[13/01/2009] Urbanistica

La Tirrenica non passa solo per Capalbio. E neppure il fronte del no

LIVORNO. Corridoio tirrenico o raddoppio dell’Aurelia, tracciato collinare o costiero, barriere o pedaggi, sviluppo in sito o alternativo. Quattro, otto, sino a dieci corsie si sono ipotizzate nel corso di oltre vent’anni (la data si perde nella memoria) di dibattito sull’asse viario tra Livorno a Civitavecchia, dove si interrompe il tracciato autostradale che collega il nord al sud dello stivale e dove si sono in questi lunghi anni contrapposte varie ipotesi, con un unico obiettivo (apparentemente) comune: mettere in sicurezza uno dei tratti più pericolosi delle antiche strade consolari che portano a Roma.

Un dibattito che è entrato in un cul de sac in questo primo scorcio d’anno, con un’accesa diatriba che sembra ricondurre il nocciolo del problema a solo uno dei tratti (senza dubbio particolarmente pregevole) che verrebbero interessati dagli oltre 100 km di tracciato e solo perché date le sue peculiarità ospita o è stato scelto a dimora, da diversi anni a questa parte, da molti dei protagonisti della politica italiana. Per questo si parla di polemiche da vip e si intrecciano via stampa (negli ultimi giorni) dure schermaglie tra gli avversari dell’idea di costruire un’autostrada distruggendo «un pezzo di Toscana (che) è il più bello del mondo» come scrive ancora oggi su Il Tirreno l’ex direttore de L’Unità e deputato del Pd, Furio Colombo; e tra chi ne sostiene l’importanza strategica come l’assessore regionale Conti (anche lui del Pd) perché il «corridoio tirrenico farà da ponte all’economia della regione e la collegherà meglio all’Europa», spiegando oggi all’Unità le sue ragioni. Quello che colpisce è che un lettore estraneo alla vicenda potrebbe tranquillamente accomunare il corridoio tirrenico in discussione come una delle opere da aggiungere nell’elenco di quelle soggette a sindrome Nimby, perché dalla querelle di questi giorni, e da come è presentata sui giornali questo sembrerebbe l’unico problema. Ovvero la sindrome Nimby espressa per il passaggio sul territorio di Capalbio, dai vip romani che lo hanno scelto come buon retiro.

Sicuramente c’è da ravvisare un effetto nimby nelle parole di Claudio Petruccioli, presidente della Rai e anche lui esponente dello stesso partito di Colombo e di Conti, che ancora oggi interviene definendo una «vergogna» quell’autostrada adducendo a motivazione di questo suo commento le critiche solo alla parte di tracciato che andrebbe a sconvolgere un tratto del territorio capalbiese, mentre giudica positivamente il resto del tracciato prima e dopo Capalbio. Così come nei toni utilizzati da Furio Colombo, che polemizza ancora oggi duramente con chi sostiene (ancora due esponenti del Pd, Luca Sani e Loriano Valentini rispettivamente deputato e consigliere regionale) che quel progetto è frutto di un percorso trasparente e partecipato giunto alla sua realizzazione e che quindi, sembrerebbero intendere, non potrà fermarsi per la contrarietà espressa da un solo territorio, neanche se questo è popolato da vip. A parte il fatto che non sono trasparenza e partecipazione a definire automaticamente la sostenibilità di un intervento, quello che stona in tutta questa vicenda è il ricondurre ad un solo elemento di sindrome nimby, per lo più espressa da persone notabili e sicuramente uno degli elementi della questione, la problematicità dell’intervento e soprattutto a restringere l’impatto ad un pezzo limitato(seppur assai pregiato) di territorio.

La polemica si è dunque cristallizzata sul caso Capalbio e sui vip, quando è bene invece sottolineare il territorio che verrebbe compromesso è assai più vasto di quello capalbiese, e altrettanto più ampio sarebbe il danno alle economie locali, ovvero alle molteplici aziende che verrebbero letteralmente spazzate via (direttamente o indirettamente)

dal nuovo asse viario o dagli svincoli annessi o dai caselli previsti. Con buona pace della necessità di mettere in sicurezza un tratto di strada tra i più pericolosi d’Europa: se davvero, come pare, i lavori comincerebbero dal tratto a nord (dove già esiste una variante a quattro corsie, salvo il lotto zero!) il pezzo a due corsie e con attraversamenti a raso, che ancora è l’unico percorribile a sud di Orbetello, continuerebbe infatti a mantenere per anni (chissà quanti) ancora la sua triste denominazione di strada della morte. Problema che si sarebbe già potuto ampiamente risolvere - con minor dispendio di territorio e di risorse - e che si potrebbe comunque eliminare se per il tracciato toscano si adottasse lo stesso approccio utilizzato per quello laziale, ovvero si utilizzasse lo stesso tracciato su cui passa adesso l’Aurelia; che è poi il vecchio progetto Anas su cui nel 2001 era stato trovato un accordo, tra Stato, regioni ed enti locali e che poi è stato invece scartato.

Torna all'archivio