[31/12/2008] Acqua

Fiumi toscani: il bilancio (più ombre che luci) del 2008

FIRENZE. Arrivati alla fine dell’anno, è tempo di bilancio anche per i fiumi toscani. E’ interessante valutare l’attuale stato qualitativo dei corsi d’acqua corrente proprio perché siamo in un periodo di transizione. Dal regime di monitoraggio impostato ancora secondo il “vecchio” D.lgs.152/99, si passerà nel 2009 alle nuove metodiche di monitoraggio secondo quanto previsto dal Dlgs 152/06 che ha recepito la Direttiva europea sulle acque 2000/60/CE. E’ bene dire subito che ancora oggi siamo in presenza di un “vuoto” normativo a causa della mancanza di un vero e proprio recepimento della Direttiva europea. La 2000/60/CE che “chiede”, tra le tante cose, una gestione più sostenibile degli ecosistemi fluviali, è stata teoricamente recepita con il D.lgs152/06 ma non in modo definitivo dato che ad oggi ci troviamo in mancanza di decreti attuativi e di linee guida ufficiali per l’applicazione della norma. Recentemente, durante un seminario organizzato dall’Arpat, sono stati forniti dati sulla qualità di tutte le acque relativi al periodo di monitoraggio 2003-2006, quindi effettuato in base alla normativa nazionale allora in vigore, alla DGRT 225/03 e agli obiettivi del Piano di Tutela delle acque della Toscana approvato all’inizio del 2005. In base a questi dati, gli ultimi resi pubblicamente disponibili, sinteticamente si può affermare che i fiumi e torrenti della Regione mostrano una buona qualità nei tratti montani per poi avere un progressivo peggioramento verso valle, influenzando quindi negativamente la qualità dei corpi recettori, siano essi altri fiumi o acque marino costiere. Negli anni sono pochi i tratti dove è possibile riscontrare un deciso e stabile miglioramento qualitativo. E questo dato deve far riflettere. Migliore il trend dei parametri chimico-fisici (BOD5, COD, OD; N-NH4, N-NO3, Fosforo totale, E.Coli) raccolti nell’indicatore sintetico LIM (Limite inquinamento macrodescrittori); meno bene la qualità biologica monitorata attraverso l’Indice biotico esteso: circa il 50% delle stazioni analizzate non è in linea con l’obiettivo di qualità al 2015 che impone il raggiungimento del livello buono per tutte le acque.

La situazione qualitativa di ogni singolo fiume o torrente presenta delle peculiarità, ma sommariamente, per bacini, si può affermare che per l’Arno il grosso delle criticità arriva a valle di Firenze a causa dell’aumento delle pressioni ambientali e delle confluenze di affluenti consistenti, che certo non portano una boccata d’ossigeno al più importante fiume toscano. Tra l’altro questo, come altri corsi d’acqua, sta soffrendo per il prolungarsi di carenze idriche (in parte dovute anche ai cambiamenti climatici in atto) che mantengono il fiume sotto o intorno al minimo deflusso vitale. Ciò ovviamente non giova al benessere delle biocenosi fluviali e alla qualità complessiva dei corpi idrici. Nel bacino tirrenico Nord persistono problemi per i torrenti Carrione e Frigido a causa dell’impatto dovuto alla marmettola (derivante dall’attività estrattiva del marmo) con influenze in particolare sulla qualità biologica. La situazione qualitativa dei corsi d’acqua della costa, al di la delle considerazioni generali già effettuate, è molto variabile: ad esempio nel bacino del Cecina è buona per il torrente Pavone, mentre critiche risultano essere quelle del botro di S. Marta e del torrente Possera.

