[14/01/2009] Comunicati

Su politica marketing, partecipazione e sostenibilità

FIRENZE. Riferendomi all´articolo "poltica marketing - politica manganelling" (vedi link) mi vengono le seguenti riflessioni. Se la politica è marketing il concetto va però bene inteso ; infatti qualcuno che decide c´è cioè il livello politico amministrativo , ma questo avviene nel senso che la politica sempre di più veicola decisioni prese al di fuori del processo democratico pubblico, perchè il ceto politico ha capito che è questo il modo per conservare il suo potere. In questo senso la politica resta autorefenziale perchè galleggia sulle decisioni appunto per sopravvivere come ceto , in questo contesto il marketing è un mezzo ma il fine resta la autosopravvivenza del ceto. E´ il governo senza popolo e senza politica ben descritto da Rancière nel suo “L’odio per la democrazia".

In questo contesto la stessa sbandierata partecipazione tende a sua volta ad essere mera tecnica di costruzione del consenso a quel governo senza popolo in un quadro culturale che cerca di fondare l’autonomia del cittadino contro il ruolo del pubblico. L’abuso della logica partecipativa fuori dalla critica radicale alla politica e al potere così come si stanno definendo oggi comporta la separazione della partecipazione dalla democrazia in generale , per cui la partecipazione diventa : esercizio di democrazia verbale o al massimo tecnica di facilitazione del consenso alle scelte strategiche decise a priori.

Il risultato è a somma zero perché la partecipazione non incide sui processi decisionali che a loro volta sono sempre meno pubblici e sempre più neofeudali , limitandosi a legalizzare ciò che viene deciso nei centri di potere reali

e quindi la partecipazione si allontana dal suo vero obiettivo migliorare la democrazia .

Il rischio è quello di produrre un modello di potere autoritario – centralizzato e tecnocratico[1] cioè esattamente il contrario di quello che deve stare alla base di politiche ambientali sostenibili e soprattutto che abbiano una visione strategica .

“Se..” come afferma il filosofo francese Benasayag (autore di “Elogio del conflitto”) “la globalità non esiste in un luogo concreto … le forme di resistenza devono essere molteplici e in rete”, la risposta alla crisi dello Stato sovrano/persona come pure alla politica auto conservativa , come descritti in precedenza, dovrà essere in un ruolo attivo delle comunità locali. In realtà anche sul versante società civile organizzata (comitati, associazioni etc.) non siamo messi benissimo. Dal versante società civile emerge spesso un disinteresse verso la crisi e la perdita di sovranità delle istituzioni pubbliche come pure di una riorganizzazione delle stesse, come se ci fosse una fuga verso un neocorporativismo comunitario e territoriale. Chi ha fatto vertenze ambientali o ha presso parte a processi partecipativi in questi anni ha notato sicuramente il prevalere di una cultura dei percorsi partecipativi vissuti non come occasione per contribuire a modificare il modello decisionale ma come strumenti tattici per imporre il proprio punto di vista con mezzi tradizionali , interni all’attuale modello decisionale : ricorsi alla magistratura, liste civiche, manifestazioni se non addirittura trattative dirette con i politici che contano.

*Fondazione Toscana Sostenibile

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