[19/12/2008] Comunicati

Economia e ambiente

LIVORNO. La situazione dell’economia inglese nel periodo che va dal 1926 al 1930 (periodo in cui Keynes scrisse il Trattato sulla Moneta) era caratterizzata da un tasso di disoccupazione in aumento, da una rivalutazione della sterlina, nonché da un processo deflativo in pieno svolgimento. Inoltre, quegli anni erano caratterizzati da crisi nei settori carbonifero e tessile (a causa degli alti costi di produzione e della forte concorrenza internazionale), che la classe imprenditoriale ed il Governo pensò di risolvere riducendo i salari monetari. Ciò provocò la dura reazione dei sindacati che proclamarono il primo sciopero generale ad oltranza della gran Bretagna con gravi ripercussioni di carattere economico e sociale in tutto il Paese.

Con il Trattato sulla Moneta, Keynes attua una analisi dinamica in grado di mostrare il processo causale tramite il quale si determina il livello dei prezzi. La sua teoria monetaria si stacca nettamente dal metodo proposto dall’impiego della equazione quantitativa, incentrato sulla quantità di moneta, per arrivare all’esame dei flussi di reddito, di produzione e di spesa.

Il contesto storico temporale a cui faccio riferimento, mostra l’instabilità intrinseca del sistema capitalistico, oltre alla necessità di interventi correttivi attuati dalle autorità governative atti ad eliminare od attenuare gli effetti negativi che derivano dai principi del “laissez-faire”. Abbiamo dunque il passaggio da un intervento governativo sporadico, attuato per mezzo di politiche monetarie, ad interventi di politica economica, fiscale e monetaria in grado di stabilizzare l’andamento dei cicli economici, creando sviluppo per l’intero sistema economico.

Il “New Deal Roosveltiano” si ispirò proprio alle teorie elaborate dal celebre economista e risollevò gli Stati uniti dalla più grave crisi produttiva, economica e finanziaria di tutti i tempi. Con la crisi del ’29 si chiude l’epoca del “mercato perfetto” e della produzione classica basata sull’impostazione della prima rivoluzione industriale. Inizia un processo di riconversione di tutto l’apparato produttivo ed un massiccio piano di investimenti pubblici in settori importanti dell’economia come le infrastrutture in grado di produrre nuova occupazione, reddito e quindi consumi.
Cambia perciò il ruolo del potere governativo che passa da mero spettatore a importante guida.
Le somiglianze con l’attuale situazione economica sono evidenti e di fronte a continui richiami alle politiche keynesiane invocate anche dai più strenui sostenitori del libero mercato e del ruolo marginale dello stato centrale nella gestione dell’economia, sento la necessità di fare chiarezza su alcuni elementi fondamentali:
· Un conto è garantire i risparmiatori assicurando la piena copertura dei depositi in c/c, a risparmio ed i titoli del prestito obbligazionario pubblico. Un altro è “prestare” ingenti somme di denaro agli istituti di credito per coprire le loro perdite derivanti da massicci investimenti in prodotti finanziari chiamati “derivati”. Il tutto aggravato dal processo di aggregazione e fusioni societarie dei vari istituti di credito, assicurativi e finanziari verificatosi negli ultimi anni. Nessuno ancora ha detto di quale cifra stiamo parlando, perché le reali perdite sono evidentemente ancora sconosciute. E’ bene ricordare che il Piano Paulson negli USA per il salvataggio delle banche ammonta a circa 850 miliardi di dollari.
· In un’operazione di salvataggio di questo tipo del sistema finanziario si dovevano almeno tutelare alcuni principi fondamentali per la tenuta del sistema economico produttivo del nostro Paese, quali l’accesso al credito delle piccole e medie imprese e la revisione dei mutui alle famiglie, vessate dalle variazioni dei tassi di interesse variabili intercorse negli ultimi anni. Tutto questo per non bloccare il sistema produttivo nazionale e non erodere ulteriormente il reddito delle famiglie.
· L’intervento pubblico di stampo keynesiano non è quello che abbiamo visto in Italia ma quello che ha enunciato il neo presidente Obama negli Stati Uniti. Investimenti pubblici massicci in infrastrutture, energia (sviluppo delle energie rinnovabili) e tutela dei piccoli risparmiatori e delle famiglie. Solo in campo energetico ha parlato di 150 miliardi di dollari in dieci anni e 5 milioni di nuovi posti di lavoro. La cosa più interessante è che non stiamo parlando di investimenti in nuove centrali nucleari ma in fonti rinnovabili per rendere indipendente il suo Paese dagli idrocarburi.

