[12/01/2009] Monitor di Enrico Falqui

Processi evolutivi e Città

FIRENZE. Alcuni anni fa, un biologo francese, René Dubos, ci ha spiegato il segreto della dicotomia, esistente nei meccanismi evolutivi dei sistemi complessi naturali, tra fattori persistenti e fattori che generano cambiamento.
«Più il sistema è complesso - ci rivela Dubos nel suo saggio “Man Adapting”(1965) - maggiore risulta la predominanza dei fattori persistenti; più il contesto tende a cambiare, maggiore risulta l’importanza dei fattori di cambiamento».
L’ineluttabilità dei processi evolutivi rende secondari o addirittura marginali tutti gli altri fattori strutturanti il sistema.

In natura, accade un po’ quel che uno scrittore come Milan Kundera ha mirabilmente descritto nella sua opera più famosa, “L’insostenibile leggerezza dell’Essere”: «il peso del vivere è un processo ineluttabile, al quale non ci si può opporre, la cui insostenibilità dipende proprio dalla fitta rete di costrizioni pubbliche e private che finisce per avvolgere ogni esistenza con nodi sempre più stretti».
Il grande romanziere ungherese ci suggerisce di accettare la dicotomia “pesantezza-leggerezza” con lo stesso metodo filosofico con il quale biologi fondamentali per la scienza moderna, quali Dubos e Monod, hanno studiato i meccanismi evolutivi in Natura.

L’Architettura moderna quando interviene nei sistemi complessi delle città contemporanee, trascina con sé la stessa dicotomia tra pesantezza e leggerezza della forma; l’Architettura moderna è avvolta dalla contrapposizione tra fattori persistenti nell’organizzazione degli spazi urbani e fattori di cambiamento, che, oggi, vengono generati con velocità inusitate, spesso non governabili dai soggetti pubblici e privati che gestiscono lo sviluppo delle comunità urbane.
Di questo “processo evolutivo della città”, ce ne rendiamo conto quando ritorniamo nella stessa città dopo 5 o 10 anni , mentre la dimensione del cambiamento non appare chiara a coloro che ci vivono tutti i giorni.

Ad esempio Londra, in questi ultimi anni, continua a modificarsi in molti modi e varie direzioni anche divergenti tra di loro: la riqualificazione dei Docks, lo sviluppo di Canary Warf, gli interventi per la celebrazione del Millennium e per attrezzare le nuove aree destinate alle prossime Olimpiadi, rappresentano dei potenti “ fattori di cambiamento” destinati a prevalere, anche se non si riesce a comprendere se la sommatoria di questi interventi abbia un senso compiuto per lo sviluppo futuro della metropoli.
Scrive l’architetto Charles Jencks in “Ecstatic Architecture”: «...a Londra, il presente è caduco e non rappresenta un riferimento affidabile per il futuro, ma il passato non deve essere condizionante tanto da inibire la vitalità attuale e futura».

Dunque, mettendo in pratica le intuizioni “filosofiche” di Dubos e di Kundera, si può affermare che sia preferibile rispettare il dualismo tra “pesantezza e leggerezza” senza cercare di risolvere la contrapposizione sovraordinando l’uno rispetto all’altro. Tuttavia, appare evidente che in un sistema complesso quale è oggi la città contemporanea, ciò che qualifica e rende compatibile il cambiamento della forma e dell’organizzazione degli spazi urbani è rappresentato dal criterio della “leggerezza” come indicatore principale della sostenibilità ambientale del costruito.

I seguaci moderni di Buckminster Fuller, autore della Dymaxion House(1940), primo prototipo di casa ad alta efficienza energetica, hanno proposto soluzioni progettuali che comportano un elevato costo di costruzione per raggiungere performances di elevato risparmio energetico. I progetti del Municipio di Londra di Norman Foster (2003) o la “ Phoenix Public Library”di Will Bruder(1995)rappresentano degli esempi di sostenibilità ambientale ottenuti utilizzando un criterio opposto a quello della “leggerezza”, il cui elevato costo di costruzione già pagato potrebbe aggiungersi al costo ancora sconosciuto dell’adattabilità degli edifici ai futuri scenari di sviluppo delle rispettive comunità urbane che li accolgono.

Come si vede, la questione centrale per raggiungere l’obiettivo della sostenibilità dello sviluppo urbano è rappresentato dalla duplice capacità di selezionare progetti di trasformazione che mantengano aperto il dualismo tra “persistenza” e “cambiamento” e che permettano di incrementare la “leggerezza” delle trasformazioni rispetto alla “pesantezza”degli interventi.
Altri ritengono, invece, che l’Architettura contemporanea sia ormai incapace di interpretare in forme nuove il linguaggio relazionale che proviene dallo sviluppo dei processi evolutivi in natura.

Per esempio, l’antropologo Franco La Cecla nel suo provocatorio saggio “Contro l’architettura”(Boringhieri,2008) definisce l’architettura moderna: «…un gioco autoreferenziale, tutta incentrata sulla firma, sulla genialità del singolo architetto, quotata nella borsa della moda al pari di un qualunque “brand”».
C’è del vero nella sua critica spietata verso le Archistars contemporanee e verso l’ irresponsabile «artisticità nella quale essi si rifugiano per essere esclusi da qualsiasi responsabilità verso la qualità della vita urbana». Tuttavia, tale critica non serve a tracciare un percorso concreto e alternativo verso le ineluttabili trasformazioni della città contemporanea. Ancora una volta, la risposta più efficace alla crisi di prospettive dell’Architettura contemporanea, proviene proprio dallo studio dei meccanismi evolutivi nei sistemi complessi della natura.

Se visitate i villaggi berberi di Matmata in Tunisia, o gli antichi borghi fortificati degli indiani Anasazi a Mesa Verde( Nuovo Messico), o la città medioevale di S.Gemignano o il castello di Chambord, capolavoro dell’architettura barocca francese, avrete la risposta che tutti noi cerchiamo per risolvere il costante dilemma che avvolge la città contemporanea.
Trasformare o Conservare? E se decidiamo di trasformare, quali progetti scegliamo per marcare la discontinuità col passato? E con quali criteri giudichiamo i vari progetti di trasformazione urbana?

In quei villaggi, in quelle comunità così apparentemente distanti dai “ modelli insediativi “ contemporanei e dai relativi comfort materiali ed estetici degli edifici moderni, è contenuto un capitale di criteri e di metodi costruttivi di una modernità assoluta e, soprattutto, capaci di fornirci sia la flessibilità del progetto rispetto alle prospettive generali di sviluppo, sia la sostenibilità ambientale della trasformazione urbana realizzata.

L’aria, l’acqua, le direzione dei venti e dell’irraggiamento solare, la vegetazione e la qualità dei suoli , rappresentano non solo i criteri ispirativi di quei sistemi edilizi ma sono anche i fattori su cui gli architetti dell’epoca hanno fatto leva per immaginare una trasformazione delle rispettive comunità attraverso il prevalere della leggerezza sulla pesantezza degli interventi, attraverso la reversibilità e la flessibilità dei meccanismi di cambiamento utilizzati e la capacità di mantenere la rinnovabilità delle risorse naturali locali utilizzate per costruire la nuova comunità.

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