Il fiume Serchio è in leggera regressione qualitativa: la criticità maggiore nel bacino è dovuta al grande sfruttamento delle acque ai fini idroelettrici (101 centraline e 13 derivazioni Enel) e alle captazioni per le cartiere. Nonostante questo si sente parlare di un progetto di derivazione delle sue acque per alimentare il lago di Massaciuccoli. Nel bacino dell’Ombrone grossetano molte aree sono a basso impatto antropico e ciò giova anche alla qualità complessiva degli ambienti fluviali. La criticità maggiore in questo bacino è rappresentata dalla risalita del cuneo salino e per l’Ombrone anche dallo sfruttamento intensivo a fini agricoli di area di pertinenza fluviale con apporto di nutrienti nelle acque. Se questo è il quadro sintetico dello stato ecologico, qualcosa si deve aggiungere per quanto riguarda lo stato ambientale dei corsi d’acqua (indice Saca), che viene individuato inserendo nell’analisi (ed incrociando) anche i dati relativi alle sostanze pericolose. In 15 punti distribuiti nei bacini dell’Arno, Cecina, Pecora, Cornia, Serchio, Albegna e Lente, secondo i numeri forniti dalla stessa Agenzia per l’ambiente, si sono registrati superamenti per nichel e arsenico che hanno portato l’indice sintetico complessivo Saca a scadente.

E’ necessario precisare però che manca la caratterizzazione idrogeochimica dei bacini superficiali e sotterranei, per poter affermare in modo sicuro quale sia l’origine degli inquinanti ritrovati, cioè se la presenza sopra i limiti normativi sia dovuta a caratteristiche naturali peculiari, per cui si registra una concentrazione di fondo più alta per alcune sostanze, oppure sia dovuta ad impatti antropici. Inoltre lo stato ambientale è stato stimato tenendo conto principalmente delle sole determinazioni di metalli pesanti, ed infine la variabilità dei metodi analitici utilizzati contribuisce alla disomogeneità dei dati, anche nell’ambito dello stesso bacino idrografico. Quindi ancora oggi, per gli aspetti che riguardano le sostanze pericolose, tutti i dati attinenti gli indicatori di sintesi (e le considerazioni che ne derivano) vanno presi con le molle.

Il quadro complessivo, sinteticamente analizzato, fornisce più ombre che luci specialmente in prospettiva futura: quando va bene la situazione è immutata a conferma che la gestione del territorio e della risorsa idrica non è ancora in grado di rispondere agli obiettivi di qualità previsti dalla direttiva europea al 2015, nonostante gli sforzi compiuti per la depurazione delle acque. Ma ormai è acclarato: da sola la depurazione non basta per garantire l’integrità ecologica dei corsi d’acqua.

Sono proprio gli indicatori biologici, maggiormente sensibili, capaci di “memorizzare” nel tempo le alterazioni dell’ambiente fluviale, a confermarci che le cose non vanno. E il nuovo monitoraggio centrerà ed estenderà l’analisi proprio sui bioindicatori: ai macroinvertebrati verranno aggiunte diatomee, macrofite, fauna ittica. Il quadro quindi si fa poco incoraggiante anche considerando che a supporto dei dati biologici è prevista l’analisi dei caratteri idromorfologici che mettono in evidenza la gestione non attenta dei corsi d’acqua, soggetti a banalizzazioni ed artificializzazioni degli alvei, a captazioni eccessive e a sottrazione di territorio di loro pertinenza: tutti fattori che mettono in vera sofferenza gli ecosistemi fluviali.

E’ necessario cambiare la politica di gestione dei corsi d’acqua che in chiave futura può essere riassunta in poche parole: rispetto delle loro dinamiche. Nel frattempo se vogliamo tentare di cogliere gli obiettivi di qualità imposti dalla direttiva europea al 2015 è necessario intraprendere un’iniziativa estesa di riqualificazione che preveda il ripristino della vegetazione perifluviale con la sua azione filtro di fascia tampone, lo sviluppo di zone umide nelle aree di pertinenza fluviale, una maggiore diversità morfologica in alveo che permette anche il miglioramento della capacità autodepurativa, una gestione sostenibile delle derivazioni. Riqualificare significa anche abbattere inquinanti in ingresso e depurare in modo decentrato evitando la concentrazione dei carichi. La complessità dell’azione da mettere in moto prevede il coinvolgimento di tutti i soggetti che operano per vari motivi sui corsi d’acqua e l’integrazione delle esigenze di riduzione del rischio idraulico con quelle qualitative. L’interazione non è necessaria solo a livello di pianificazione (che in Toscana è stata attuata) ma deve avvenire a vari livelli fino a quello strettamente operativo. Altrimenti rischiamo di innescare un processo che ci riporta a Penelope e la sua tela.

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