Di fronte a questi grandi scenari internazionali come possiamo noi cercare di sopravvivere e far crescere il nostro territorio? La risposta è quanto sostenuto sopra, investire per quanto possiamo e quanto ci compete in settori strategici per la nostra economia locale: energia, formazione ed innovazione. Tutti settori che possiamo sviluppare con investimenti mirati in stretto collegamento con la nostra Regione.

Nel 1995 in Cina si producevano trecentoventimila auto, oggi duemilioni e seicentomila. Ma non solo Cina ed India sono in costante crescita c’e da aggiungere un numero crescente di paesi del “terzo mondo” che stanno aumentando in modo vertiginoso i loro consumi di energia ed in particolare di petrolio. E’ un dato di fatto che il petrolio consumato non viene rimpiazzato dalla scoperta di nuovi giacimenti. Mondialmente il petrolio è la forma di energia maggiormente utilizzata 35% circa, segue il carbone con il 24%, il gas con il 21% ed il restante 20% è prodotto dalle rinnovabili e dal nucleare.

Questi sono gli ordini di grandezza in Italia: il petrolio rappresenta il 54%, il gas circa il 30%, l’8% il carbone , le rinnovabili intese come idroelettrico, solare, eolico, geotermia e biomasse sono il 6% circa. L’Italia deve acquistare all’estero circa 80% dell’energia consumata, le nostre risorse nazionali si limitano alla geotermia, l’idroelettrico, l’eolico e a piccole presenze di petrolio e gas.

Il nostro paese è stato uno dei promotori dei trattati per la riduzione dei gas serra, ma le cose ad oggi non sono andate come speravamo, la produzione di gas serra del nostro paese è aumentata considerevolmente.

La Regione Toscana ha fatto proprie queste linee di sviluppo della politica energetica. La priorità è investire sulle fonti rinnovabili. Numerosi paesi europei da tempo stanno differenziando la propria produzione energetica investendo sull’eolico ed il solare con significativi risultati in termini economici ed ecologici.
Alcuni dati ufficiali relativi alla nostra regione:
Nel 2004 la domanda è stata pari a circa 21 mila Gwh (1). L’industria ne assorbe il 35% circa, i consumi civili il 32% (di cui il 60% per riscaldamento, produzione di acqua calda e cottura dei cibi) i trasporti il 31,5% e l’agricoltura l’1,5%. In Toscana si producono oltre 19 mila Gwh, 2.000 meno di quanti se ne consumano.
Il 28% dell’energia elettrica prodotta in Toscana deriva dal calore della terra: la geotermia, di cui è regione leader in Italia, con 711 Mw di potenza installata.

Un altro 5% viene dalle altre fonti rinnovabili: acqua (317 Mw installati con le centrali idroelettriche), biomasse, e in piccolissima parte energia eolica (27,8 Mw installati) e solare (3 Mw installati di fotovoltaico).

Il rimanente 77% viene prodotto dalle centrali termoelettriche. Ce ne sono 59 in Toscana. In maggior parte sono alimentate a petrolio, come a Piombino e a Livorno, e rilasciano molta anidride carbonica in atmosfera. La centrale di Cavriglia è stata riconvertita a ciclo combinato a metano che da energia più pulita e a costi inferiori. È prevista la riconversione verso questo modello anche di altre centrali.

La Regione Toscana ha definito le scelte fondamentali della programmazione energetica con la Legge n. 39 del 2005 “Disposizioni in materia di energia”, a cui ha fatto seguito l’elaborazione del Piano di indirizzo energetico regionale (Pier), valido fino al 2010 e finanziato con 105 milioni di euro.

