[24/12/2008] Comunicati

Nasa: 6% di aumento delle piogge forti per decennio (ai tassi di Gw attuale)

FIRENZE. Come nei giorni scorsi abbiamo ribadito più volte, esiste un significativo gap nella comprensione di alcune dinamiche meteorologiche associate al cambiamento climatico indotto dal surriscaldamento globale. In particolare, mentre sono disponibili ampi database riguardo alla dinamica dei cicloni tropicali, in particolare di quelli che ogni estate si formano in oceano Atlantico (uragani), incertezze molto maggiori si hanno riguardo a quegli eventi meteorici che sono da definirsi “forti” ma non “estremi”, come i temporali, le piogge di forte intensità, le grandinate. Eventi che, diversamente dai cicloni tropicali che sono piuttosto localizzati geograficamente, colpiscono tutte le regioni del globo.

La ricerca riguardo a questo tipo di eventi riveste però particolare importanza, alla luce del fatto che – mentre in molte delle regioni usualmente colpite dagli uragani è radicata una cultura della prevenzione, che attenua l’impatto di questi eventi (di per sé catastrofici) sulla popolazione e sulle infrastrutture – stesso discorso non può essere fatto per altre realtà geografiche che sono situate al di fuori della zona di incidenza dei cicloni tropicali, come la vecchia Europa: nel nostro continente non sono ancora disponibili studi che – per profondità e sistematicità di analisi – si avvicinino alle indagini effettuate in oltreoceano. E questo è tra i principali fattori che espongono il nostro continente (e l’Italia in particolare) ai rischi economici e sociali legati all’impatto del cambiamento climatico, soprattutto per quanto riguarda il futuro.

Sappiamo infatti con certezza, lo ribadiamo ancora, che ogni minimo incremento della temperatura media globale ha tra i suoi primi effetti quello di un generale aumento dei fenomeni meteorici forti e/o estremi, che altro non sono che elementi di redistribuzione dell’energia interna al sistema terra-acqua-atmosfera, e che assumono maggiore intensità, appunto, al crescere di questa energia. Va ancora chiarito, però, se l’aumento del calore (e quindi dell’energia) spinge solo in direzione di un (appurato, almeno per quanto riguarda gli uragani) aumento dell’intensità di questo tipo di eventi, o se anche la loro frequenza è destinata ad aumentare.

A questo riguardo, il 19 dicembre il Jet propulsion laboratory (Jpl) della Nasa ha presentato un interessante studio riguardante le cosiddette “Deep convective clouds”, cioè quelle nubi particolarmente estese in altitudine (fino a 20 km dalla superficie) che sono associate con eventi di particolare intensità, come le tempeste, le piogge forti e le grandinate.

Il team di ricercatori del Jpl, coordinato da Hartmut Aumann, ha osservato per cinque anni la dinamica delle Deep convective clouds attraverso l’uso della strumentazione montata sul satellite Aqua. Dallo studio sono emersi dati approfonditi sul rapporto di causa ed effetto tra la frequenza di queste nubi e variazioni stagionali nella temperatura media superficiale degli oceani tropicali: «per ogni grado Celsius di crescita della temperatura media superficiale degli oceani, il team ha osservato un aumento del 45% nella frequenza di nubi molto alte. All’attuale ritmo di riscaldamento globale di 0,13° C per decennio, il gruppo di ricercatori ha calcolato che la frequenza di queste tempeste è attesa crescere del 6% per decennio».

«Nubi e piogge» - ha sostenuto Aumann al meeting della American geophysical union dove è stata presentata la ricerca - «sono sempre stati l’aspetto più fragile della previsione climatica: l’interazione tra il riscaldamento diurno della superficie marina in condizioni di cielo sereno e la crescita delle nubi basse, di quelle alte e, in ultima analisi, delle piogge, è molto complessa». Comunque, ha aggiunto, il risultato dello studio è coerente con quello analogo compiuto dalla stessa Nasa nel 2005, che aveva «appurato una crescita nel tasso di pioggia caduta a livello globale dell’ 1,5% ogni decennio, un valore che è circa 5 volte maggiore di quello stimato dai modelli climatici che sono stati usati per il quarto rapporto Ipcc del 2007».

In chiusura, occorre ribadire che, come giustamente afferma Aumann e come concordano molti climatologi, la dinamica delle precipitazioni globali costituisce uno degli elementi di maggiore incertezza riguardo al futuro andamento del clima. Ciò vale per la quantità globale di pioggia, come abbiamo visto oggi (e che peraltro secondo altri studiosi potrebbe anche non essere influenzata dal surriscaldamento climatico), ma soprattutto per la loro distribuzione geografica.

In particolare, ricordiamo che l’Europa meridionale e l’Italia, che sono situate al limite settentrionale di quella fascia anticiclonica subtropicale che è direttamente influenzata dal surriscaldamento (a causa dell’incremento della forza della cella di Hadley, come abbiamo già ripetutamente scritto nei giorni scorsi), vedranno con forte probabilità non un aumento, ma una ulteriore riduzione delle precipitazioni, che continuerà il trend al ribasso che ha caratterizzato il nostro paese (con intensità finora lieve, ma significativa) fin dalla metà del 1800. Ciò si può notare nell’immagine, tratta dal quarto rapporto Ipcc, dove possiamo vedere le previsioni (probabilistiche) riguardanti le precipitazioni al 2090-2099 rispetto al periodo 1980-1999, secondo i modelli più veritieri: nella parte sinistra dell’immagine possiamo vedere le variazioni degli apporti precipitativi nei mesi da dicembre a febbraio, nella parte destra le variazioni ipotizzate da giugno ad agosto. Si può notare con evidenza come siano previste diminuizioni, nella zona mediterranea, di circa il 10-20% in inverno e di oltre il 20% in estate.

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