla sicurezza nazionale» in cui si afferma la necessità di una ridiscussione dell’attuale status politico riguardo all’accesso alle risorse dell’artico (minerali, energia, turismo, pesca) e alla libera navigabilità di quelle rotte che si stanno aprendo a causa del sempre maggiore scioglimento estivo della banchisa (ricordiamo che il minimo del 2008 è stato il secondo più basso dal 1979, dopo il drammatico 2007).

I punti focali sono due: sicurezza nazionale, e sovranità territoriale. Nella direttiva, che ha lo scopo di ridiscutere lo status dell’artico 14 anni dopo l’ultima revisione organica, si legge che «gli Usa hanno profondi e fondamentali interessi di sicurezza nazionale nella regione artica, e sono preparati ad agire sia indipendentemente sia insieme ad altre nazioni per salvaguardare questi interessi». Essi includono «la difesa missilistica e l’allarme preventivo, lo schieramento dei sistemi marini e aerei per il trasporto strategico marino, la deterrenza, la presenza marittima e le operazioni di sicurezza in mare». Infine, questi interessi comprendono anche l’ «assicurare la libertà di navigazione e di sorvolo».

In parole povere e in estrema sintesi il problema è questo: il Canada aveva finora spinto con forza per affermare la propria sovranità su quei ristretti tratti di mare che lo separano dalla Groenlandia, e sul mare di Beaufort più a nord, tratti che negli ultimi anni sono stati sempre più spesso liberi dai ghiacci. Come si può evincere dalla parte sinistra dell’immagine, però, il punto è che l’importanza strategica di quelle regioni geografiche è enorme, come sa chiunque rammenti cosa avveniva già nel XVI secolo, quando le spedizioni di Giovanni (prima) e Sebastiano Caboto (poi) fallirono nel cercare un’apertura tra i ghiacci della banchisa canadese, dando inizio al mito del Passaggio a nord-ovest.

Atteggiamento analogo a quello delle autorità canadesi ha avuto finora la Russia, che come si ricorderà ha inviato al polo (agosto 2007) due sottomarini che avevano la missione di dimostrare l’appartenenza della dorsale Lomonosov alla piattaforma continentale, e permettere così a Mosca di rivendicare la sovranità su 460.000 miglia quadrate di fondale artico, e su risorse fossili stimate in oltre 10 miliardi di tonnellate tra petrolio e gas. Ma altra missione dei sottomarini era quella di piantare una bandiera russa sotto il polo, a 4 km di profondità, con un azione di enorme valore, non solo simbolico. Nella parte destra dell’immagine si può osservare come il passaggio a nord-est sia totalmente prospicente alle coste della Siberia.

E ora, la direttiva della Casa Bianca, che da parte statunitense è vista come una legittima messa in chiaro della propria posizione a 14 anni dall’ultimo accordo in materia, ma che in Canada è stata accolta come uno schiaffo alle (pure considerate da molti legittime) rivendicazioni territoriali che erano state avanzate dal primo ministro Harper: secondo Rob Huepert dell’università di Calgary «il Canada ha ricevuto una vera doccia fredda», e gli Usa non avevano mai affrontato analoghe diatribe col Canada «in questi termini di bianco o nero: non c’è stato nessuno sforzo di indorare la pillola».

Riguardo al passaggio a nord-est, in attesa delle reazioni degli eredi della potenza sovietica, la direttiva spinge per la ratifica da parte del parlamento russo dell’accordo bilaterale sulle frontiere, risalente al 1990.

E quest’ultima parte è quella che getta luce su come sia probabilmente da intendere la complicata questione: lo status dell’Artide è stato finora analogo a quello antartico. Fino a pochi anni fa erano cioè entrambe considerate zone a sovranità praticamente condivisa tra le varie nazioni. Naturalmente ciò non aveva impedito una leadership di fatto sulla regione artica da parte degli Stati Uniti, in particolare ovviamente dopo la fine dell’Unione sovietica a inizio anni 90. Ma dal punto di vista formale (e quindi dal punto di vista dell’effettiva possibilità di accesso alle incalcolabili risorse artiche) nessun paese aveva diritti di precedenza sugli altri. Questo perchè, così appunto come l’Antartide, il polo nord era considerata una zona inaccessibile per progetti di sfruttamento, a causa dell’anti-economicità delle possibili attività. E questione analoga valeva per la libera navigazione nel North west passage e sulla Northern route.

Ma poi le cose sono cambiate, a causa del forte ritmo di scioglimento dei ghiacci estivi e quindi dell’apertura in estate delle due vie marittime, non più occasionale come prima ma ormai pressoché sistematica. E naturalmente il venire meno della super-potenza sovietica ha lasciato campo libero agli Stati Uniti.

La direttiva che George Bush ha voluto lasciare in eredità a Obama prevede teoricamente, nelle altre parti non citate, ampia e pacifica collaborazione con le altre nazioni artiche in direzione di uno sviluppo dello sfruttamento delle risorse locali che sia però sostenibile sia dal punto di vista ambientale, sia da quello sociale. Ma questa è blanda teoria, poichè all’atto pratico (e osservando anche il modo in cui vengono poste le priorità nel documento) è da attendersi che la sicurezza nazionale degli Stati Uniti sarà considerata prevalente su tutte le altre questioni, a cominciare dal diritto internazionale e, quindi, da un approccio concertato e non unilaterale sulla querelle dell’artico. E’ già successo per mille questioni analoghe, e quindi è da attendersi che succeda ancora. Vedremo se e come il nuovo presidente Obama affronterà questo ennesimo fronte politico internazionale, che come già detto sta trasformandosi sempre più da questione marginale a punto focale della politica energetica e dei trasporti.

Chiudiamo riportando una considerazione che Revkin affida alle pagine del suo blog: «sostanzialmente, la combinazione di un clima in fase di surriscaldamento e di una sete crescente di petrolio, gas e rotte navigabili, garantisce che l’oceano artico della nostra storia e delle nostre tradizioni, una frontiera proibitiva e incontaminata, è ormai parte del passato». E questa è, davvero, una triste e inquietante prospettiva.

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