[22/12/2008] Trasporti

Le tafazzate luddiste dell´industria automobilistica non hanno sosta

LIVORNO. Il mondo (quello degli uomini) gira in auto e l’auto fa girare il mondo (economico sempre degli uomini). Non si esce da questo assioma. Troppi i lavoratori del settore; troppi gli interessi; troppi gli stimoli agli acquisti; troppe le convenienze del trasporto privato su quello pubblico; troppe le abitudini. Pensare ad una mobilità sostenibile senza auto è pura utopia (ora in particolare, ma probabilmente anche in futuro). Nonostante l’inquinamento, nonostante gli incidenti, nonostante gli spazi sempre più ridotti e nonostante la crisi. La crisi, infatti, ha fatto registrare record negativi di vendita, non di auto ferme ai box. Certo i consumi di petrolio sono calati, ma le strade non si sono affatto svuotate. Magari chi ha cambiato auto ne ha scelta una che consuma meno, o magari ha dimensioni ridotte. Dunque il massimo che si possa sperare in questo momento per cercare di tenere insieme il sociale (posti di lavoro) e l’ambientale (riduzione degli inquinanti) è (sarebbe) un riorientamento del mercato dell’auto verso modelli più ecologici e investimenti in ricerca e innovazione sempre mirati al medesimo obiettivo.

Invece che cosa registriamo nel mondo? Che Bush ha salvato le due grandi aziende di Detroit (Genral Motors e Chrysler) con un prestito da 17,4 miliardi di dollari che consentirà loro di sopravvivere tre mesi, prestito che ha una ragione anche sociale importante (milioni di posti di lavoro), ma che pone per la restituzione clausole che nulla hanno a che vedere con una riconversione dell’auto bensì totalmente economiche. Probabilmente giustificate e giustificabili, ma ciò significa che la volontà ultima è solo quella di riorganizzare queste aziende da un punto di vista dei bilanci. Quando Bush e Obama dicono – Sole24Ore di sabato - che è urgente una svolta a Detroit «imprese e sindacati devono capire qual è la posta in gioco e prendere le dure decisioni necessarie» non hanno come priorità quella di cambiare modello economico e neppure di auto. Passi per Bush, per Obama attendiamo da gennaio qualcosa di diverso. Anche perché, come spiega bene il Manifesto di ieri, a pagare la crisi dell’auto saranno soprattutto «i lavoratori di Detroit” che “dovranno rinunciare alla contrattazione collettiva, a stipendi più alti rispetto a quelli di un operaio della Nissan o della Hyundai, a una migliore copertura assistenziale sia sanitaria sia pensionistica».

Va detto poi che gli aiuti di stato alle industrie automobilistiche sono in atto in tutto il mondo, dal Brasile all’Argentina, alla Spagna, alla Polonia, all’Australia, alla Russia fino alla Cina. E gli unici – che a noi risulti – ad aver legato i prestiti a una qualche forma di sostenibilità sono stati gli svedesi (sviluppo di energia pulita nel pacchetto di aiuti all’industria delle auto) e la Cina, sottoforma di annuncio di taglio dell’Iva sulle auto non inquinanti. Poco, pochissimo anche se il mercato dà segni di interesse evidente per le auto ecologiche visto che il Corriere della Sera di oggi sostiene: «Auto più pulite anche in tempi di ‘sboom’». Tutte le case produttrici, infatti, avrebbero almeno un modello ecologico nel nuovo parco auto e anche nuove soluzioni come quella del motore ibrido diesel-elettrico, una vera novità anche se non mette d’accordo tutti gli esperti.

In questo scenario, dal nostro punto di vista, l’analisi più condivisibile (anche se un po’ fuori tempo massimo) la fa Vito Di Bari sul Sole24Ore che sostiene: «Quando mi fermo a osservare il mondo dell’automotive degli ultimi anni, la mia mente ogni volta richiama l’immagine di Ned Ludd, questo giovanotto armato di piccone che faceva a pezzi costosissime attrezzature (da cui i luddisti, ndr). Ciò che è accaduto in questo settore è stata infatti la sistematica distruzione di ogni innovazione che avrebbe potuto cambiare radicalmente il mercato. Rendendolo, per esempio, più in linea con il rispetto delle risorse naturali, meno invasivo sull’eco-sistema».

Occasioni perse che ora, secondo Di Bari, portato oggi «il mondo dell’automotive” di fronte a «una strada obbligata», «che non può non essere imboccata». Ecco, il finale ottimista ci trova un po’ freddini, perché se non lo si è fatto finora un motivo ci sarà pur stato e temiamo soprattutto che se il mercato non viene riorientato velocemente e se si aspetta che quella strada sia «davvero obbligata», si sarà come minimo fuori tempo massimo…

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