[11/12/2008] Parchi

La maledizione di Castello

PORTOFERRAIO (Livorno). Qualcuno, nei giorni scorsi, per le recenti vicende politiche ed urbanistiche fiorentine, ricordando anche la famosa telefonata di Occhetto del 1989, ha evocato l’esistenza di una sorta di “maledizione di Castello”. Come si trattasse di un destino misterioso e sovrannaturale per Firenze e l’hinterland. La frase è ad effetto, l’immagine rende, ma non è così. Forse è giusto parlare di pensiero debole e poteri forti.

Il pensiero era debole nel 1989 quando i poteri forti stavano per imporre la loro soluzione, allora chiamata “Fiat – Fondiaria”. Il pensiero è debole oggi quando altri poteri tentano di sfruttare la situazione a loro uso e convenienza, siano questi Ligresti o i Della Valle. Il problema è che Firenze, negli ultimi 20 anni, non è riuscita ad esprimere una idea forte per sé e per la Toscana.

Anzi, in mezzo a schemi strutturali di area vasta, PTC, PIT, quindi ancora Piano Strutturale, la città e la Regione hanno finito per coltivare ipotesi, non scelte decise, chiare, univoche. Quante volte abbiamo sentito parlare dell’aeroporto di Peretola che si allunga, ruota, gira di novanta gradi, oppure mette sottoterra l’autostrada A11? Quante volte si è sentito parlare di case, uffici, sede della Regione si, sede della Regione no, parco, stadio, e ancora altro?

Insomma non c’è stata una visione chiara di Firenze in se e come capoluogo -capitale della Toscana. Questo è il pensiero debole; è il pensiero che sta nel PIT, dove ci sono tre toscane: la città policentrica, il patrimonio collinare e il patrimonio costiero, ma non c’è un ordine, una gerarchia all’interno delle tre toscane, ovvero c’è la potenziale concorrenzialità di tutti i territori, di tutte le città, di tutte le funzioni.

E’ il pensiero debole dei piani strutturali sempre più narrazioni e sempre meno piani, cioè scelte di organizzazione funzionale e formale del territorio, tanto che nelle Utoe, al minimo 50 ettari ( dove il comune è più piccolo a che servirà allora il PS?), si mette di tutto, tanto poi si vedrà (come emerge dalle telefonate fiorentine). Cioè si vedrà se si sceglierà con il regolamento urbanistico o se addirittura si farà scegliere ai privati con l’avviso pubblico, strumento con il quale chi ha da proporre propone ed alla fine, più o meno, impone una sua visione, che non è quella della città e dei suoi cittadini.

Insomma la vicenda di Castello, al di là delle indagini giudiziarie, indica che non basta ripetere slogan che appaiono, alla luce di queste vicende, alquanto vacui, come “piano pubblico e progetti privati”. Indica che occorre riscrivere i piani nella forma e nei contenuti. Il piano pubblico è tale se fa scelte, non se fa un elenco, spesso sempre più ampio, di possibilità. Il piano è pubblico se la valutazione integrata non è una ennesima narrazione, ma un rigoroso percorso logico che parte dalla rilevazione dello stato dell’ambiente, del territorio, dell’economia e della società e traccia un bilancio, fa una simulazione, di quale sarà lo stato dell’ambiente, del territorio, dell’economia e della società, a seguito delle trasformazioni ipotizzate, ovvero determinerà anche la selezione delle trasformazioni ipotizzate in corso di formazione del piano perché come sempre accade non tutto è possibile o conveniente, per chiudere in positivo il bilancio.

A Castello quindi non trattasi di maledizione. Trattasi di una esperienza, che possiamo quantomeno definire non esaltante, di governo del territorio. Da Castello cioè viene il messaggio circa l’urgenza di compiere uno sforzo significativo di ricollocazione di Firenze, che è la capitale della regione ma come tale deve comportarsi, invece di pensare a contenere tutto dentro le sue mura.

Se non vogliamo fare della piana di Firenze un’occasione perduta, il contenitore di tutto, come si rischia concretamente, perché c’è ancora dello spazio libero, forse si deve pensare ad una Toscana diversa, ad un aeroporto executive per lasciare il traffico aereo a Pisa e per fare una ferrovia efficiente e rapidissima perché 1 ora da Pisa a Firenze è un assurdo rispetto a poco più di un’ora e mezza da Firenze a Milano. Ma ovviamente ci sono tante altre cose da discutere per riconsegnare alla Toscana un primato, un assetto rispettoso della sua gloriosa tradizione storica, del suo paesaggio, penso per esempio al riordino dei centri urbani post bellici, allo stop alla proliferazione di seconde e terze case e magari anche di finti agriturismi, alla qualificazione dell’esistente che vuol dire anche demolire e ricostruire, non necessariamente conservare magari scimmiottando l’architettura del passato. E allora, poiché siamo prossimi ad elezioni amministrative e poco dopo ci saranno anche quelle regionali è spontaneo domandare se c’è un pensiero forte e innovativo per questa regione, un pensiero che contribuisca a riaggregare una comunità?

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