[08/01/2009] Comunicati

Clima e informazione: tanto valeva nascere caproni?

LIVORNO. Mezza in prima e poi le quattro successive, pagine rubate non all’agricoltura ma all’informazione: alla guerra in Medio Oriente per esempio, al si riparte tutto da zero dell’Alitalia (ma con svariati milioni in meno sottratti ai cittadini per tutti i mesi persi), alla crisi economica globale e perfino alla crisi di identità della sinistra. Ma l’occasione era troppo ghiotta perché il Giornale non decidesse di sacrificare ogni altra notizia al cospetto della possibilità di sgretolare con la forza dell’ignoranza/malafede le teorie del global warming e gli odiati ambientalisti, con in testa Al Gore e gli scienziati (tutti prezzolati al soldo delle famosissime e munificentissime lobbies ambientaliste!) dell’ Ipcc.

Il Giornale quindi chiede nel suo editoriale il ritiro del premio Nobel ad Al Gore e alla comunità scientifica internazionale perché è intervenuta «la Natura (chissà perché con la n maiuscola, ndr) con le sue gelate, riempiendo fino all’orlo fiumi, laghi e bacini, rimpinzando con trilioni e trilioni (????, ) di tonnellate di ghiaccio le calotte polari di sopra e di sotto oltre che i ghiacciai di tutto il mondo» dimostrando che la natura «fa quel che più le pare e piace strabuggerandosene delle proiezioni matematiche dell’Ipcc e delle quattro puzzette emesse da noi umani».

I fatti: una cosa è la climatologia, un’altra cosa è la meteorologia, ovvero una branca della scienza dell’atmosfera che studia i fenomeni fisici responsabili del tempo atmosferico. Essa si basa sull´osservazione, sulla misurazione e sulla previsione a breve termine (massimo 5 giorni per avere una certa attendibilità) dei fenomeni atmosferici - quali il vento, i fronti, le nubi - e delle variabili misurabili ad essi legati come ad esempio la temperatura dell’aria, l’umidità, la pressione, la radiazione solare e la velocità e direzione del vento.

Questi sono fatti, sono conoscenze di base che tutti noi teoricamente dovremmo avere. Eppure "Tempo meteorologico" e "clima" sono due termini che nel linguaggio comune vengono spesso confusi, per ignoranza o per secondi fini; dal punto di vista scientifico invece, i loro significati sono ben distinti. Il tempo meteorologico è la risultante di molti fattori (tra cui quelli elencati sopra) riferita ad un´area definita e limitata in un determinato intervallo di tempo. Il clima invece si definisce soprattutto sulla base di elementi costanti che tendono a ripetersi stagionalmente; si riferisce inoltre ad ambienti molto vasti (ad esempio, le fasce climatiche comprendono parti molto estese di più continenti).

Tra l’ignoranza e la malafede il confine è labile e Paolo Granzotto ci sguazza amabilmente (sicuramente prediligendo la malafede) insieme ai suoi lettori, giungendo con una spudoratezza inarrivabile a canzonare ora L’Espresso ora Repubblica, ora i «rincoglioniti da Facebook», ora la «minutaglia ambientalista nostrana» fino «all’incommensurabile bidone del protocollo di Kyoto» con annessa lappata finale al suo elargitore di stipendio Silvio Berlusconi, che ha saputo «resistere ai diktat degli ayatollah ambientalisti e ha visto più lontano di tutti i Sarkozy, le Merkel e gli Zapatero messi insieme».

Ma al di là di questi sproloqui che sinceramente con l’informazione hanno veramente poco a che fare, quello che a noi interessa evidenziare ancora una volta sono i livelli qualitativi dell’informazione ambientale rispetto ai rischi e alla percezione dei rischi. In un altro articolo evidenziamo bene quanto la superficialità giochi brutti scherzi a colleghi assai paludati ed esperti (ma non di giornalismo ambientale), che scambiano un articolo di un blogger qualsiasi per l’intervento di uno scienziato e poi non si accorgono del mastodontico errore di parallasse nel leggere i dati forniti in realtà in modo banalmente lampante dai ricercatori.

Del resto non è solo un problema giornalistico, tutt’altro. Il problema è sì della debolezza dell’informazione superficiale e umorale, che segue un’opinione pubblica ormai confusa (ma come potrebbe essere diversamente?) ma è, anche, di classi dirigenti che, ossessionate dai tempi delle esternazioni, hanno pressochè abbandonato del tutto il necessario rigore e il necessario approfondimento.

E qui ritorniamo a bomba, perché la confusione tra rischio e percezione del rischio, tra notizia e percezione della notizia può essere presa ad emblema nelle prime righe dell’articolo dell’inviato del Manifesto Vittorio Arrigoni a Gaza: «“Prendi dei gattini e mettili dentro una scatola”, dice Jamal, chirurgo dell’ospedale Al Shifa di Gaza, mentre un infermiere pone per terra proprio un paio di scatoloni di cartone, coperti di chiazze di sangue. “Sigilla la scatola, quindi con tutto il tuo peso e la tua forza saltaci sopra fino a quando senti scricchiolare gli ossicini e l’ultimo miagolio è soffocato”. Fisso gli scatoloni attonito, il dottore continua. “Immagina cosa accadrebbe dopo la diffusione in tv di una scena del genere, la reazione giustamente sdegnata dell’opinione pubblica mondiale, le denunce delle organizzazioni animaliste….”. Jamal continua il suo racconto e io non riesco a spostare gli occhi dalle scatole. “Israele ha rinchiuso centinaia di civili in una scuola come in una scatola, decine di bambini, e poi l’ha schiacciata con tutto il peso delle sue bombe. E quali sono state le reazioni del mondo? Quasi nulla. Tanto valeva nascere animali, saremmo stati più tutelati”».

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