Il Piano fa propri gli obiettivi europei fissati per il 2020: riduzione delle emissioni di gas serra del 20%, miglioramento dell’efficienza energetica del 20%, incremento fino al 20% dell’energia prodotta da fonti rinnovabili.

Obiettivo della Regione è di produrre entro il 2020 il 39% di energia elettrica e il 10% di energia termica impiegando fonti rinnovabili e di ridurre le emissioni annue di anidride carbonica (Co2) di 7,2 milioni di tonnellate.

Per incentivare l’impiego di fonti rinnovabili, la Regione ha messo a disposizione di privati, imprese, associazioni e soggetti pubblici, nel periodo 2000-2004, quasi 37 milioni di euro. Un altro milione è servito per progetti sperimentali di produzione e utilizzo dell’idrogeno. Nel 2006 è stato istituito un fondo di garanzia di circa 2,5 milioni di euro con cui la finanziaria della Regione, Fidi Toscana concede cittadinimutui agevolati, a cui possono accedere anche singoli.

Biomasse. La Regione sta incentivando anche la produzione di energia sia termica che elettrica dalla combustione delle biomasse, i materiali vegetali di scarto del bosco e delle coltivazioni agricole che abbondano in Toscana. Il Piano energetico regionale prevede la costruzione di impianti termici di piccole dimensioni che sfruttino questa risorsa naturale. L’ex-zuccherificio Sadam di Castiglion Fiorentino verrà riconvertito in una centrale a biomasse per la produzione di 17 Mw termici e 7 Mw elettrici.

Eolico. Con la forza del vento in Toscana vengono prodotti 27,8 Mw di energia elettrica all’anno. Gli impianti sono a Montemignaio e a Scansano. Il Laboratorio per la meteorologia e modellistica (Lamma), costituito dalla Regione in collaborazione con l’Istituto di biometeorologia del Consiglio nazionale delle ricerche e della Fondazione per la meteorologia applicata, ha avuto l’incarico di predisporre una mappa con le zone più adatte e dove non ci siano vincoli ambientali per la costruzione di impianti eolici: entro il 2020 è prevista l’installazione di 25 centrali eoliche da 15-25 Mw.

Geotermia. La geotermia contribuisce in misura del 28% alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. Le centrali geotermiche sono 33 , per un totale di oltre 600 pozzi, localizzate tutte tra l’Amiata senese e grossetano e Pomarance-Larderello (Pisa). Producono 711 Mw. Il piano energetico prevede un aumento di 200 Mw, pari al 28%, ponendo due condizioni: garanzie per una geotermia sostenibile e vantaggi per le comunità locali.
Idroelettrico. Le centrali che sfruttano la forza dell’acqua per produrre energia in Toscana sono 86, per lo più di piccola e piccolissima dimensione (mini-idro) e producono circa 318 Mw all’anno. Dallo sviluppo di questa tecnologia il Piano energetico regionale ipotizza un aumento di 100 Mw annui (+ 31%).

Solare fotovoltaico e termico. In Toscana vengono prodotti 3 Mw di energia con i pannelli solari fotovoltaici. Entro il 2020 tale produzione, secondo il Piano energetico regionale andrà aumentata di 50 volte, arrivando a 150Mw. Per raggiungere tale risultato la Regione sta predisponendo accordi con ordini professionali, impiantisti e banche per favorire l’installazione dei pannelli solari su abitazioni, capannoni industriali e della grande distribuzione, laboratori. A partire dalla metà del 2008 tutte le nuove abitazioni e gli edifici pubblici dovranno obbligatoriamente installare pannelli solari per la produzione di acqua calda. Il nuovo ospedale pediatrico Meyer di Firenze e i 4 nuovi ospedali in costruzione (Apuane, Lucca, Pistoia, Prato) sono stati progettati con pannelli solari.
We can change, together.

(1) E’ l’unità di misura con cui si conteggiano consumo e produzione di energia

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